Rimini “chinese friendly”? Qualche pioniere ci crede

Rimini “chinese friendly”? Qualche pioniere ci crede

Giancarlo Dall'Ara è docente di marketing del turismo al Centro internazionale di studi sul turismo di Assisi. Al suo nome sono legati approcci nuovi al mercato della vacanza: i piccoli alberghi di qualità, il turismo nei borghi, gli alberghi diffusi (con tanto di associazione nazionale da lui fondata e presieduta), i piccoli musei, fino alla teorizzazione del manifesto della "scuola di Rimini" nel quale ha sintetizzato il Dna della specifica vocazione turistica della città di Fellini, spiegando perché l’industria turistica riminese è il frutto di una cultura e di una prassi originali. Sempre molto attento ai mercati turistici internazionali, non poteva farsi scappare l'occasione di fissare lo sguardo sulla Cina, che promette grandi soddisfazioni. Sta lavorando (insieme a Mauro Santinato) ad una rete di strutture ricettive, e non, "chinese friendly Italy". Perché la Cina è il primo mercato turistico al mondo ma la riviera romagnola fino a questo momento ne ha tratto risultati modesti. Intervista a Giancarlo Dall'Ara.

Può dirci, in estrema sintesi, perché è scattata la gara a “catturare” i turisti cinesi? Cioè, cosa rappresenta oggi, e in prospettiva, il mercato cinese per il turismo in Italia?
Non direi che sia ancora scattata la gara a “catturare” i turisti cinesi. La maggior parte degli operatori italiani (pubblici e privati) li ignora. Ma è molto probabile che il desiderio di ospitare turisti cinesi cresca sensibilmente quest’anno e l’anno prossimo, vista la scadenza dell’Expo e le previsioni di arrivo di 1 milione di turisti cinesi per quella manifestazione. In altre parole penso che nel nostro Paese sia largamente maggioritario il pregiudizio nei confronti della Cina e dei cinesi.
Peccato perché la Cina è il mercato turistico numero uno al mondo quanto a turismo in uscita e quanto a spesa dei turisti all’estero, e un Paese come l’Italia che è stato la meta numero uno al mondo del turismo internazionale, dovrebbe avere ben altro atteggiamento.

A che punto è Rimini nella “conquista” del turismo cinese e cosa si sta muovendo da parte del pubblico e del privato in questa direzione?
Come sa abito lontano da Rimini da 20 anni e non sono al corrente di tutto. Da quello che ho visto mi pare che Rimini abbia azzeccato qualche mossa interessante: ha ottenuto un grosso spazio sulla TV cinese CCTV lo scorso anno, in Italia credo solo Torino abbia fatto altrettanto; ha aperto un sito web concepito in cinese, credo che in Italia qualcosa di simile l’abbia solo Venezia. E ora Rimini Reservation sta organizzando un sistema di offerta con qualche standard di qualità in ottica cinese.
Rispetto a quelle destinazioni che si muovono in Cina limitandosi a partecipare alle fiere turistiche, come si faceva 40 anni fa in Germania, mi pare un modo più intelligente di operare. Quanto ai risultati vedremo. Personalmente ho tenuto un paio di seminari sul mercato cinese a Rimini, uno dei quali al TTG, ed ho visto interesse, ma anche un po’ di scetticismo da parte di alcuni operatori privati.

Perché i turisti cinesi dovrebbero venire a Rimini? Quali sono gli elementi potenzialmente attrattivi della nostra realtà per il turismo con gli occhi a mandorla?
Rimini ha diverse carte da giocare con il mercato cinese, in primo luogo la sua posizione relativamente vicina a tante mete molto conosciute in Cina. Poi ha uno splendido entroterra non inquinato, che piace ai cinesi, soprattutto a quelli che vivono nelle grandi città. Infine ha il giusto mix di passato (cultura, arte ecc.) e modernità (shopping, eventi, fiere e altro). Anche il mare può esercitare un certo fascino, soprattutto se è proposto assieme alle attività sportive, e non per abbronzarsi. E così pure la gastronomia, tema questo che si collega all’Expo.

Le strutture ricettive che Rimini offre sono adeguate ad accogliere questa clientela? E quali nuovi servizi, anche extra alberghieri, occorre attivare per soddisfare i clienti cinesi?
Si stima che siano circa 26 milioni i cinesi che hanno i soldi, il tempo e l’interesse per venire in vacanza in Europa. Quando i numeri sono questi significa che non c’è una sola domanda, ma ci sono tanti tipi di domanda, ognuna interessata a qualcosa di diverso: dai B&B agli alberghi di piccola dimensione, fino – ovviamente – agli alberghi di lusso e di grande dimensione. Inoltre bisogna ricordare che i cinesi fanno vacanza in Italia da 10 anni (prima potevano venire solo per lavoro o con delegazioni ufficiali). Molti cinesi che verranno nel 2014 sono persone che sono già venute in Europa e in Italia tre o quattro volte, non hanno aspettative di servizio molto diverse da noi.

Il turismo cinese a Rimini e in riviera ha oggi percentuali irrisorie. Come si fa a farlo crescere? A suo parere occorrerebbe anche una cabina di regia per ottenere risultati efficaci?
Le percentuali irrisorie della Riviera sono direttamente collegate alla politica restrittiva dei visti portata avanti dall’Italia sino ad oggi. Ciò significa che non è stato facile per i cinesi che volevano venire in vacanza da noi, avere il permesso di farlo.
Nella nostra regione inoltre abbiamo percentuali modeste di turisti cinesi anche perché fino ad oggi non ci abbiamo creduto, abbiamo completamente trascurato questo mercato. Le poche cose che abbiamo fatto le abbiamo fatte senza convinzione, le solite ritualità stanche. Ma non si può lavorare così nei mercati. Comune di Rimini a parte, chi ha un sito web in cinese in regione? Pochi pionieri. E’ ora di cambiare registro. Ma ovviamente le cose non sono semplici. Dieci anni fa potevamo essere i primi, oggi invece la Cina riconosce 148 paesi esteri dove fare turismo! Dunque la strada è lunga ma non credo ci si possa permettere il lusso di non tentare di percorrerla. La politica nazionale dei visti sta finalmente cambiando ed ora ottenere un visto dalla Cina è più semplice di qualche tempo fa, poi, certo, il coordinamento è importante, ma credo che la cosa più importante sia l’impegno, il lavoro costante, la voglia di rimettersi in discussione e ritrovare quello spirito pionieristico che aveva fatto della nostra regione la Regione numero uno del turismo italiano.

Lei ha scritto un manuale (insieme a Patrizia Dionisio) su come accogliere i turisti cinesi: può dirci quali sono le regole essenziali?
La prima cosa da ricordare è che un turista cinese quando arriva da noi non si aspetta di trovare la Cina, quindi la regola dell’autenticità del servizio è la regola da rispettare. Poi però per essere professionali bisogna cercare di conoscere la loro cultura che è diversa dalla nostra, e cercare di adottare dei piccoli gesti di accoglienza, dei segnali di attenzione, che possano essere percepiti come tali: dal bollitore allo spazzolino da denti in camera, al sito web in cinese, ad un minimo di segnaletica, ad una certa attenzione nel menù. Sono cose che si imparano, se si vuole.

Le risorse economiche, anche in termini di promozione, sono sempre più ridotte: vale la pena investire molte risorse sul mercato cinese col rischio di non averne poi a sufficienza per mercati che invece la riviera romagnola “cura” da decenni? In un ipotetico “portafoglio” turistico, quali mercati stranieri metterebbe nei primi tre posti?
Certo un budget importante aiuta una destinazione, ma in passato è accaduto che budget rilevanti siano stati sprecati in iniziative che non hanno portato risultati. E non è detto che le risorse economiche siano la cosa principale. Il turismo è fatto dalle persone, sono le persone che possono portare i turisti a Rimini, non i dépliant, o gli stand in fiera. Dunque occorre investire in competenze, nelle nuove professionalità, in capacità relazionali, nella conoscenza delle lingue, per tutti i mercati, non solo per la Cina. E, dopo la rivoluzione digitale, occorre investire sul web; e questo in Cina soprattutto, visto che la Cina è il paese più “social” al mondo. Non metterei certo la Cina tra i primi tre mercati di Rimini, ma non la trascurerei affatto. Nel 2012 sono stati fatti 83 milioni di viaggi all’estero dai cinesi, i primi consuntivi del 2013 parlano di 97 milioni di viaggi all’estero. Quali altri mercati corrono con questi ritmi?

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