Sacchini: J’accuse le Elegie Friburghesi nella terra di Fellini

Sacchini: J’accuse le Elegie Friburghesi nella terra di Fellini

C’è qualcuno che può definire Gubbio, Todi, Viterbo città brutte o invivibili? Eppure niente parchi pubblici, niente anelli verdi, niente piste cicla

C’è qualcuno che può definire Gubbio, Todi, Viterbo città brutte o invivibili?
Eppure niente parchi pubblici, niente anelli verdi, niente piste ciclabili o altro del genere: mattoni, cemento (magari d’epoca) e basta.
Eppure c’è gente che viene dall’America o dal Giappone per prender casa in uno qualunque dei borghi medioevali di cui è piena l’Italia.
Perché allora questa paranoia del verde a tutti i costi, come se in mezzo agli spazi di “cultura” delle nostre città solo un elemento di “natura” (cioè il verde ecologicamente corretto) potesse redimerne la bruttezza?
Per capirci qualcosa, bisogna risalire alla pittura di Umanesimo e Rinascimento Italiani, quella che ancor oggi guida il nostro sguardo, datoché, come diceva Oscar Wilde, non è l’arte che imita la natura, è la natura che imita l’arte.
I dipinti di Piero della Francesca, Masaccio, Pinturicchio eccetera erano pieni di figure umane, sacre e profane, in cui la natura faceva solo da contorno: perché?
Perché, nell’ambito d’un Umanesimo ancora prepotentemente Cristiano (il cui parametro estetico era il Dio fatto uomo, quindi l’uomo tout court) bastavano le sue proporzioni fidiache a esprimere una bellezza nutrita di ragione conciliata con la natura.
Tutto cambia col Romanticismo, a partire dalla Germania.
Laddove, in forza d’un concetto di ragione in cui l’uomo non è più al centro dell’universo, si cercano Assoluto e Bellezza non più nella Cultura (cioè nell’uomo), bensì nel vitalismo d’una Natura ad esso contrapposta.
Si vedano i dipinti di Friedrich, in cui la figura umana campeggia sempre e solo di schiena (i personaggi rappresentati non si vedono mai in volto), davanti a un paesaggio di tipo Alpino che la fa da padrone: altro che Umanesimo!
Questa l’ideologia tardo-romantica e New Age che sta sotto le Elegie Friburghesi del nostro sindaco.
Due le domande.
Siamo consapevoli di tutto questo o vogliamo limitarci a copiare Friburgo e basta?
Resta poi il mistero di come il sindaco Gnassi, promoter della rivoluzione verdista a tutti i costi, sia potuto passare dalla propria identità Gramsciana all’utopismo ambientalista senza colpo ferire.
Senza sottoporre cioè a critica e dibattito (almeno interno) una rottura col passato di cui non si capiscono ragioni e senso, al grido di basta cemento e finita lì.
Laddove il problema è che, a quanto pare, lui ci crede sul serio, e nel suo ambiental-dogmatismo neanche riesce a concepire la possibilità d’una alternativa.
Tanto che chi non condivide le sue infatuazioni Mitteleuropee (che temo finiranno per sfigurare il volto d’una città Mediterranea come la nostra) viene considerato un disfattista e basta.
Ma non è sostituendo Fellini con Thomas Mann e Amarcord con i Buddenbrock che riusciremo a salvare Rimini.

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