Senza una rigenerazione politica per via culturale il centrodestra è perduto. Parla Sacchini

Senza una rigenerazione politica per via culturale il centrodestra è perduto. Parla Sacchini

Il candidato del centrodestra, il peso dei partiti e quello della società civile, la cultura di governo. La "carta" Camporesi e la minaccia rappresentata dal sindaco Gnassi, impegnato a snaturare Rimini. Con un messaggio che va ben oltre i confini comunali: da Rimini può nascere una rivoluzione “di sistema” che costituirebbe una svolta anche a livello nazionale. Intervista a Bruno Sacchini presidente di Dreamini.

Il segretario regionale della Lega Nord Iacopo Morrone dice che “Fregni è il candidato di Sacchini”.
Chiariamo una cosa. Fregni non è mai stato il “mio” candidato. Io non sono un segretario di partito, che può pretendere di imporre la sua volontà a suon di numeri. Semplicemente a me pareva (e pare) che un uomo della società civile come Franco Fregni abbia tutti i “numeri” (forse più di altri) per essere un ottimo candidato. Ma, come lui stesso e gli amici di Dreamini sanno, il suo nome è semplicemente emerso accanto ad altri. Altri che una stampa più maliziosa che pettegola non ha ancora reso pubblici. Ma, d’altra parte, è giusto che la stampa faccia il suo mestiere.

Sempre Morrone ha detto che in una società per azioni chi detiene il 20% ha molto più peso di chi ha solo il 5.
E ha perfettamente ragione! Lo dico con tutta la considerazione che ho nei confronti della “forma partito” per la salute e la salvezza della democrazia in quanto tale, ma anche dal punto di vista di chi ha il diritto-dovere di indicare un nome. D’altra parte Dreamini, in quanto associazione “civica”, ha sempre e solo tentato di “facilitare” l’aggregazione delle forze politicamente alternative al cattocomunismo al potere. In che modo? Da un punto di vista innanzitutto culturale, e solo dopo programmatico. Sono tre anni che lavoriamo per l’elaborazione “pubblica”, cioè esplicita e condivisa, d’una ipotesi di governo che possa salvare questa città dalla crisi in cui si trova. L’unico appunto che ci permettiamo di rivolgere ai partiti, a partire da quelli di sinistra, è la loro sprovvedutezza dal punto di vista d’una vera cultura di governo. Anche se, a dir la verità, si tratta d’un problema non locale ma nazionale. Dopo la crisi della Prima Repubblica, infatti, è prevalsa un’idea di “partito liquido” totalmente a-ideologico, aggregato attorno a un capo carismatico (la sindrome dell’uomo solo al comando) in grado di sopperire, con la sua esposizione mediatica, al vuoto dei contenuti. Questa predilezione per una politica gridata o tweeteggiante, o semplicemente politicista, rischia di diventare cifra dei partiti anche a livello locale, senza l’antidoto culturale.

Ma cosa intende lei per cultura?
Faccio un esempio: nessuna forza politica locale, a partire da quelle di governo, nessuna lista civica o associazione s’è posta il problema di quale sia l’anima, l’identità, il codice genetico di questa città. Il risultato è o il nulla programmatico (in cui l’unico problema sembra essere il nome del candidato) o una serie di provvedimenti più o meno “Gnassiani”, tra lo strampalato e il mediatico, che non solo non c’entrano con l’anima della città, ma la stravolgono dopandola. Noi di Dreamini rivendichiamo il merito d’aver sviluppato, unici fra tutti, un discorso innanzitutto preoccupato di rispondere a questa domanda.

Cosa pensa della “carta” Camporesi e del suo progetto di una lista civica disponibile ad alleanze per creare una vasta aggregazione alternativa al centrosinistra che ha illustrato a Rimini 2.0?
Conoscendo personalmente Camporesi, ne penso tutto il bene possibile. Soprattutto dal punto di vista della sua capacità di costruire un’alternativa reale al consociativismo dominante. Se son rose fioriranno, magari al momento in cui si dovranno fare scelte coerenti al ballottaggio.

Dreamini accetterà qualunque candidatura espressione dei partiti del centrodestra? E come si comporterà nel caso in cui dovesse esserci un candidato frutto dell’intesa fra Lega, Fi e FdI da voi però ritenuto non adeguato?
Ho parlato prima di candidatura condivisa, quindi non voglio neanche prendere in considerazione l’eventualità d’una candidatura “imposta” da chicchessia, me compreso: su questo credo di poter garantire, anche a nome degli amici di Dreamini, la massima disponibilità. D’altronde, il clima di dialogo apertosi tra noi e i partiti, il rapporto di pari dignità profilatosi, credo possa favorire una soluzione in cui nessuno sia costretto a legarsi manu militari al carro di nessun altro. Quanto questo possa essere un’utopia lo diranno i fatti: accà nisciuno è fesso, ma neanche faziosamente partigiano o totalmente impermeabile alle esigenze altrui.

Teme che il centrodestra ce la voglia mettere tutta per perdere anche stavolta?
Il problema non è confrontarsi sul rispettivo peso azionario, il problema è capire che stiamo affrontando una battaglia per il 51%, cosa che nessuna delle forze in campo può ottenere da sola. Da questo punto di vista non solo il 5, ma anche l’1% diventa prezioso. A meno che si voglia partecipare appunto non per vincere, ma per perdere. Ma è un’insinuazione, questa, che non voglio neanche prendere in considerazione.

Per concludere, quale appello si sentirebbe di rivolgere ai partiti di centrodestra?
Questa è un’occasione storica, per Rimini e non solo. Perché ci sono le condizioni, purché si riesca ad individuare il candidato giusto, non solo per vincere ma per avviare una rigenerazione del lavoro politico per via culturale. Con una sinergia inedita tra cultura e politica (non sic et simpliciter tra civismo e partiti) che potrebbe valere anche a livello nazionale. Rimini si è sempre segnalata per una capacità (per dir così “modernista”) di precorrere i tempi: se io fossi segretario o coordinatore d’un partito, coglierei al volo la chance d’una rivoluzione “di sistema” che potrebbe legittimarmi anche a livello nazionale.

E cosa vorrebbe dire agli elettori?
Di non farsi incantare da uno Gnassismo capace solo di effimero e arredo urbano. Senza un progetto, senza un’idea di città corrispondente alla sua vocazione, in un mischione di interventi più causali che urbanistici che (lo ripeto) rischiano di sfigurare la città piuttosto che promuoverla.

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