Shakespeare in lingua romagnola: “a trebb” con Denis Campitelli

Shakespeare in lingua romagnola: “a trebb” con Denis Campitelli

Parla l’attore e autore cesenate 44enne che ha riacceso fra gli applausi l’estate del “Teatro all’aperto” di Poggio Berni.

Cominciamo dalla fine: applausi. Agli organizzatori del Teatro Aperto di Poggio Berni, a Franco Mescolini che inventò «Shakespeare in dialét», ma sopra tutti a Denis Campitelli che di questo testo porta in scena la sua personale riscrittura, «A trebbo con Shakespeare».
Applausi per un teatro, quello di Denis, che è teatro in senso puro. Teatro schietto, fatto di semplicità, meraviglia della parola, profondità umana e divertimento.
La sera di venerdì scorso, 11 giugno, si tornava finalmente a teatro. La rassegna «Mentre vivevo», con il contributo del Comune di Poggio Torriana, ha aperto la sua sesta edizione con il monologo in dialetto romagnolo dell’attore cesenate, davanti a un pubblico numeroso.
L’azione prende spunto dal ritrovamento, in una vecchia casa colonica da ristrutturare, di un vecchio manoscritto dove si parla di spiriti, gli spiriti di Amleto, di Romeo e Giulietta, di Otello. E’ Shakespeare riscritto – rigorosamente in dialetto romagnolo – dai “fulesta”, gli affabulatori che raccontavano storie e fole nei ritrovi serali delle stalle, “a trebb”, appunto.

Denis Campitelli, da quanto tempo non calcava una scena?
“Da sette mesi, i sette mesi di stop che ci aveva dato il governo. L’ultima volta che ho recitato era stato in un mio spettacolo, «Il primo Secondo». Dietro al gioco di parole c’è la storia della prima parte della vita del Maestro Casadei e della musica da ballo, dalla fine dell’Ottocento fino a «Romagna mia» nel 1954”.

Fino all’anno di «Romagna mia», cioè lo stesso anno in cui nasce in Italia la televisione…
“Sì. Mi piace molto questo racconto. A quei tempi erano tantissime le orchestre che suonavano nelle aie, e di gran valore. Quella di Secondo Casadei si chiamava «Orchestra Casadei». Nessuno parlava e non c’era il front-man. Dopo, invece, si chiamerà «Orchestra spettacolo Secondo & Raoul Casadei». Lo porto in scena il 1° luglio, a cinquant’anni dalla morte del Maestro Secondo Casadei, “a casa sua”, si può dire, a Gatteo, per la rassegna all’aperto “Elsinore – Attori al castello”, al Castello Malatestiano di Gatteo.”

Quante repliche ha fatto «A trebbo con Shakespeare»?
“Fino ad oggi una decina, dodici al massimo, sia all’aperto che al chiuso. Ad esempio, a Sogliano lo abbiamo fatto alla fine di un sentiero, a Cotignola all’Arena delle balle di paglia… Lo spettacolo si adatta molto a luoghi di questo tipo.”

E al chiuso?
“Ad esempio al Teatro Dolcini di Mercato Saraceno, ai Due Mondi di Faenza.”

E’ uno spettacolo poco conosciuto, che può dare ancora molto.
“Sì, lo spingerò perché ha ancora tanto da dare. Adesso non lo sto spingendo più di tanto, il fatto è che ho tanti spettacoli nel repertorio, ormai una decina. Dipende molto dalle richieste che ho. Collaboro con altre compagnie e lavoro molto d’estate. Bisogna poi mettere nel conto che il Covid ci ha chiuso tutta una stagione…”

A proposito, come ha passato questo periodo?
“Quest’inverno per fortuna non sono stato fermo. Faccio anche cinema («Volevo nascondermi», 2020, e «Una casa nel cuore», 2015, ndr) e ho lavorato a tre progetti. La fiction sulla storia di Alfredino Rampi, poi l’ultimo film di Kim Rossi Stuart, «Brado», e un altro film che non vedo l’ora di vedere, l’opera prima di Andrea Papini «Tutti i nostri ieri», titolo da Shakespeare, una storia di carcerati ambientata a Codigoro e nel ferrarese.”

Come nasce «A trebbo con Shakespeare»? C’è una sceneggiatura scritta, un copione, un libro?
“Nasce da «Shakespeare in dialét» di Franco Mescolini, il cui testo non so se è stato pubblicato nella raccolta di testi del suo teatro per ragazzi. Io sono stato il suo tecnico luce-audio. Quando era ancora in vita, sapeva che stavo lavorando sul dialetto romagnolo e mi disse di portarlo in giro. Allora, quando scomparve, ho ripreso questo testo, ci ho messo mano adattandolo a me, al mio modo di giocare con la musicalità del romagnolo.”

La forza dei drammi di Shakespeare è in realtà la forza dei contenuti che non passano con il tempo. Il bene, l’amore, la fedeltà, da una parte; dall’altra i grandi disvalori, l’invidia, l’egoismo, la cattiveria. Nello spettacolo lei fa rivivere tutto questo, lasciando che a prevalere sia il sorriso.
“E’ così. I grandi temi possono essere affrontati tutti con alla base il sorriso. L’ironia è la forza della visione shakesperiana. E questa ironia è data principalmente dalla nostra lingua, il romagnolo, che ha questa forza, ce l’ha dentro. Si riescono a dire in romagnolo certe cose che in italiano sarebbe difficile dire. Questa lingua ci consente di parlare dei grandi temi – come la vita e la morte – come se fossero più naturali. Anche la morte è meno dolorosa, sembra più naturale, più nell’ordine delle cose. Per esempio quando una persona muore si dice sempre: “l’è pasé ad là”, “u s’è avié”, “i l’ha ciamé”. E’ una lingua che ci porta a terra, che ci fa sentire bene le radici. Questa lingua l’abbiamo un po’ messa da parte, in un certo periodo qualcuno ci ha detto persino di vergognarci a parlare così… In scena è una lingua forte, perché è una lingua vera, e siccome nel teatro cerchi la verità, che cosa c’è di meglio? Ma poi la Romagna stessa è stata fatta in dialetto, dice Tonino Guerra.”

Il dialetto romagnolo – o meglio i tanti dialetti romagnoli – … si dice da tempo che siano destinati a scomparire, ma questo non accade mai. C’è una spiegazione? Che ne pensa?
“Sì, è vero, tendono a sparire dal parlato comune, perché vengono sostituiti da altre parole, anche perché sono cambiati i lavori: erano tantissime le parole dei lavori, dell’artigianato, ma oggi che l’artigianato è in crisi … Oppure pensiamo alla burocrazia: oggi prende molte delle nostre occupazioni, ma la burocrazia non esiste in dialetto! Però sta resistendo nell’arte, lì ha trovato nuova linfa. Più spettacoli, più poeti, più attenzione, anche da parte degli intellettuali, nei confronti di questa lingua. Forse perché sta sparendo… Nel periodo scorso ho fatto un paio di interventi via Zoom. Una volta mi hanno chiamato dal «Distretto A» di Faenza, che organizza dei corsi di dialetto, per un’iniziativa cui hanno partecipato ragazzi giovanissimi, anche dall’estero, giovani di famiglie originarie della Romagna. Si sono collegati anche dalla Finlandia ed erano felicissimi. La nostra lingua è come un profumo, un’erba selvatica.”

E chissà che proprio nei giovani non rifiorisca…
“Spero che i giovani ci mettono la voglia, però dovranno studiare. Noi dovremo fare un altro giro…”.

Il prossimo «A trebbo con Shakespeare»?
“Giovedì sarò ospite da Renata Molinari di Bagnacavallo alla sua Bottega dello Sguardo in via Farini. Ci sono solo una trentina di posti, un vero trebbo.”

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