Stiamo a casa

Stiamo a casa

Una settimana, due settimane, comunque quello che occorre. Poi torneremo più forti di prima...

Scrivo queste due righe in una sera dove la mia città ha perso completamente la sua identità, la sua vocazione.
Rimini è deserta, annichilita, impaurita, persa. Per le strade non c’è un’anima, sul Ponte non transita una macchina e sono solo le nove di sera. Vuoto assoluto, silenzio spettrale. Rimini caput viarum, non c’è più. Rimini l’ombelico del mondo, è in ginocchio. Rimini la dolce, la gaudiosa, la lussuriosa, è un ricordo. Eppure sono passati pochi giorni soltanto dove, in una domenica di sole, ci siamo guadagnati le pagine della stampa nazionale e internazionale. Perché noi siamo così: sboroni fino in fondo, incoscienti come nessuno, eterni più di Roma, come scriveva Silvano Cardellini. Convinti di essere speciali, di saperla lunga, di avere quello che gli altri non hanno.
Abbiamo toppato. Io per primo, con i miei dieci chilometri, le tagliatelle e il calice di Beato. Dobbiamo, imperativo kantiano, stare a casa. Punto. Stare a casa tutti quelli che possono. Tutti quelli che devono, soprattutto quelli come me con la barba che tende al grigio. Ma anche i fenomeni da spiaggia, quelli sempre abbronzati, con il fisico scolpito e la tartaruga faticosamente conquistata. Le mamme con i bambini, le nonne con i cagnolini.

L’hashtag della Sangiovesa

Stiamo a casa. Una settimana, due settimane, comunque quello che occorre. Poi torneremo più forti di prima, più sboroni che mai, perché come noi non c’è nessuno.
Rurali di mare, sempre!

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