Sul restauro di Porta Galliana (e l’immancabile laghetto incorporato)

Sul restauro di Porta Galliana (e l’immancabile laghetto incorporato)

La troviamo nel bassorilievo del Cancro nel Tempio Malatestiano, opera di Agostino di Duccio. E' stata ricostruita da Sigismondo Pandolfo Malatesta. La porta gotica a terzo acuto è la parte più bella del recupero appena inaugurato. Ma cosa c'entra la passerella su un fossatello ad U? Forse fa il verso alla "piscina" di piazza Malatesta.

IL BASSORILIEVO DELLA VEDUTA A VOLO D’UCCELLO DI RIMINI

Porta Galliana restaurata, lato esterno.

Nel bassorilievo del Cancro della cappella dei Pianeti o di San Girolamo del Tempio Malatestiano
nella seconda metà degli anni ’50 del ‘400 lo scultore fiorentino Agostino di Duccio rappresentò una veduta di metà Rimini a volo d’uccello. Nell’area del porto alla destra del fiume Marecchia tra la porta San Pietro o San Giuliano in capo al ponte di Augusto e Tiberio fino alla porta Galliana vediamo un doppio telo di mura merlate, una interna più alta e una esterna più bassa che termina su una specie di argine lungo il fiume. Questa doppia mura è chiamata dai castellologi “falsabraga” o “barbacane”, antico tipo di fortificazione rimesso in funzione in tutta l’Europa per il prevalere a causa delle armi da fuoco delle difese basse: gli Spagnoli la chiamano “barreras” e “barbacanas”. E’ la parte moderna delle fortificazioni di Rimini intraprese da Sigismondo Pandolfo Malatesta dagli anni ’40 del ‘400. Il muro alto forse non fu costruito.

LA PORTA GALLIANA RICOSTRUITA DA SIGISMONDO PANDOLFO MALATESTA

Al termine della doppia mura in basso, la porta che dava accesso al Borgo del Porto è rappresentata come un corpo in tre articolazioni con un certo realismo descrittivo, come hanno confermato i recenti scavi condotti dall’azienda archeologica Adarte diretta dall’ingegnere archeologo Marcello Cartoceti.
In basso le prime mura della falsabraga, come nell’entrata di Castel Sismondo, si presentano con due corpi avanzati esterni ai lati della porta, con quattro merli ciascuno.
Gli scavi hanno mostrato quanto resta di questi due corpi avanzati, ormai senza merli, ma con due archetti residui di una difesa piombante ormai ridotta ad un mero ornamento.
La porta del bassorilievo che sembra ad arco antico a tutto sesto, mentre come vediamo e come sapevamo è a sesto acuto, sembra alta quasi come la metà della torre portaia. La porta termina con un apparato a sporgere di beccatelli merlati per la difesa piombante, e questa è la parte medievale della costruzione di Sigismondo Pandolfo.

Questa parte, o secondo piano sul quale si apriva la terrazza della battagliera, nel 1763 esisteva ancora, probabilmente senza l’apparato a sporgere e l’apertura d’ingresso era murata. Il vuoto era stato trasformato in piccolo orto botanico, fatto riempire di terra dal dottor Giovanni Bianchi – il famoso Janus Plancus – per coltivare le piante medicinali. Il 9 agosto e il 23 novembre di quell’anno, due terribili tsunami, che i Riminesi chiamarono una straordinaria “escrescenza delle acque del mare” – il secondo tsunami fu visto da testimoni che bighellonavano nella spiaggia incombere spaventoso dal mare – isolarono la città in mezzo all’acqua salata. Le barche del porto, strappate dagli ormeggi, furono viste dal Bianchi fracassate contro il ponte romano.

Una nuova porta, detta porta dei Cavalieri o di San Giorgio, dava un nuovo accesso al Borgo di marina, e l’antica porta Galliana, chiusa e trasformata era stata completamente dimenticata. Con la fine dell’antico regime e più con lo stato nazionale, prese il via un programma di fogne e fognoli, fino a quel tempo lasciate scorrere a cielo aperto in mezzo alle strade anche del centro. Una fogna interrata venne scavata attraverso la porta Galliana, portò alla scoperta di un orciolo di terra cotta con dentro un tesoretto di medaglie malatestiane. Com’è noto Sigismondo Pandolfo metteva le sue medaglie dentro i muri delle opere che faceva costruire. All’inizio del ‘900 la parte bassa della porta Galliana venne in gran parte demolita per adattarvi una piattaforma sulla quale erano state trasportate le vasche per le lavandaie trasferite dall’area dell’ex convento di San Cataldo, che ricevevano l’acqua dalla fontana di piazza Cavour. In quell’occasione il grande arco gotico venne riscoperto e la Soprintendenza di Ravenna, da poco istituita, pretese che venisse conservato.

Il bellissimo arco gotico con “un terzo acuto” entro lo spazio di un quadrato aureo.

I PARAMENTI DI MATTONI E LE BUCHE PONTAIE

Le mura urbane e quelle castellane erano costruite “a sacco”: tra due muri di mattoni si calavano conglomerati di calce e sassi; a volte, come si vede nella torre vicino all’Arco, venivano messi di traverso, con funzione di legami, tronchi di ulivo carbonizzati all’esterno da un muro di mattoni all’altro. Vediamo poi sulla superficie dei muri una serie orizzontalmente regolare di buche rettangolari che si inoltrano qualche decina di centimetri nel muro. Sono le buche pontaie, preparate per ricevere i legni delle impalcature per i muratori quando si dovevano riparare i muri. Erano chiuse con un mattone messo diritto e ricoperte di calce o di “stilature”, ossia di righe orizzontali ottenute con la cazzuola sui letti di calce tra le file dei mattoni, il tutto poi tinteggiato con i colori araldici del comune o dei signori. L’Arengo e la sua torre erano dipinti di bianco con i risalti – basi, capitelli, finestre, porte – dipinti di rosso; bianco e rosso erano e sono i colori del Comune di Rimini. Castel Sismondo aveva tutte le mura e le torri bianche, ma la torre all’entrata in mezzo al fossato era verde e la torre d’entrata interna era rossa. Bianco-rosso-verde simboleggiavano la Fede, la Carità e la Speranza; erano i colori dei guelfi, il partito della Chiesa, della casa Malatesta e delle case più volte imparentate degli Este e dei Gonzaga.

Lo spigolo dell’arco gotico alla destra di chi entra. Si notano l’incasso della saracinesca; 1/3 buchi pontai e l’incasso della trave per rinforzare l’uscio della porta.

LA PORTA GOTICA A TERZO ACUTO

E’ certamente la parte più bella che possiamo vedere dalla porta recuperata. E’ un arco ogivale o gotico “a terzo acuto” come avrebbe detto Matteo de Pasti, nel senso che per tracciarla l’architetto aveva disegnato per terra, o sulla sabbia, la sua base orizzontale dividendola in tre parti: AB-BC-CD. Poi aveva preso una corda lunga AC o BD. Fissandola dapprima su C aveva tracciato una semicirconferenza di cerchio. Con la stessa corda fissata su B partendo da D, l’architetto aveva tracciato un altro semicerchio, che tagliava il primo semicerchio ottenendo così l’arco acuto. I falegnami adattando i legni a queste misure e forme avrebbero creato le centine per costruire l’arco.
Con le seste degli occhi, ma sono vecchio e ho le cataratte, mi è sembrato che l’altezza e la larghezza della base dell’arco gotico stiano tra loro nel rapporto di lato e di uno stesso quadrato.
Se ho visto bene, si tratta di forme e misure di nitore geometrico, già presente nel gotico.

LA SARACINESCA E IL PORTONE DI LEGNO

La chiusura della saracinesca o cataratta con una grata di legno robusto rivestito di ferro è testimoniata dai rincassi subito dopo i montanti e l’arco di pietra arenaria. La saracinesca aveva nel piano superiore la sua camera di manovra. Subito dopo la saracinesca, come abbiamo visto prima degli scavi, c’erano gli anelli di pietra, uno è rimasto intatto e uno semidistrutto, per far girare i cardini montanti dei due battenti della porta di legno, certamente rivestita di ferro e con un sistema di chiusura, non esclusa una serratura. Poco verso l’interno, in basso a ridosso dello spazio dei battenti sui muri che chiudono l’area d’ingresso, ci sono due aperture quadrate, quella che vediamo a destra più profonda. Dino Palloni, l’ingegnere castellologo, quanto sarebbe stato contento di inventariare tutte le aperture. Ci aveva insegnato a riconoscere i buchi che ricevevano un grosso trave di legno per fermare la porta.
L’ambiente chiuso verso l’interno doveva essere coperto da una volta o a botte con sezione semicircolare oppure con sezione acuta o ribassata. A sua volta questo ambiente era chiuso da una porta della quale non rimangono tracce di cardini o altro. Quel rincaso regolare lungo la parete che vediamo a destra, non appare sul muro dirimpettaio. Troppo largo per essere un rincasso per una seconda saracinesca. Un enigma, almeno per me, al momento.

L’ENIGMA DEL FOSSATO

Non c’era un ponte levatoio. E nel bassorilievo di Agostino di Duccio non appare un fossato.
Ma noi sappiamo che c’era sicuramente il fossato delle mura urbane. L’avancorpo doveva essere chiuso con un rastello, come quello di Castel Sismondo. E il fossato? Aspettiamo che ci rivelino i dati degli scavi. Purtroppo è da circa mezzo secolo che non si pubblicano le relazioni di scavo, e la Soprintendenza non permette la consultazione degli appunti, delle relazioni, dei disegni e delle fotografie dei numerosi scavi eseguiti.
Intanto dobbiamo accontentarci della soluzione piuttosto banale propostaci dall’architetto o dagli architetti: una passerella su un fossatello a U, che ha il dna di quella metonimia di ‘fossato’ ad acqua riciclata che il cessato solista amministratore ci ha inflitto al posto di un fossato straordinario di Filippo Brunelleschi, davanti alla ‘facciata’ di Castel Sismondo. Questo fossatello o pozzanghera a U è destinato a riempirsi di rifiuti e l’acqua senza ricambio comincerà presto a puzzare per la felicità delle zanzare che avranno i loro spazi protetti di riproduzione.

Curiosa questa pensata così prolifica che tutti i castelli dovessero avere l’acqua intorno. Probabilmente al cessato solista la pensata che i castelli hanno intorno un fossato pieno d’acqua e paperelle gliel’hanno insegnata da bambino prodigio al Ceis, la scuoletta che occupa l’Anfiteatro di Ariminum. Bambini, oggi disegniamo un castello, una casetta con intorno l’acqua e le paperelle:

Oh che bel castello marcondirondirondello
Oh che bel castello marcondirondirondà

E così la novità di valore mondiale dell’architettura ossidionale del più grande architetto del Rinascimento e di tutti i tempi – beccatevi ancora una volta, cari lettori, questi giudizi superlativi assoluti…veri eh eh eh – è stata cementata e però Castel Sismondo ha avuto la sua acqua e d’estate i bambini di mamme boccalone e ignorantone sguazzeranno nel brodo di batteri riciclato.

O serva Rimini di dolore ostello, nave sanza nocchiero in gran tempesta, non donna di province ma bordello… in questa città almeno fin dal dopoguerra i monumenti di Rimini e dell’Italia e del mondo sono stati nelle mani di arroganti decisionisti senza cultura – i “riminizzanti” che saranno recuperati con la decisione di fare di Rimini, di questa Rimini, la capitale della cultura di qualche anno sfigato -; non solo il Kursaal è stato annientato dal primo degli amministratori barbarici, ma anche il Tempio Malatestiano ha corso il serio rischio di diventare un condominio… e questa razza di potenti pataca mica è finita, voi poveri giovani sensibili alla cultura, quella vera non la commissione tardiva e inutile della cultura di palazzo Garampi, ne vedrete ancora delle belle…E’ sempre stato così, sarà sempre così, bisogna rassegnarsi…o no?

LA BOMBARDIERA DI ROBERTO MALATESTA

Qualche metro prima della porta sul muro che limita il Marecchia gli scavi hanno messo in luce una bombardiera del tipo di quelle costruite in batteria da Roberto Malatesta nel muro a mare del Borgo di San Giuliano con le torrette negli anni ’70 del ‘400.
Notate che spara contro il muro del Borgo, e probabilmente ve ne erano altre, poi chiuse o travolte dalle piene terribili del Marecchia. Il muro a sinistra del Marecchia nel Borgo aveva il compito di impedire alle acque del fiume di penetrare nell’abitato, ma non quello di carattere difensivo.
Questa bombardiera per un piccolo pezzo da fuoco ricorda gli anni subito dopo la morte di Sigismondo Pandolfo (1417-1468), il 1469, quando l’esercito di papa Paolo II, che voleva cacciare Isotta, Sallustio e Roberto Malatesta da Rimini, dimentico che il suo prozio Gregorio XII doveva la sua vita ai Malatesta, assediava la città dei Malatesta.

Una bombardiera del muro di San Giuliano.

L’esercito pontificio aveva occupato il Borgo di San Giuliano. Alcune squadre avevano guadato il Marecchia e avevano occupato il Borgo di Marina e tutta la spiaggia fino alla Torraccia, che ancora nessuno chiamava il faro del secondo porto romano di Rimini. Era in effetti la parte meno difesa della città e gli ecclesiastici pensavano di poter entrare da un buco aperto nel muro nel campo di un prete. Ma Roberto, giovandosi dei giovani della città entusiasti di combattere per evitare a Rimini un sacco, era riuscito a scacciare gli ecclesiastici, che cercando di guadare di nuovo il Marecchia, che si era gonfiato d’acqua, erano in parte annegati. Altri invece coi cavalli avevano girato in mare intorno alla Torraccia o anche si dice che avessero aperto un buco nel muro.
Poi Sallustio, al quale Sigismondo aveva lasciato Rimini insieme a Isotta, venne trovato ucciso vicino alla casa della sua ragazza; e l’altro fratello, il protonotario Valerio, fu ucciso in campagna poco dopo. Anche Isotta non visse più a lungo; il suo cadavere venne deposto nudo nella tomba degli elefanti. Roberto il Magnifico voleva governare da solista.
Fratricida come il suo mentore e poi genero Federico di Montefeltro. Andiamoci piano ad esaltarli.

Una bombardiera tamponata probabilmente della stessa età di quella riaperta. Tirava alla destra della porta verso il Borgo di Marina.

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