Chiamatele bollette pazze o dumping fiscale (come suggerisce Confesercenti). La realtà è che per le stesse attività si paga una Tari anche molto diversa fra i Comuni di Rimini, Riccione, Bellaria e Cattolica. Manca qualsiasi coordinamento tra i Comuni che presentano caratteristiche uniformi nelle attività economiche del proprio territorio. Un albergo paga 11.340 euro a Cattolica e 15.610 a Rimini. Un ristorante 3.315 euro a Riccione e 5.922 a Bellaria.
Negli ultimi due mesi la questione della Tassa sui Rifiuti Urbani, la cosiddetta TARI, sta trovando sempre più spazio nelle analisi tributarie del quotidiano economico Il Sole 24 Ore con una evidenza mediatica che ha richiamato l’attenzione di cittadini, imprese ed associazioni di categoria.
I temi sono i più disparati a partire dalla questione dei rifiuti assimilati con la tassabilità delle aree per le imprese, alla illegittima applicazione della quota variabile per le utenze domestiche fino a terminare con la roulette a cui sembrano essere sottoposte le attività economiche per via delle differenti tariffe TARI deliberate dai Comuni per la stessa tipologia di attività.
Il Sole 24 Ore di ieri lunedì 27 novembre titola, a pagina sette: “IMPRESE, LA ROULETTE DELLA TARI – bollette pazze: per lo stesso hotel 1.200 euro a Trani e 13mila a Taranto”. L’articolo fa riferimento a città della Puglia ma, nella nostra zona, qual è la situazione?
Uno studio del mese scorso della Confesercenti di Cesena denominato “TARI: FACCIAMO CHIAREZZA rifiuti pagati a peso d’oro” prende in esame le tariffe deliberate da alcuni Comuni della Provincia di Forlì-Cesena ed arriva alla conclusione di un “fastidioso dumping fiscale” creatosi tra attività similari per via dei differenti costi sulla tassa dei rifiuti urbani.
Cosa accade nei Comuni della Provincia di Rimini?
Il problema si presenta nelle stesse dimensioni e, come dimostrano le simulazioni effettuate su alcuni Comuni della riviera (Rimini, Riccione, Bellaria-Igea Marina e Cattolica), a parità di attività economica, gli importi chiesti a copertura della tassa sui rifiuti dai diversi Comuni risultano decisamente differenti tra loro. (I conteggi sviluppati nelle tabelle a seguire sono stati effettuati elaborando le tariffe Tari per l’anno 2017 senza entrare nel merito di eventuali riduzioni od agevolazioni eventualmente previste dai singoli regolamenti comunali e senza considerare la quota Provinciale).
A cosa sono dovute queste differenze? Le ragioni sono le più svariate e dipendono dai diversi criteri utilizzati dai Comuni per il calcolo della tariffa unitaria, dalle percentuali utilizzate nella ripartizione dei costi tra utenze domestiche e non domestiche, dai costi del servizio (compresi i costi aggiuntivi amministrativi) e dalla volontà di mantenere, per ciascun Comune, una congruenza con le tariffe deliberate nelle annualità precedenti.
Osservando le situazioni riprese dal quotidiano nazionale del Il Sole 24 Ore, quelle dell’ufficio studi di Confesercenti di Cesena e le simulazioni dei Comuni della Provincia di Rimini, si è portati ad immaginare che nella determinazione delle tariffe, pur essendo presumibilmente uniforme il sistema di determinazione dei costi del servizio da parte di Atersir, sembra mancare una qualsiasi attività di coordinamento tra quei Comuni che presentano caratteristiche uniformi nelle attività economiche del proprio territorio.
Si può quindi concordare con l’affermazione della Confesercenti Cesenate che ha ipotizzato la possibile formazione di un “fastidioso dumping fiscale” per il mancato equilibrio esistente (dovuto a varie cause) nella tassazione della TARI.
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