Teatro Galli: il conto finale e le poltrone coi «tacchi» per migliorare la visibilità

Teatro Galli: il conto finale e le poltrone coi «tacchi» per migliorare la visibilità

Quanto è costato davvero? Vi sveliamo il consuntivo della gigantesca impresa che ha consentito di rialzare il sipario sulla perla di Luigi Poletti. Ma anche il «lifting» che si è reso necessario per aumentare la scarsa visuale dai palchi e dal loggione.

«I’ve seen things you people wouldn’t believe». Se il teatro Galli potesse parlare, probabilmente lo farebbe con le parole che Ridley Scott mette in bocca a Roy Batty in Blade Runner. «Ho visto cose che voi umani…». Il gioiello del Poletti da rimodellare, quasi dal nulla. Un teatro di 164 anni fa, chiuso da 75 anni, praticamente demolito dalle bombe della seconda guerra mondiale e che reca la firma del sommo rappresentante del purismo architettonico. Per di più originale anche rispetto agli altri teatri di Luigi Poletti. E’ con questa avventura che si sono misurati i tecnici che hanno lavorato al teatro e che possono dire: «fatto!». Facciamo il punto sul conto finale e sugli interventi che hanno supplito ad alcune imperfezioni, come quelle della scarsa visibilità da alcune postazioni del loggione e dei palchi.

Fotografie di Sandro Gazzilli

Tanto si è scritto di questo piccolo gioiello ma poco si è capito della esclusività di ciò che è stato inaugurato il 28 ottobre 2018 e di come sia stato possibile tagliare il traguardo sforando di una cifra contenuta rispetto al budget pianificato. Partiamo proprio da qui.
L’asticella dei costi era stata fissata a 32.396.869,84 euro. Il consuntivo è stato pari a 32.596.478,56 euro. Il progetto è stato ultimato, con imprevisti (come il rinvenimento dell’area archeologica) lungo il cammino da far tremare le ginocchia, discostandosi dalla previsione di spesa di 199.608,72 euro. Basti dire che nel consuntivo sono compresi più di 5 milioni di nuove lavorazioni per oltre 1,5 milioni di contenzioso.

Poletti il purista. «Il concetto di qué due teatri (Rimini e Terni), come del terzo (Fano), partì da un sistema che m’ero creato con studio anteriore di ben sedici anni su questi edifici percorrendo tutte le teorie usate dagli antichi e dai moderni… Vidi che i primi non convenivano ai nostri costumi, e i secondi erano un accozzamento di parti senza regole fisse e senza buon effetto», scrive Poletti. «Conobbi che era necessaria una riforma la quale fissasse delle norme certe e generali, tanto in rapporto alla curva quanto alle condizioni del meglio vedere e del meglio sentire non escluse quelle di migliorarne la bellezza». Dietro i teatri di Poletti c’è una rivoluzione concettuale, che si manifesta nella sua eccellente purezza nel Galli. Per Rimini opta per il colonnato «gigante» e per la sala punta alle leggi geometriche della armonia classica, alla bellezza estetica e alla perfezione acustica. Ha bene in mente, il Poletti, in cosa debba consistere l’unicum del Teatro Galli: «migliorare la bellezza eliminando que’ sconci alveari che deturpano gli odierni teatri, ed introducendovi tutte le comodità, che oggi si desiderano dalle civiltà più incivilite… la forma eguale e monotona dei buchi dei palchetti, che danno agli ordini un aspetto di colombari, di piccionare o di grotte…». Non una piccionaia, non il teatro ad alveare.
Per il Teatro Galli, Poletti studia e progetta un foyer ampio, scaloni spaziosi e spettacolari, palchi diversi di ordine in ordine, dota il loggione di una ariosa balconata, la sala si allarga progressivamente verso l’alto, dove ogni ordine arretra rispetto a quello sottostante per dar vita ad un effetto scenografico inedito. Non inserisce nemmeno il palco reale, comune a tutti i teatri all’italiana.

Chi ha capito tutto questo, a sua volta studiando in maniera approfondita per attrezzarsi nel migliore dei modi all’impresa, è stato lui, in burocratese «il responsabile unico del procedimento», l’ing. Massimo Totti. Praticamente tutti gli riconoscono di essere stato il deus ex machina del rinato Galli. Che Totti definisce «non solo teatro ma tempio della musica». E il tempio della musica, che regala tempi di riverberazione e una chiarezza che sono l’imprinting del Teatro Galli, ce l’ha solo Rimini.
Per volumi della sala questo teatro è al settimo posto in Italia. Dopo il San Carlo di Napoli, il “Massimo” di Palermo, la Scala di Milano, il “Verdi” di Firenze, il teatro dell’Opera di Roma e il “Bellini” di Catania, che a differenza del Galli hanno un numero di posti decisamente superiore rispetto agli 830 di Rimini. Davanti a “La Pergola” di Firenze, al “Verdi” di Trieste, a “La Fenice” di Venezia e ad un’altra quarantina di teatri storici. Ma un teatro così concepito anche in termini di volumi, mostra il fianco a qualche «debolezza», come quella della visibilità.

E’ stata un’impresa titanica realizzare il Galli. Ci hanno lavorato i maggiori esperti in fatto di acustica e decorazioni, ma qualche difetto c’era rimasto. Ecco allora i lifting intervenuti senza fare troppa pubblicità. Eccone alcuni. In dodici palchi (sei più sei laterali) del primo ordine, a poltrone e sgabelli sono stati messi i «tacchi», 5 centimetri in più. Nel loggione la gradinata è stata sollevata di 25 centimetri nella fila davanti e in quella dietro e avanzata verso la balaustra. Un altro piccolo neo i puristi lo individuano nella tappezzeria dei palchetti (che non è filologica perché in origine c’era la carta da parati). Si è notato, quando è stato acceso il riscaldamento, che si creavano dei rigonfiamenti. In questo caso si è deciso per ora di non metterci le mani. Poi si vedrà. Un teatro non è un “prodotto” finito una volta per sempre. Tanta attenzione e probabilmente anche qualche ulteriore aggiustamento richiederà nel corso del tempo. Ma il primo capitolo del “nuovo” Galli può essere considerato un successo. Ora si tratta di farlo vivere al meglio, con programmazioni all’altezza, e senza voragini nei bilanci. Ma questo è un altro capitolo.

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