Teatro Galli: pronto l’anno prossimo. Ma non sanno cosa farsene. Chi lo gestirà? Lo sapremo (forse) dopo il 2020

Teatro Galli: pronto l’anno prossimo. Ma non sanno cosa farsene. Chi lo gestirà? Lo sapremo (forse) dopo il 2020

Nel Documento Unico di Programmazione è scritto nero su bianco che il comparto teatrale non sarà più a gestione diretta. E che “gli anni 2018-2020 si dovranno caratterizzare, in prima battuta, per l’analisi del contesto del mercato nei diversi settori delle attività culturali (prosa, musica, cinema, arti figurative, ecc.) ... In una seconda fase dovranno essere gestite le procedure preordinate alla scelta del contraente ed avviata concretamente la gestione”. Auguri. Finalmente, invece, il “Malatesta” di Henry de Montherlant, un capolavoro, torna a Rimini (mancava dal 1969).

Viveva come gli asceti ed era uno sfrenato donnaiolo
L’evento più sfizioso delle celebrazioni malatestiane è andato in scena in sordina, ieri sera. Nell’aula al secondo piano del Castel Sismondo, infatti, è tornato il Malatesta di Henry de Montherlant, superbo romanziere e accademico di Francia. L’unico testo teatrale dedicato al Malatesta – di genio, tra l’altro, “è uno degli scritti teatrali più importanti di Montherlant”, scrivono gli esperti – è andato in scena a Rimini unicamente nel luglio del 1969, al castello, per merito dell’Azienda di Soggiorno. In quel contesto – ricostruito con finezza da Moreno Neri nel necessario Henry de Montherlant. L’infinito è dalla parte di Malatesta, Raffaelli, 2004 – a fare Sigismondo c’era Arnoldo Foà e a interpretare il suo avversario, papa Pio II, era Tino Carraro. Per l’occasione, il misantropo, misogino, vertiginoso Montherlant fece pervenire ai riminesi, tramite il Resto del Carlino, un messaggio, “Quando Malatesta fu scomunicato, spogliato della sua autorità, condannato al fuoco, i suoi sudditi fuggivano davanti a lui come davanti al diavolo, e il gentile Novello suo fratello passava alle truppe del papa. Gli Italiani oggi non hanno timore di onorare la memoria di questo eterno accusato”. Mai ode fu più infausta: il Malatesta, testo di straordinaria ferocia filosofica, è scomparso e l’anniversario malatestiano, come si sa, è stato dato in affitto alla noia. Ad ogni modo, l’evento di ieri veniva buono: i 600 anni di SPM coincidono con i 45 anni dalla morte di Montherlant e con i 70 dalla celebre giustificazione dell’autore (il testo teatrale fu pensato dal 1943, messo in scena per la prima volta nel 1950 e ridotto per la tivù francese nel 1967): “L’irrequietezza di Malatesta, la sua volubilità, le sue contraddizioni – condottiero, poeta, erudito, mecenate, assassino, sfrenato donnaiolo (nonostante l’amore appassionato, che in lui non venne mai meno, per la moglie Isotta), sufficientemente frivolo per far erigere una chiesa in cui non c’erano che simboli pagani, tanto severo da vivere come gli asceti con un teschio sul tavolo, sacrilego abbastanza da essere condannato al rogo dal Sant’Uffizio, religioso al punto da morire cristianamente: tutto questo è cronaca, è storia, io non ho inventato nulla”.

Alla Biennale del Disegno una mostra ‘malatestiana’
Certo, quando all’improvviso, dalle spalle del pubblico, irrompe la voce, prepotente, “Prendere Spoleto e Foligno e abbandonare Rimini al papa: è questo, vero! Dillo, miserabile! È questa mostruosità che vuole il papa? Rimini, la città delle mie viscere! Rimini, dove fui giovane! Rimini, la città dei miei amori e della mia anima! Rimini, la città della mia eterna gloria! Rimini, che a pensarla il cuore ha una stretta!”, beh, una stretta viene al cuore degli astanti. A gareggiare con Foà è Gianluca Reggiani, autore di questa riscoperta, che ha compiuto un efficace adattamento dalla traduzione d’autore di Camillo Sbarbaro (edita da Raffaelli nel 1995; Foà, invece, declinava quella di Mario Moretti). Di fatto, questo Malatesta è una prova: luce sanguigna, leggio in mezzo all’abbozzo di palco, attori nerovestiti con i fogli in mano. Più che teatro, un ibrido. Reggiani è un Malatesta tutto impeto, dalla voce tonante, Tamara Balducci – alla dizione non si comanda, è bravissima – è una fascinosa Isotta, a tratti virile, i caratteri di Andrea Argentieri (il pavido Porocellio) e di Mirco Gennari (un efebico Pio II) sono azzeccati, anche se mancano di risolutezza, hanno i tratti fumettistici di una graphic novel. La scena non c’è, siamo nel cantiere di ciò che – forse – sarà, perciò prendere o lasciare, o piace o non piace – a me piacerebbero i tratti lisergici di un condottiero proiettato in un futuro distopico, sotto la tirannia del papa Cesare, del papa-re, con SPM che sta tra Blade Runner e il cavaliere Jedi. Dal momento che la stoffa scenica non c’è – mentre è sostanziosa la grana vocale e sentimentale degli attori – pare necessaria la scelta di interrompere i brani con i canti – di potente seduzione – di Laura Catrani, sopra l’arazzo sonoro di Peppe Frana, che alterna il liuto alla chitarra elettrica. Insomma, hanno ridotto il quarto di bue sanguinante di Montherlant a un pasticcino: Gennari promette che in primavera, probabilmente, questo Malatesta troverà la via teatrale, diventando uno spettacolo itinerante per il castello. C’è da augurarselo, ce n’è bisogno, d’altronde, nel Documento Unico di Programmazione da poco assunto dal Comune di Rimini si legge che una delle ‘missioni’ del 2018 sono proprio le “celebrazioni 550 anni dalla morte di Sigismondo Pandolfo Malatesta”. Nel medesimo documento scopriamo che “Il tema della Biennale 2018 si intreccerà con l’importante anniversario della morte del signore di Rimini Sigismondo Pandolfo Malatesta avvenuta il 9 ottore (sic!) 1468, ospitando al suo interno una mostra di tema malatestiano”. Speriamo bene. Intanto, intorno al Malatesta ci si è dimenticati di fare la cosa più ovvia: avviare una partnership con il governo francese per un imponente revival di Montherlant, un classico in Francia, le cui opere, compresa la pièce sul Malatesta, sono recepite in quattro tomi stampati dalla ‘Pléiade’ Gallimard, la collana editoriale più celebre al mondo. D’altronde, s’è capito quanto interessino simili sfizi culturali all’amministrazione: al di là dell’onnipresente dirigente Piscaglia, nessun membro della giunta è al castello per il Malatesta, ma i soliti arditi.

Non ci sono soldi per gestire il ‘Galli’. Che novità…
Ma torniamo a bomba al DUP, che definisce la nostra vita riminese fino al 2020. Preso atto che per la voce “tutela e valorizzazione dei beni e attività culturali” è prevista una spesa di 6 milioni e 28.597 euro, al di là delle bestialità che ci tocca leggere (“è del tutto evidente che ad un cambiamento dell’‘hardware’ della Città si debba necessariamente collegare un cambiamento del ‘software’”, ’azzo, siamo ancora alla retorica dell’hardware e del software?, consigliamo ad Andrea II Gnassing di cambiare ghost writer) e dei numeri, irrisori, che ci tocca subire (tra Biennale del Disegno e celebrazioni malatestiane leggiamo alla voce “valore atteso” in “presenze totali visitatori” la cifra, modestissima, 22mila; ora, se lo tsunami di finanziamenti culturali previsti per la Biennale porta 22mila visitatori attesi, beh, è meglio fare un bel ragionamento sull’attività espositiva riminese…), c’è una nota interessante. Mentre Museo della Città, Biblioteca Gambalunga e Cineteca Comunale “rimarranno in gestione diretta” – sperando che entro il 2019, per i suoi primi 400 anni di vita, il Comune regali alla ‘Gambalunghiana’ almeno un direttore – il Teatro Galli e gli spazi teatrali civici, finora sotto egida comunale, andranno a terzi, ad altri. “Si può fin da ora osservare che, salve diverse motivate scelte, le limitate risorse finanziarie disponibili nella parte corrente del bilancio, unitamente ai limiti stabiliti dal Legislatore alla spesa di personale, orientano la scelta delle formule gestionali verso i modelli di gestione alternativi alla gestione diretta”. Il processo, però – come è consueto sotto l’amministrazione del ‘supergiovane’ Gnassing – sarà lento e nebuloso. “Gli anni 2018-2020 si dovranno caratterizzare, in prima battuta, per l’analisi del contesto del mercato nei diversi settori delle attività culturali (prosa, musica, cinema, arti figurative, ecc.) e la conseguente formulazione all’Amministrazione delle proposte di gestione dei contenitori culturali. In una seconda fase dovranno essere gestite le procedure preordinate alla scelta del contraente ed avviata concretamente la gestione”. Ma tali ragionamenti non avrebbero dovuto essere già fatti e digeriti, quando ci si è messi a restaurare il Galli? Insomma, chissà se i nostri nipoti vedranno mai una gestione virtuosa, qualsiasi, del Galli, pronto, si legge, “entro la prima metà del 2018”. Auguri.

Fotografia: © Gianluca Moretti

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