“Tornare a crederci”: manifesto sul futuro del turismo a Rimini, senza nascondere la verità sul presente

“Tornare a crederci”: manifesto sul futuro del turismo a Rimini, senza nascondere la verità sul presente

In vista dell'incontro pubblico del 4 ottobre promosso da Mauro Santinato dedicato ad una franca riflessione sul turismo riminese, Giuliano Ghirardelli (competente conoscitore della materia anche dal punto di vista delle "puntate precedenti"), offre un appassionato e approfondito contributo. Non nasconde la realtà: "Bisogna scoperchiare la coltre dei comunicati trionfalistici per scoprire quello che sotto indica incontestabili e strutturali difficoltà". Ma partendo dal passato ("la nostra generazione ha scoperto il Mondo con il Turismo") arriva ad indicare strade da percorrere. E lancia una sfida culturale più che economica: "I riminesi di oggi sembrano non avere più nessuna voglia o interesse ad impegnarsi, come in passato, nell’avventura turistica!"

Bene ha fatto Mauro Santinato – affermato consulente turistico, ramo alberghiero – a convocare per il 4 ottobre (Hotel Savoia, ore 14.30-18) un incontro pubblico sul futuro del Turismo a Rimini. La sua indipendenza di giudizio, così come l’ho potuta apprezzare in questi ultimi anni, e la sua preparazione sono garanzie per un dibattito franco, coraggioso, e che non giri a vuoto: all’altezza di una situazione che non è tutta rosa e fiori come vorrebbero dipingerla.
Purtroppo le cose non vanno a gonfie vele: bisogna scoperchiare la coltre dei comunicati trionfalistici per scoprire quello che sotto indica incontestabili e strutturali difficoltà. Che poi, diciamolo, non c’è nulla da scoprire. Basta fare una passeggiata al mare, soprattutto nelle traverse interne, da Miramare a Torre Pedrera, passando per Marina Centro, per toccare facilmente con mano quello che Santinato ha così sintetizzato: “… A Rimini negli ultimi 30 anni sono stati costruiti solo due alberghi completamente nuovi, dalle fondamenta. Nel frattempo ne sono stati chiusi 700…” Una porzione di quest’ultimi, decine e decine, sono chiusi, abbandonati, in parte già nella spirale di un degrado che non ha nulla da invidiare a quello esibito dalle colonie. Non solo, ma quanti sono gli hotel messi in vendita che non trovano acquirenti? Quasi tutti. Valutati qualche anno fa abbondantemente sopra il milione di euro (parlo dei più piccoli), ora non si vendono né a 600mila euro, né a 400mila e, in alcuni casi, neppure la cifra di 300mila ha invogliato qualcuno. Sono strutture in procinto di chiudere.

Uno dei tanti hotel chiusi e in degrado a Rimini

Tutte le cause indicate da Santinato sono giuste e vere: calo massiccio della redditività (vedi prezzi bassi, la clientela straniera difficile da recuperare, ecc.), obsolescenza dell’offerta e dei servizi perché l’innovazione tarda ad arrivare (e così pure le ristrutturazioni), la destinazione che nel suo complesso ha perso di prestigio nonostante l’impegno notevole nella riqualificazione del centro storico, l’assenza di un vero e proprio polo del benessere…
Ciononostante Rimini possiede ancora tutte le potenzialità per tornare a brillare pienamente. Basti pensare alle novità di spiaggia, alla grande Fiera, al Palazzo dei Congressi, all’Aeroporto di domani, all’offerta crescente di eventi e di cultura, alla gastronomia di qualità diffusa nel territorio, ai 300 e più alberghi dignitosamente moderni capaci di accogliere ospiti lungo tutto l’arco dell’anno, ed altro ancora.
La città ha delle buone, buonissime, carte da giocare… a patto di non assecondare quel passivo conto alla rovescia che, secondo alcuni, dovrebbe portare a dimezzare ulteriormente il patrimonio ricettivo, ovvero il motore più importante di una località turistica come la nostra. Ma, soprattutto, a patto di non nascondere la verità, superando reticenze e opportunismi dilaganti. A patto di non limitarci a ragionare solo sugli aspetti economici, fondamentali è chiaro ma non gli unici.

E’ evidente che per rilanciare il settore alberghiero è necessaria una ‘rivoluzione urbanistica’ con tanto di finanziamenti annessi… ma se poi mancano le risorse umane? Ti faccio un esempio, caro Santinato, che tu conosci bene: parecchie strutture che hanno chiuso i battenti, o lo faranno da qui a poco, erano gestite da “vecchi” albergatori che non hanno trovato nei figli o nei nipoti degli epigoni interessati. E qui non c’è solo di mezzo la redditività. C’è qualcos’altro, che riguarda i cambiamenti sopraggiunti all’interno della nostra comunità, fra tutti noi, nel corso dei decenni. Cosa che potremmo capire meglio ripercorrendo la Storia che abbiamo alle spalle, una Storia che non possiamo misconoscere e che riguarda anche gli aspetti umani di tutta la vicenda; e che conteneva ipotesi ed embrioni di modelli turistici, e modelli di città, che non dobbiamo ignorare o accantonare a cuor leggero. Tu, invece, dici: “Capita ogni giorno di sentire il piagnisteo di turisti e operatori che rimpiangono i tempi andati…”
Permetti? Te li voglio riepilogare, raccontare nuovamente, quei ‘tempi andati’, per vedere se da loro viene fuori qualche indicazione preziosa, o quanto meno utile.

Devi sapere – e te lo dico tutt’in una volta – che, soprattutto per la nostra generazione, quella nata nei decenni ’40 e ’50, il Turismo è tutto! Altro che ‘comparto’, come veniva definito da alcuni politici del posto! A proposito, ci può essere una parola più inappropriata?
La nostra generazione ha scoperto il Mondo con il Turismo, cioè con quella attività economica e sociale che ha “acceso” la Romagna, a partire dagli anni Cinquanta. Ci siamo riempiti lo stomaco. Ci siamo guadagnati i soldi per studiare e comprarci i libri che sognavamo. Abbiamo conosciuto tanta gente, tante storie. I personaggi di quel capolavoro cinematografico che è “Il sorpasso”, Gasmann in testa, noi li avevamo già incontrati alla Pensione Rosina, dove d’estate facevamo i camerieri. Se non erano proprio loro, gli assomigliavano moltissimo. Abbiamo conosciuto anche qualche ragazza molto gentile, molto comprensiva. Poteva essere italiana, tedesca o inglese. Il mondo veniva a trovarci tutti gli anni, d’estate. E lì che abbiamo imparato a servire la gente, senza vergognarcene. Eravamo contenti, quasi gratificati di portare le valigie, e i piatti a tavola: eravamo giovani e squattrinati italiani che stravedevano per quei ‘forestieri’ che arrivavano da Milano, da Monaco, da Londra o da Stoccolma. È lì che imparammo che l’ospite è sacro. Nulla a che vedere con il “cliente ha sempre ragione”. Non era questione di marketing. Forse si trattava del nostro italico complesso di inferiorità. Che importa? Ognuno di noi, gestori dei locali compresi, era come innamorato di quella straordinaria umanità che ogni anno si degnava di entrare nei nostri alberghetti, nei piccoli chioschi o stabilimenti poco più grandi di una cabina di legno.
Questa è una storia che tutti più o meno conoscono. Ma trarne lezioni utili, a quanto pare, sembra quasi impossibile. Peccato.

Allora un popolo – composto in prevalenza da proletari di campagna e di borgata – gettò il cuore (e la famiglia) oltre l’ostacolo, tentando la carta del turismo. Quei romagnoli, nel secondo dopoguerra – dal nulla, da zero – costruirono una piccola-grande fortuna, per loro e per le generazioni a venire. La nostra favorevole posizione geografica e la grande voglia di impegnarsi furono alla base di quello straordinario successo. Sembrava che i turisti di quel tempo venissero tutti da noi; e, così, spuntarono come funghi migliaia di alberghi. Molti se li costruirono con le proprie mani… tutti con le proprie cambiali. Ma c’era qualcos’altro che piacque moltissimo ai nostri ospiti. Ed è qui il punto. Piaceva oltremodo quella capacità di accogliere tutti, di mettere ognuno a proprio agio. Quella simpatia, travolgente e coinvolgente, conquistò l’Europa. Il proletariato di quella Romagna offrì, allora, il meglio di sé. Conviviale, socievole, grazie ad una storia che aveva alle spalle; sapeva vivere in mezzo agli altri con uno stile ed una carica umana insuperabili, forse irripetibili. Uomini e donne. Soprattutto queste ultime avevano conquistato un ruolo da protagoniste, con un’emancipazione concreta, nei fatti… per nulla ideologica. Gente libera, piena di vitalità, di voglia di vivere: capace di andare incontro agli altri sorridendo, e non solo per convenienza…

Fine anni Cinquanta: Embassy: Claudio Semprini, Fred Buscaglione, Almerigo Semprini, Fatima Robins e Guido Mulazzani (ph. Davide Minghini)

Fu allora, a partire dagli anni ’60 e ’70, quindi dopo la grande stagione dello spontaneismo di successo, che venne avanti – ma molto timidamente, purtroppo – l’dea che la nostra città, la nostra riviera, potesse “progettarsi” come modello di accoglienza e di ospitalità: una città che poteva puntare, per vocazione, addirittura ad offrire un contributo alla convivenza mondiale, segnalandosi come città aperta all’incontro, ‘dolce’, in cui si sperimentavano soluzioni umane ed ambientali, coraggiose quanto civili.
Poi le cose si sfilacciarono, un po’ alla volta. E il che spiega, in parte, quella certa disaffezione da parte dei giovani d’oggi; fu in un susseguirsi di novità non tutte positive (provo ad elencarle sinteticamente):

– a partire dagli anni ’70 (anzi, dalla fine dei ’60) la riviera perse continuamente clientela straniera, soprattutto quella che scaturiva dal turismo organizzato; oggi questa componente, al di là dei dati ufficiali, non supera il 10%;

– Rimini non è riuscita a dotarsi di un suo specifico organismo turistico (a tal punto che qualcuno rimpiange la vecchia Azienda di Soggiorno);

– la reazione alla crisi del mercato internazionale (e le conseguenti difficoltà nella bassa stagione) vide la nascita, prima, di Promozione Alberghiera, nel 1968 e, subito dopo, della Cooptur; fu questa la vera svolta, con la quale si gettarono le basi del moderno turismo nostrano, basato sull’aggregazione fra operatori, sul turismo congressuale e fieristico, sul turismo sociale, sull’apertura annuale di molti alberghi. Non riconquistammo il Mondo, ma riuscimmo a metter radici ancor più salde nella domanda interna, sfruttando anche i mesi ‘fuori-stagione’.

Quindi, una storia a lieto fine? Tutt’altro. Il Terzo millennio si apre, sì, con una riviera aggiornata nelle strutture (fiera, darsena, centro congressi, palazzetto dello sport, hotel passati di rango, una parte soltanto però…), ma covando un “male oscuro” che, in prospettiva, costituisce un serio pericolo. Anzi, il pericolo dei pericoli. I riminesi di oggi – eredi immemori del lavoro estenuante ed intelligente delle generazioni precedenti – sembrano non aver più nessuna voglia o interesse ad impegnarsi, come in passato, nell’avventura turistica! E non si parla soltanto di carenza di lavoratori dipendenti.
A questo proposito, Martinese, della CGIL nostrana, aveva così riassunto la situazione: “Il Turismo è rifiutato, come mercato del lavoro, dai residenti!”
C’è qualcosa di più… anzi, di meno. I riminesi appaiono demotivati anche nei confronti dell’attività imprenditoriale. Il settore è giudicato troppo impegnativo. A volte poco prestigioso. Sicuramente poco remunerativo. E così non attira più il “grosso” della comunità. Non solo: una parte discreta della nostra popolazione giudica pesante l’impatto. Sembra annunciarsi una fase – in realtà ci siamo in pieno – in cui gli immigrati sostituiranno i residenti, non solo nel lavoro dipendente ma anche nella gestione delle imprese.
Qualcuno – estremizzando – ha detto: “Le prossime generazioni di riminesi, quando avranno consumato interamente i capitali ereditati da nonni e genitori, andranno a chiedere un posto di lavoro ai cinesi…”.
E non ci sarebbe nulla di male… se ciò non fosse il frutto di una de-responsabilizzazione, collettiva e di massa, che ci passa sotto gli occhi.

Il mitico Gianni Fabbri con Massimo Conti, il maestro del suono Sergio Caprara e Quarto al Paradiso

Sembra che nulla ci sia da fare per arginare la “frana”. Anche la politica non vuole alzare la testa e guardare un po’ più lontano. Ed è ben strano, visto che la città è sempre stata governata da forze che proponevano, ideologicamente (e compresi molti di noi), addirittura di stravolgere il sistema… Non dovremmo, quindi, aver paura di progettare il futuro, visto che ciò non richiederebbe salti traumatici o rivoluzionari. Le scelte rientrano, oggi, nelle nostre possibilità umane.
Ma quali potrebbero essere, queste scelte? Io provo ad indicare le mie, cioè quelle più congeniali alla mia generazione:

– tornare a credere nella vocazione storica di questa città, che non deve essere tradita, dispersa o annacquata, e su di essa costruire e progettare il futuro, salvando innanzitutto il patrimonio alberghiero con scelte coraggiose;

– puntare decisamente sull’Università che, integrandosi con il nostro tessuto economico, deve costituire il motore per l’affermazione di una cultura dell’ospitalità e per il rilancio di quelle motivazioni, soprattutto imprenditoriali, ora incerte;

– battersi affinché la città non accetti alcuna forma di violenza o di prepotenza (da qualunque parte del mondo provenga… o qualunque età abbia);

– prendere il coraggio a due mani e – in attesa delle grandi soluzioni od opere di mobilità pubblica – dare il via ad una campagna convincente, che promuova gli spostamenti a piedi, in bicicletta o con mezzi pubblici, potenziando al massimo le aree pedonali, non inquinate (la qualcosa oggi sta prendendo la direzione giusta, ed è sotto gli occhi di tutti);

– la libera iniziativa, e con essa la libera concorrenza, è sacrosanta (tutti l’abbiamo capito, più o meno tardivamente), ma le regole ci vogliono, e come! E vanno fatte rispettare con autorità, se non vogliamo spingere gli operatori a scannarsi fra loro;

– mettere in campo un impegno aperto e coraggioso, a sostegno dell’accoglienza e dell’ospitalità;

– favorire la gestione partecipata delle imprese e la nascita di cooperative per la gestione di strutture turistiche (nessuno, ad esempio, ha mai promosso cooperative, o società, di giovani aspiranti imprenditori nel settore alberghiero!).

Ai giovani, infine, bisognerebbe dire che è importante non vergognarsi di sognare… abbandonando definitivamente gli altri sogni, quei sogni rivoluzionari, lividi ed astiosi che hanno sempre accompagnato – come un sottofondo musicale cupo e angosciante – il film della nostra vita. I riflessi condizionati da una certa cultura marxista ci hanno impedito, ad esempio, di vedere nel nostro Turismo l’occasione straordinaria per costruire non solo una grande economia ma anche una grande politica… Vi sembra esagerato? Credete che il turismo, come il nostro, che prevede milioni di partecipanti, (in attesa anche di riconquistare ospiti da tutto il mondo), che si configura come un’arena grandiosa di incontri personali e collettivi, non possa offrire il suo contributo – neppure tanto modesto – alla crescita della pace, degli organismi sovranazionali, della comprensione, della libertà, della solidarietà, della salvaguardia dell’ambiente e delle varie culture? E’ possibile se lo si vuole chiaramente e lucidamente. O credete che ci siano molte cose più importanti da fare?

Fotografia d’apertura: © Gianluca Moretti

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