Tra eroi e santi. “L’ultima marcia del tenente Péguy” del riminese Roberto Gabellini

Tra eroi e santi. “L’ultima marcia del tenente Péguy” del riminese Roberto Gabellini

di Alfiero Mariotti L’epica degli eroi canta la vittoria e contabilizza la gloria di un uomo nelle grandi imprese d’armi e d’amori, per dirla con Ario

di Alfiero Mariotti

L’epica degli eroi canta la vittoria e contabilizza la gloria di un uomo nelle grandi imprese d’armi e d’amori, per dirla con Ariosto. La commedia cristiana dei puri di cuore canta – ma non conta – la gloria dell’uomo nella spogliazione quotidiana, nella disfatta, nel naufragio: nella scoperta che essere e fare sono tutto un ricevere, un lasciarsi amare.
A questo secondo genere appartiene L’ultima marcia del tenente Péguy, poemetto in quartine uscito per le Edizioni Ares lo scorso agosto, terzo canto di Roberto Gabellini, poeta maturato puntualmente sul dato storico per scovarvi i segni metafisici dell’eterno presente.
Il testo propone una materia povera, sembrerebbe inerte, quasi un nulla: gli ultimi 23 giorni del poeta francese Charles Péguy in marcia da Bourg-la-Reine, dove lascia moglie, figlioli e lavoro, ad Armancourt, il fronte della Grande guerra; ultimo orizzonte che insegue inseguito: come succede ad ogni uomo nella vita, d’altronde.
Ma – tale quale Castorp della Montagna incantata di Thomas Mann – il tenente Péguy viene freddato in ritirata sul campo di Villeroy il 5 settembre 1914 …. una palla in fronte e ancora in gola il primo grido di battaglia! Come migliaia di altri soldati; vite mai scritte, non epiche, piuttosto comiche.
Riecheggiano allora le parole del Cinque maggio: Fu vera gloria? E Gabellini risponde con una pagina insuperabile, che vale un’intera vita spesa a scrivere e che Péguy avrebbe certamente pubblicato di getto nei Cahiers de la Quinzaine:

Amante della gloria, furioso, sempre audace,
hai imparato che per riuscire a trovarsi
è necessario smarrirsi;
che la gloria più grande, adesso,

è perdersi in mezzo a questi soldati,
alla disciplina comune, alla fede
in ciò che deve accadere; così
che il nemico non riesca a trovare

niente che possa straziare,
cui togliere la vita, niente
che questo abbandono non abbia già consumato,
che non sia già mutato

in una gloria diversa.

L’eroe epico trae la propria gloria dalla vittoria, dalla “resa” del nemico; il puro di cuore nella “resa” all’amico – sia fatta la tua volontà
in ciò che deve accadere;
[così] che il nemico
– e qui non si intendano “i tedeschi”
– non riesca a trovare niente che possa straziare.

La marcia di Péguy è l’abbandono ad una gloria diversa: attesa di qualcosa che ha da venire e consumazione di tutte le autodifese che potrebbero impedire la resa alla grazia, che sempre viene, l’unica che può salvarci, la grazia dell’istante, quella in cui Dio attende nuovo il nostro stupore, il nostro “sì”

fin quando coincida
l’orologio del cuore con l’orologio di Dio.

E di Gabellini “il sì risuona”, dietro Péguy, in uno stile piano come il suo. Fatto di una cadenza come piaceva al poeta della trilogia dei Misteri; ritmo fresco del pudore dei bambini, sempre pronti a lasciarsi sorprendere dalla grazia. La cadenza pura e aperta dei verbi all’infinito e di assonanze al mezzo: perché occorre essere semplici per arrendersi!
Si legano così i tre tempi della vita: le assonanze evocano il tempo della memoria, legano alla storia; i verbi non declinati aprono al tempo futuro; e prima del finale, quando il nemico assale e la battaglia si fa corpo a corpo retrocedendo, il tempo stringe, si consuma tutto nel presente, dove paradossalmente non c’è più tempo: allora i verbi si declinano, la sintassi si fa perentoria perché è nell’azione che si compie la conoscenza definitiva, dove davvero si scopre che

per fare la guerra
ci vuole qualcosa da amare.

Grazie Roberto, fu vera gloria certamente!

[button style=”e.g. solid, border” size=”e.g. small, medium, big” link=”” target=””]tra i milioni richiamati alle armi.
[…]
Questa,
tenente, è la tua gioia, questa
è la tua fede, la purezza del tuo cuore;
la tua guerra per cambiare il mondo,
rifarlo, da dentro questo corpo
che è un popolo, che adesso è un esercito.
Umiltà voluta e ricercata
In cui immergere con gioia,
scoperta imprevista, la tua nuova giovinezza,
la tua nuova parola. Vocazione vera.[/button]

Roberto Gabellini, L’ultima marcia del tenente Péguy, Ares, 2014, pag. 168, 14 euro

Roberto Gabellini (1958) vive e lavora a Rimini. Nel 2010 ha pubblicato La croce non basta, Raffaelli Editore; nel 2011, Pescatori d’Italia. Storie sul bordo del mare, Ugo Mursia Editore. Per il teatro ha curato l’adattamento di Un brav’uomo è difficile da trovare di Flan­nery O’Connor e scritto il testo originale Il cuoco del destino.

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