Un sogno riminese, quasi felliniano

Un sogno riminese, quasi felliniano

Sogni ad occhi aperti in giro per la città, fino al sancta sanctorum di piazza Malatesta: «mi guardo attorno la piazza è stupenda, il cemento è sparito, un prato d’erba verde, niente vasche per pesci rossi, niente nebulizzatori, c’è un elegante percorso che conduce al fossato, cui si accede tramite scalini in pietra. Un altro sogno scaccia il precedente: Gnassi annuncia che s’è pentito». L'intervento di Edoardo Crisafulli. «Sognavo…una sinistra davvero riformista, concreta, alla guida della mia città, mi illudevo che a Rimini finalmente tante cose sarebbero cambiate in meglio».

di Edoardo Crisafulli

“I have a dream”, ho un sogno!, diceva un leader carismatico, straordinario, oltre cinquant’anni fa. Anch’io, nel mio piccolo, avevo un sogno, infinitamente più modesto. Il suo – quello di Martin Luther King – si è avverato in buona parte, benché fosse un’utopia nell’America dell’Apartheid non ufficializzato. Ne sono lieto. Il mio, realizzabile, è svanito come la neve al primo sole. Sognavo…una sinistra davvero riformista, concreta, alla guida della mia città, mi illudevo che a Rimini finalmente tante cose sarebbero cambiate in meglio. Brusco, e amaro, il mio risveglio: la vivibilità di Rimini è nettamente peggiorata negli ultimi dieci anni. A Rimini trascorro pochi mesi all’anno, certo, ma quei mesi li vivo intensamente. Qui sono nato, qui ho frequentato tutte le scuole, dalle Maestre Pie alle Magistrali, qui ho vissuto ininterrottamente per quasi 35 anni, qui sono nate le mie figlie. Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi sono ritrovato a… girovagare per il mondo. Tuttavia la mia città natale è pur sempre casa mia, e tale rimarrà. Ci torno sempre volentieri. Quando ho potuto, l’ho promossa all’estero – nel 2006 con Stefano Pivato, all’epoca assessore alla cultura, organizzammo in Israele una stupenda mostra con i disegni originali di Fellini. E quest’anno ho organizzato un’importante mostra felliniana a Kiev. È a Rimini che ho interessi, amici e affetti. È qui che ho casa – a Borgo Marina, antichissimo borgo riminese divenuto nell’ultimo decennio un caotico agglomerato multietnico, stigmatizzato da alcuni come un ghetto afroasiatico.

La qualità della vita a Rimini, dicevo, è peggiorata. Se seguissi la logica dei guelfi e dei ghibellini, io, uomo di sinistra, dovrei accodarmi agli ammiratori di Gnassi e del PD. Scusatemi, compagni di partito, amici, persone con cui condivido ideali: io non ce la faccio a mentire a me stesso – figuriamoci agli altri – per presunta coerenza ideologica. Nelle elezioni amministrative contano soprattutto i candidati, i fatti concreti e i programmi. Bisogna governar bene, per meritarsi la mia fiducia e il mio voto. Eppure Gnassi, il sindaco uscente, ne ha fatte di cose! Questo è innegabile. Senz’altro l’impresa di gran lunga più importante è stata l’aver portato a termine il progetto del Teatro Galli, impostato dalla Giunta Ravaioli. Questo progetto, sul quale a suo tempo s’impegnò Stefano Pivato, sì che ha dato lustro alla città.
Ce ne sono altri di progetti mirabolanti realizzati in questa città negli ultimi dieci anni, cui la stampa riminese non ha lesinato elogi (il lungomare rifatto, che ad alcuni non piace, per esempio, a me è molto gradito). Perché allora, mi domando e dico, tanti riminesi non avvertono gli effetti positivi, nella loro vita quotidiana, di questa furia costruttrice? La risposta, credo, è semplice: perché dopo un buon inizio, Gnassi, colto da un delirio di onnipotenza, ha pensato solo a opere monumentali, a sua maggior gloria. Anziché fare una pausa di riflessione, dopo la benemerita ricostruzione del Teatro Galli, è voluto partire in quarta con un progetto mastodontico, il Museo Fellini, che avrebbe richiesto ben altri tempi e ben altre modalità di rapporto con la cittadinanza. Tante energie e denari, insomma, avrebbero potuto essere impiegati per altri interventi capillari, per il benessere del centro storico e dell’immagine di Rimini. Il Museo di Fellini ti catapulta sui giornali, la politica delle piccole cose no. Questa è la triste verità. Oppure noi riminesi siamo degli ingrati o degli incontentabili?

Per rispondere con onestà, devo assolutamente visitare il cuore del Museo Fellini, in Piazza Malatesta, ribattezzata piazza dei sogni. Quella l’opera magistrale del sindaco Gnassi, il suo fiore all’occhiello. Lì troverò ispirazione, spero, e me ne farò una ragione: capirò se è valsa la pena trascurare Borgo Marina e altre aree del centro storico, incidendo sulla qualità della nostra vita, pur di dar vita a quel Museo tanto decantato. È innegabile, continuo a ripetere a me stesso, che il sindaco uscente abbia trasformato – sia pure in piccola parte – il volto della città. Altrettanto innegabile che tanti riminesi, pur vicini al PD, desiderino un cambio di passo; quante lamentele sul degrado che affligge una porzione considerevole del centro storico? Pensieri contrastanti mi frullano in testa. Che proprio il Museo Fellini, così com’è stato concepito, non fosse il progetto giusto per la città? Vedere per credere: andiamoci, allora, a questo benedetto Museo Fellini! (Detto a latere: di tutto questo avrei voluto parlare in occasione di quelle primarie per il centrosinistra che non ci sono state. Anzi, avrei voluto partecipare a un bel dibattito pubblico, ancor prima delle primarie cassate d’imperio. Il diritto di parola mi è stato negato. Lo esercito ora, come posso.)
Comincio il mio percorso da Borgo Marina, vicino al ristorante “Artrov”, gestito impeccabilmente da Riccardo Bianchini. Lo vedo da lontano, indaffarato. I suoi collaboratori puliscono i giardini pubblici. Ha vinto un bando del Comune, Riccardo – lodevole iniziativa senza dubbio, questa. Poi però è stato abbandonato a sé stesso.

Comincio a sognare ad occhi aperti: Gnassi, accompagnato dal fido Jamil, viene a complimentarsi con il gestore dell’“Artrov”. “Grazie, per quello che stai facendo, hai riqualificato gran parte della zona vicina alla stazione. Ti sosterremo, gli imprenditori come te sono la linfa vitale della nostra comunità. Sai che ti dico? Il tuo esempio ci ha ispirati. Attueremo un piano commerciale che attrarrà altri imprenditori laboriosi e creativi: via Giovanni XXIII, ingresso in città per i turisti che provengono da Marina Centro, sarà il nostro elegante biglietto da visita. Li vedi quei negozietti che vendono chincaglierie? Ebbene, immaginali tutti ristrutturati e collegati fra loro, ora vendono prodotti made in Italy, moda e artigianato locale, guarda le file di turisti impazienti di acquistare. Lo vedi quel negozietto lì, collanine e altre cianfrusaglie? Ebbene, lì venderanno le tovaglie romagnole di Pascucci. Dove troveremo i soldi, per questo progetto commerciale? Semplice. Abbiamo deciso di spendere solo 7 milioni sul Museo Fellini, con gli altri 6 milioni il Comune acquisterà tutti i negozietti e poi li darà in concessione a giovani imprenditori, con affitti bassissimi. E se questo progetto non dovesse decollare, sai che faremo? Una piccola cittadella universitaria, con servizi per gli studenti.”
Subentra un altro sogno. La coppia Gnassi-Jamil viene sferzata da Terzo Pierani, mitico sindaco di Riccione: ma smettetela con le pataccate! Io, comunista fino al midollo, giammai avrei accettato che Viale Ceccarini si riducesse così. Noi comunisti romagnoli ci ispiriamo al modello cinese: città tirate a lucido, decoro, attività commerciali di alto profilo, interventi nel sociale, integrazione vera, niente ghetti. Questo è il modello emiliano!”

Spalanco gli occhi, ahimè son desto! Dall’“Artrov” sbuco in via Mameli. Un’altra macchina ha parcheggiato, per l’ennesima volta, davanti al mio garage. E se dovessi correre dal medico con urgenza? Una rabbia sorda m’assale. I vigili non rispondono. I vigili non ci sono. I vigili non vengono quasi mai. Forse che i vigili urbani, come i poliziotti, dipendono dal Questore? Sono spariti centinaia di parcheggi dal centro storico, che vuoi che sia, noi abbiamo il Museo Fellini. Oscia te! Un mulinello di cicche, di cartacce, e chissà cos’altro, mi rammenta che qui anche gli operatori ecologici si vedono a ogni morte di papa. Riprende il sogno. I gemelli siamesi Gnassi-Jamil fanno un sopralluogo a Borgo Marina e dicono all’unisono, sì, dobbiamo aumentare i vigili urbani negli organici del Comune, bisogna controllare il territorio, e faremo sì che queste vie vengano pulite almeno una volta ogni 15 giorni.
Il sogno evapora, torno in me, accidenti! Sto per pestare una cacca…umana, in via Mameli. Possibile? Sì, sembrerebbe di sì. Non è la prima volta. Poco più avanti, mentre mi avvicino a via Gambalunga, m’investe un fetore di urina; lì c’è un capannello di stranieri, anzi un bivacco – bottiglie in mano, gozzovigliano. Non me la prendo con dei disgraziati, con chi non ha una dimora decente. Me la prendo invece con una giunta di sinistra che se ne infischia di questi ‘problemini’. Ripenso a quei bagnetti pubblici, in Piazza Ferrari, quante volte ci sono passato davanti quand’ero bambino. Dicono che Gnassi, nella fase ideativa del Museo Fellini, abbia preso a modello le città straniere. Peccato non si sia accorto che a Tokyo, a Kiev e in tante altre città civili ci sono tanti bagni pubblici – collocati nei punti strategici. Noi non abbiamo i bagni pubblici, a Rimini. Ma abbiamo il Museo Fellini, oscia te!

Cammino spedito verso la mia meta, sulla mia destra si staglia Porta Galliana, riportata alla luce su iniziativa di Davide Frisoni, presidente della commissione cultura. Ah, finalmente! Mi rincuoro un pochino. Poi svolto a sinistra e, proseguendo verso il centro, mi appare in bella vista la casa del Chirurgo, voluta fortemente da Stefano Pivato. Questi sì che sono interventi di riqualificazione urbana, ecco come si rilancia l’immagine della città. Ah, se solo un politico di indubbie capacità quale Gnassi è avesse dedicato le sue energie al recupero dell’Anfiteatro romano, e alle mura malatestiane in disfacimento!

Eccomi nel sancta sanctorum: piazza Malatesta, ovvero piazza dei sogni. Una lastra di cemento lugubre la riveste, come un manto grigio. La opprime, la soffoca. Mi viene in mente Eliot, La terra desolata. Non stimola, la cementificazione, alcun sogno felliniano. Semmai fa venire in mente il verbo riminizzare. Tra l’altro, hanno tagliato alberi d’alto fusto per fare questa roba qua. Una piazza rinascimentale trasformata in un circo per saltimbanchi e spettacoli serali. In nome di Federico Fellini, un gigante del Novecento. Oscia te! Non è questione di bello o brutto. È questione di giusto o sbagliato. Uno sfregio al nostro patrimonio architettonico, dunque un’opera sbagliata. Chiudo gli occhi e…nulla! Nessun evento onirico. Allora mi avvicino alla piscinetta per bambini, con tanto di nebulizzatore, vicina al Castello. Dovrebbe evocare ciò che è stato cancellato con il cemento: il fossato monumentale ideato da una mente illustre. Ecco, lì, finalmente, riprendo a sognare. Un riminese sale sull’unico albero rimasto, quello a lato del Teatro Galli, e urla più volte “voglio il fossato”. Con grande costernazione, Gnassi lo riprende: “No, voglio una donna, questo dovevi urlare.” All’improvviso, come per magia, si materializza di fronte a me il fossato voluto dal Brunelleschi, il più geniale architetto d’Italia e fors’anche d’Europa: è profondo quasi quindici metri, ora sì che spiccano le mura poderose del Castello; mi guardo attorno la piazza è stupenda, il cemento è sparito, un prato d’erba verde, niente vasche per pesci rossi, niente nebulizzatori, c’è un elegante percorso che conduce al fossato, cui si accede tramite scalini in pietra. Un altro sogno scaccia il precedente: Gnassi annuncia che s’è pentito: ha deciso, finalmente, di leggersi l’Argan, ha fatto molta fatica a capire, ma si è sforzato. L’arte è arte, osta! Il Museo Fellini si farà in una colonia marina, luogo ben più consono di Castel Sismondo. Il Fulgor diventerà un luogo di collegamento felliniano fra marina e centro. E, poi, aggiunge il sindaco, d’ora in poi dedicherò tutte le mie energie a rendere il centro storico più vivibile: parcheggi, decoro, attività commerciali di alto livello, sicurezza. Jamil, affettuoso, lo prende per mano: “e io, sindaco, ho ripreso i libri di storia in mano. Ora lo so che una città con radici antiche non esiste senza borghi storici o contrade. In Italia i borghi storici, con le loro viuzze e i loro angoli, sono le tessere di un armonico mosaico.”

Il sogno, di nuovo, svanisce. Lascio alle mie spalle la piazza dei sogni, torno al borgo etnico senza regole e senza controlli, è come una doccia fredda.
Ripenso al felice slogan di Pietro Nenni: “il riformismo è la politica delle piccole cose”. Ecco di cosa è impastata la nostra vita quotidiana: parcheggi, pulizia delle strade, decoro, sicurezza, regole, politiche commerciali intelligenti. Ma noi abbiamo il Museo Fellini, oscia te! Mi viene in mente un altro romagnolo, socialista da ragazzo e tiranno da grande: anche costui amava le opere monumentali. La gente faceva la fame ma sgranava gli occhi, vedendo gli edifici col fascio littorio. Oscia te! Chissà a chi dei due si è ispirato l’uomo solo al comando che, dopo dieci anni, vuole passare il testimone a un suo assessore di fiducia che per la sicurezza e il decoro di Borgo Marina e ampie parti del centro storico non ha fatto quasi nulla. La sicurezza, si sa, dipende dal prefetto. Anche i vigili urbani – assenti sul territorio urbano – dipendono dal prefetto, signor assessore? E i parcheggi – spariti – da chi dipendono?

La visita al Museo fellini mi ha fatto bene. Ho trovato la quadra. No, non sono un ingrato, sono piuttosto un cittadino-elettore che ha il sacrosanto diritto di parola. Che ha il sacrosanto diritto di pretendere il meglio da chi lo rappresenta. Non esiste solo il Borgo San Giuliano! Sono incontentabile? Questo, proprio no: pensate a quante cose eccellenti avremmo potuto fare a Borgo Marina con 6 milioni di euro. Tutte cose ottime per l’immagine “globale” di Rimini. Vi sarebbero rimasti ben 7 milioni per il Museo fantasmagorico. Sì, è vero, Gnassi ha fatto alcune cose buone. Ma da un certo momento in poi non ne ha azzeccata una. Se io non trovo mai un parcheggio in centro, se io ho il garage perennemente bloccato da macchine, se io ho una strada piena di immondizia, se la mia casa è invendibile perché la zona in cui vivo è degradata, se le mie figlie hanno paura a uscire la sera da sole, se nel mio quartiere non ci sono negozi di alimentari per i residenti, ebbene, quando vado in piazza dei sogni, di fronte a Castel Sismondo, non dico “oscia, te. Sindaco”. Io dico, semmai, “caro Jamil, il mio voto non lo avrai questa volta. Né tu, né il PD. E lo dico con dispiacere, credimi: sono un elettore di sinistra. Forse, il prossimo giro, ascolterete i cittadini che vi avevano dato fiducia.

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