Una città e un territorio con ventitré secoli di storia

Una città e un territorio con ventitré secoli di storia

Rimini è il punto di confluenza di tre vie consolari conosciute: la Flaminia del 220 a.C., l'Emilia del 187 a.C., la Popilia del 172 a.C.. La quarta via che portava da Arezzo a Rimini, certamente esistita, ma di cui si ignora il nome del console che l'ha costruita e tutto il resto, è stata in questi giorni scoperta alle porte di Villa Verucchio nell'area dello stabilimento SCM.

Questa città è immersa da 23 secoli nelle acque profonde dalla grande storia, non i suoi sindaci purtroppo, uno cessato ha cementato il fossato di Castel Sismondo modellato da Filippo Brunelleschi, e di recente il successore, al quale della bianca rampa di pietra d’Istria verso la città del ponte di Augusto e Tiberio – detto popolarmente solo di Tiberio – non importava niente, l’ha cementata per fare una rotondina stradale. Abbiamo il sindaco più bello d’Italia. Così la voce di una donnetta in piazza Cavour qualche mese fa. Stupidina, non sarebbe meglio se avessimo il sindaco più intelligente d’Italia, o anche solo abbastanza acculturato da capire che di croste cementate e rotondine è pieno il mondo, invece la rampa intatta – di blocchi di pietra d’Istria tagliati nel 14 dopo Cristo, quando Gesù aveva quattordici anni, – voluta da Augusto, il primo imperatore e da Tiberio il secondo (se il bel sindaco volesse conoscerli, in fondo amministra anche la cultura, basterebbe che cliccasse i nomi su Wikipedia), la rampa intatta c’è solo qui a Rimini, per dirne una. Era certamente il caso di affidare a un architetto sensibile e bravo la soluzione del problema per lasciare visibile una parte essenziale del ponte romano. Vero è che gli ‘archeologi’ che hanno sistemato la parte romana del museo non sapevano come era strutturato un ponte romano. E hanno ignorato le rampe di accesso all’area di percorso sopraelevata, dando origine ad una serie di falsificazioni a pioggia anche recenti: il modellino del ponte nel museo è senza rampe, come le immagini del ponte nella chiesa di Santa Maria ad nives che dovrebbero accogliere e istruire i turisti, e come la pianta illustrata di Rimini romana che ci irrita per questo ed altri errori esibita in alcuni luoghi della città. Sono banali, sciatte ed errate raffigurazioni del ponte romano com’è oggi, spacciato per antico.

In questa e nelle altre fotografie che pubblichiamo, lo scavo archeologico nelle vicinanze della sede SCM di Villa Verucchio. Ha fatto emergere anche un tratto della strada che portava da Arezzo a Rimini.

Rimini com’è noto o come dovrebbe essere noto, è il punto di confluenza di tre vie consolari conosciute: la Flaminia del 220 a.C., l’Emilia, del 187 a.C., la Popilia del 172 a.C.. La quarta via che portava da Arezzo a Rimini, certamente esistita, ma di cui si ignora il nome del console che l’ha costruita e tutto il resto, è stata in questi giorni scoperta alle porte di Villa Verucchio nell’area dello stabilimento SCM.

LA VIA FLAMINIA 220 a.C.

Gaio Flaminio Nepote (c.265-217 a.C.) fu un politico e militare romano di tendenze favorevoli alla plebe e contrarie al Senato. Tribuno della plebe nel 232 sottrasse ai Senatori l’Agro piceno già occupato dai Galli Senoni e lo fece distribuire alla plebe romana. Censore nel 220 condusse una via da Roma a Rimini che passava dal territorio piceno. Nel 218 Annibale (247-183 a.C.) aveva sconfitto gli eserciti consolari nelle battaglie del Ticino e della Trebbia e stava per abbandonare la valle padana per inoltrarsi verso Roma. A Rimini Gaio Flaminio, eletto console, per il 217 aveva portato due legioni da Arezzo – seguendo la via del fiume Ariminus Marecchia – e aveva preso le insegne consolari. Informato dai Galli – tutti schierati con i Cartaginesi contro Roma – sulla difficoltà di prendere la città, Annibale aveva preferito la via per le terre etrusche.
Contando di unirsi alle legioni dell’altro console Gneo Servilio Gemino, Flaminio inseguì Annibale
e cadde in una imboscata sulle rive del lago Trasimeno dove il suo esercito venne distrutto e lui fu ucciso.

LA VIA EMILIA 187 a.C.

Il console del 187 Marco Emilio Lepido, condusse la via che prese il suo nome da Ariminum a Placentia. La via ricalcava un percorso pedemontano molto più antico e alcuni centri urbani erano già formati da secoli, come Bononia che i Romani avevano rifondata nel 189, e Placentia fondata nel 218. Nel 187 il console Emilio fondò Regium Lepidi Reggio Emilia e Faventia città dal nome bene augurante. Nel 183 sorsero Parma e Modena.
Insieme alle città vennero centuriati i territori col sistema delle centuriazioni, un grandioso sistema idraulico di scoli, una completa divisione di fossi e strade fino ai singoli campi, che sfruttando la pendenza della pianura, annualmente rinnovato per la straordinaria persistenza della popolazione contadina romana, è arrivato fino ai nostri giorni. Giancarlo Susini (1927-2000) ci insegnava che i Fora località di incontro senza identità politica, avevano assunto importanza istituzionale al tempo della dittatura di Lucio Cornelio Silla (138-68 a.C.). Le città dell’Aemilia avevano parteggiato per Mario e i populares e Silla le puniva riducendo i loro territori in favore di nuovi centri: Forum Corneli, Imola, Forum Livii, Forlì, Forum Popili, Forlimpopoli, Caesena, Cesena. Questi luoghi si appropriavano di consistenti frazioni delle centuriazioni dei più antichi centri. Cesena, che per Giancarlo Susini forse non ebbe mai l’autonomia di municipium, ha mantenuto intatta fino ad oggi la terza sistemazione centuriale di Ariminum che Gerad Chouquer – Les centuriations de Romagne oriìentale – chiama “la centuriation de Rimini-Cesena”.

LA VIA POPILIA 172 a.C.

Il console del 172 a.C. Publio Popilio Lenate, condusse una via che da Rimini passando per Ravenna arrivava ad Adria, che nel 128 a.C. il console Tito Annio Rufo prolungò sino ad Aquileia. Abbiamo la certezza di quanto sopra esposto in base ad un miliario trovato ad Adria nel 1844.
Il percorso adriatico di questa via o di altre parallele è tuttora oggetto di numerose discussioni.

L’ITER ARRETINUM

La strada che percorreva l’alta valle del Tevere e tutta la valle del Marecchia – il nome preromano-romano del fiume è Ariminus di derivazione etrusca -, come abbiamo visto, fu percorsa dalle due legioni di Flaminio nel 217 avanti Cristo durante la seconda guerra punica. Giulio Cesare, superato il Rubicone poco distante dal sito della medievale Bellaria, ed entrato a Rimini, – scrive nel De bello civili – mandò Antonio ad Arezzo con alcune coorti perché l’occupasse. Sembra ovvio che Antonio e i suoi legionari siano passati per la valle del Marecchia. Non mancano altri indizi dell’esistenza di quella che i moderni chiamano via Ariminensis o via arretina. Francesco Vittorio Lombardi ha notato lungo il fiume che le pievi sono situate ad intervalli regolari di distanza quasi fossero sorte nei luoghi delle stationes della via: la pieve di San Michele di Santrcangelo – bizantina ravennate del VII secolo d.C. – la pieve di San Martino di Verucchio, la pieve di Santa Maria in vico di Secchiano, la pive di San Pietro in culto a Novafeltria, la pieve di san Pietro di Ponte messa.

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