Via Melozzo: «la cultura del calcestruzzo ha vinto ancora»

Via Melozzo: «la cultura del calcestruzzo ha vinto ancora»

«La sorte era già segnata al di là di proclami, e nessuno vedrà più quel piccolo tesoretto che era emerso a ricordarci il nostro passato e, in particolare, quello del Borgo Sant’Andrea».

Durante i giorni scorsi si erano palesati i preparativi per la chiusura dello scavo archeologico di Via Melozzo da Forlì, e del suo importante ritrovamento che conteneva. Ciò, come detto da molti attori dell’evento, per proteggerlo in attesa di definirne la destinazione.
Mentre la parte contenente la strada era stata tombata in primo tempo solo con materiale sabbioso, la seconda, riguardante il mosaico e la vasca termale, oltre al medesimo inerte era ricoperta da una rete elettrosaldata. Il tutto poteva essere consono e congruo ad una esile platea cementizia, facilmente rimovibile, che potesse meglio ripartire i carichi del traffico veicolare soprastante, proteggendo ulteriormente le strutture sottostanti.
Oggi invece dopo avere assistito al getto cementizio, e letta la lettera in proposito, mi sono confrontato con chi ha eseguito queste ultime opere significandogli che, a mio avviso, lo spessore della platea di calcestruzzo sembrava troppo eccessivo – circa venti centimetri a occhio – ricevendo una risposta che faceva intendere che quella era stata giudicata la soluzione definitiva.
La sorte quindi era già segnata al di là di proclami, nessuna analisi, ipotesi, idea o progetto, e in sostanza nessuno vedrà più quel piccolo tesoretto che era emerso a ricordarci il nostro passato ed, in particolare, quello del Borgo Sant’Andrea. Ma resta l’amarezza e la profonda delusione che nulla cambierà in tema di attenzione alle vere risorse storiche.
Anche se non c’è da stupirsi dell’accaduto, è l’ormai solito, scontato, collaudato e triste modo di operare figlio di una “riminizzazione” che dal dopoguerra ad oggi, tranne in rarissimi casi, si consuma. Una non cultura tradizionale tramandatasi nel tempo, pregna di un magma cementizio che ha ricoperto indistintamente le nostre radici storiche e culturali.
Anche qui siamo di fronte ad un’ennesima occasione persa, in cui tanto si poteva fare in una parte del Borgo appestata da traffico, da smog veicolare, polveri sottili e solo parcheggi. Avvalorata anche dal grande interesse di pubblico locale e non, che aveva visitato e seguito lo svolgersi dello scavo, e che sperava in un epilogo diverso; altrove forse, ma non a Rimini.
Sono certo che poi qualcuno replicherà che un progetto che ponesse in evidenza quanto ritrovato era troppo costoso, ed altre pindariche motivazioni di circostanza. Al contrario, invece, per nascondere queste testimonianze del passato, ogni spesa è ammessa. Piazza Malatesta docet.
Grazie quindi a chi si riempie la bocca di cultura, in realtà solo chiacchiere, ed a chi in periodo elettorale parla di esportare la cultura stessa nelle periferie; a meno che non sia quella del calcestruzzo. Poi agli enti preposti che spesso assecondano questi episodi.
Infine un solo biasimo al Ministero della Cultura Francese che organizza le giornate europee dell’archeologia, grazie al quale i riminesi hanno potuto prendere visione del ritrovamento. Non prenda più in considerazione proposte cittadine, magari considerate da enti che promuovono la divulgazione del cemento nelle sue varie forme, perché qui da noi non c’è trippa per gatti, la cultura è solo questa.

Salvatore de Vita

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