Lettera: qualche domanda su Rimini capitale italiana della cultura

Lettera: qualche domanda su Rimini capitale italiana della cultura

Vista l'aria che tira per i beni culturali di maggior valore, chiediamoci almeno cosa significhi «città della cultura».

In questi anni abbiamo assistito ad un sistematico snaturamento dei nostri beni culturali cittadini, cominciato con le ridicole passerelle presso il Ponte Tiberio, con la rovina di mura quattrocentesche certificate tali, per finire con la cancellazione del tessuto storico, urbano e sociale di Piazza Malatesta. Oltraggiata dallo spregio all’inedificabilità assoluta data, fra l’altro, dalla vasca della pacchiana fontana posta in quello che era il fossato del Castello Malatestiano. Pure quest’ultimo usato come contenitore di inutili banalità.
Nel frattempo l’importante Anfiteatro Romano è rimasto soffocato dal CEIS, e i molti ritrovamenti avvenuti nel Centro Storico sono stati frettolosamente nascosti, sacrificati a spianate lastricate per tavoli e sedie di attività di mescita. Non se la passano senz’altro meglio le antiche mura cittadine, mentre il “fellinismo” è divenuto l’unico, vacuo, ossessivo e invasivo modello che dovrà caratterizzare la città.
Oggi i fautori di questa sedicente “cultura” d’accatto, sono al lavoro per candidare Rimini quale capitale italiana della cultura 2024, con tutto ciò che ne consegue. Costoro, inoltre, chiedono una mobilitazione generale, morale, civile, culturale della città. Poi, per confezionare meglio l’intento, il comitato apposito si relazionerà con Parma e Ravenna, importanti città veramente e seriamente dedite alla conservazione del loro patrimonio artistico e culturale; e che, data la situazione, non sembrano avere nulla da spartire con Rimini. In quei siti si fa sul serio, altro pianeta.
Come accennato, la situazione riminese è stata gestita in solitario da un solo personaggio, o al massimo da qualche accondiscendentissimo collaboratore. A nulla sono valsi gli appelli e i suggerimenti di rilevanti personaggi o enti della cultura cittadina e nazionale, affinché vi fosse una riflessione su quel che si stava facendo; anzi, chi lo ha fatto è stato posto al margine e tacciato di ostile inimicizia.
Ora invece, a cose fatte, l’improvviso cambio del modo di operare, chiedendo il coinvolgimento di tutti e comprendendo quindi chi non fu mai ascoltato. Facile, ma tardivo.
Rimini è una città importantissima dal punto di vista storico, artistico e culturale ma non riesce ad esprimere al meglio questa sua vera peculiarità, perché è sempre mancata, e tuttora è assente, una vera cultura istituzionale di chi l’ha amministrata, ed è per questo che le occasioni perse si sprecano tuttora. Direi che l’unico importante successo che si possa giudicare tale, è la ricostruzione del Teatro dov’era e – quasi – com’era, ma questo si deve solo all’impegno di Rimini Città d’Arte Renata Tebaldi, e ad illustri personaggi della cultura italiana che allora si spesero per questo; per il resto c’è il nulla. Di quale cultura stiamo parlando quindi? Se non di una confusa miscela di modelli eterogenei, e scollegati tra loro.
Amo la mia città e come tanti altri mi rammarico di ciò e, come altrettante persone, non vedo la giustezza di quella candidatura. Sarebbe una banalizzazione dell’importante riconoscimento che spetterebbe ad altre città italiane più fortunate, dove la conservazione delle radici culturali è avvenuta in modo serio ed appassionato, e per questo più meritevoli. Sono certo che molti la pensino in tal modo, perché questa volta i campanilismi non servono, ma occorre solo l’obiettività.
Mi auguro che questa mia serva per un dibattito sull’argomento, non a beneficio di improvvisati gestori della cultura e a cose fatte, ma sempre gradito nello spirito di un sano confronto costantemente negatoci da chi l’avrebbe dovuto attuare proprio per il suo ruolo istituzionale, dato che parliamo del nostro futuro.

Salvatore de Vita

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