Il sindaco Andrea Gnassi ha tuonato l’altra settimana contro la criminalità mafiosa che, infiltrandosi in regione, sta facendo legna anche a Rimini.
Il sindaco Andrea Gnassi ha tuonato l’altra settimana contro la criminalità mafiosa che, infiltrandosi in regione, sta facendo legna anche a Rimini.
Verrebbe da dire “sutor ne ultra crepidas”, ma diamogliene atto, anche se sono quarant’anni che cittadini e associazioni denunciano la presenza malavitosa in riviera.
Denunce davanti a cui il Pci, all’interno del quale il sindaco Gnassi ha trascorso una vita intera fino a diventare er mejo gallo del pollaio, ha sempre fatto orecchie da mercante, negando l’innegabile.
Perché?
Perché era inaccettabile che una città medaglia d’oro della Resistenza, governata dalle forze della democrazia e del progresso, potesse avere in sé infiltrazioni mafiose.
Ma dov’era il sindaco Gnassi quando quelle denunce fioccavano e lui taceva, contribuendo a permettere a quella criminalità di insediarsi ovunque?
Non crede, signor sindaco, che sarebbe il caso di fare almeno un po’ d’autocritica, chiedendo scusa ai cittadini per quanto i suoi compagni di partito, e lei con loro, avete omesso e censurato in tanti anni di governo?
Ma il vero punctum dolens della sua presa di posizione è un altro.
È laddove lei, accertato che la mafia è l’Antistato, osserva che “…a contrastarla deve essere lo Stato nel suo complesso. Lo Stato non sono solo le forze dell’ordine o la politica: lo Stato sono (attenzione!, ndr) i cittadini, le comunità, le associazioni, gli ordini professionali, i singoli imprenditori.”
Parole da cui si evince un totalitarismo di stampo Hegeliano (per non dire Mussoliniano, ma lasciamo stare) per cui tutto dentro lo Stato niente fuori dallo Stato.
Lo Stato, questo nuovo Moloch del XXI secolo che nella sua onnicomprensività famelica e liberticida tutto assorbe, ingoia e statalizza: cittadini, comunità, associazioni, ordini professionali, singoli imprenditori.
Financo etica e coscienza personale, esattamente come nella Francia centralista e dirigista del dopo Charlie.
Dove, per combattere il terrorismo islamista, il neogiacobinismo di Stato ha dichiarato guerra a ogni identità religiosa (in primis quella cristiana) onde imporre una laicité che, attraverso scuola e istituzioni, possa rimodellare le coscienze con una azione di vera e propria prevaricazione civile.
Fino a indurre il Primo Ministro Valls, in una Robesperriana e grottesca rivisitazione della Rivoluzione dell’89 (quella della Dea Ragione e delle sue feste in piazza) a proclamare una “Giornata della laicità” da festeggiarsi il 9 dicembre di ogni anno.
E tuttavia, signor sindaco, visto che da un male può venir fuori un bene, non potrebbe essere questa un’idea anche per noi?
Ci pensi: una bella festa dello Statalismo Civico subito dopo la Notte Rosa, con tanto di fuochi d’artificio e balli democratici a Piazzale Boscovich.
Solo un dubbio: possibile che il suo vicesindaco, la cattolicissima Gloria Lisi, nei confronti di questo Hegelismo statolatrico e immanentista in cui stiamo gioiosamente affondando, non trovi nulla da ridire?
Semplice insipienza o Parigi val bene una messa?
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