La sconfitta è cocente, con uno scarto di oltre 14mila voti di differenza a vantaggio di Morrone. Le cause di questo risultato sono evidenti. Lettera.
Non sono un politologo, né ho l’ambizione di esserlo, ma riguardo l’ultima tornata elettorale appena conclusasi si debbono fare alcune importanti considerazioni. Ciò perché ho sempre seguito le vicende riminesi e tutti i travagli che hanno attraversato la vita della nostra città specie in quest’ultimo abbondante decennio.
A Rimini non ha perso il PD, ha perso Gnassi e il fatto è ormai troppo evidente. La sconfitta è cocente, drammatica, con uno scarto di ben oltre 14.000 voti di differenza a vantaggio di Morrone, peraltro estraneo a Rimini in quanto proveniente da Forlì. Al secondo si doveva la risoluzione del problema della locale Questura, in un posto più degno e consono, cosa non da poco, che ha permesso ai tutori dell’ordine di espletare la loro attività in maniera più decorosa, specie dopo anni di chiacchiere inutili e siparietti.
Al primo si doveva tutto, in qualche modo; o così pareva. La continua narrazione fantasiosa e mirabolante che ci ha assordato in questi anni, raccontandoci di una Rimini fantastica, in pieno rinascimento, tanto da oscurare sia quello vero e noto storicamente, sia anche il suo vero fautore del tempo.
Ci è stato raccontato di una Rimini rinata, invidiata dalle capitali europee e perché no mondiali, in cui gioielli storici ed architettonici sono stati trasformati in improbabili musei, come pure i luoghi più identitari della città mutati in bizzarri “non luoghi” privi di anima e tristi. Poi eventi sorpassati, trascinati stancamente nel tempo e per nulla attrattivi di un turismo di qualità.
Inoltre un’economia cadente, specie quella turistica ormai obsoleta, opere pubbliche non realizzate per scelta, o male attuate per quelle compiute, in un quadro di approssimazione divenuta modo di governare. Infine l’autoreferenzialità, l’arroganza, la mancanza di dialogo con i cittadini e di ascolto, hanno completato il quadro, assieme alle posizioni non molto lusinghiere della nostra città in tema di sicurezza e vivibilità.
Qualcuno credeva che tutto ciò fosse ripagato all’uomo della provvidenza, al sindaco del fare, a colui che, a suo dire, aveva fatto cose inimmaginabili prima della sua venuta. Ed è questo oggi che il PD locale raccoglie, dopo avere legato indissolubilmente il proprio destino in modo esclusivo a quel personaggio.
Ma cosa è successo? Non è la prima volta che Rimini si esprime, elettoralmente parlando, in modo disgiunto, in occasioni diverse, cioè nel voto locale e nazionale, e anche questa volta in cui le due cose sembravano coincidere, si è ripetuto lo stesso copione.
È ormai assodato che nel voto amministrativo comunale prevalgono equilibri locali legati ad interessi, legittimi sia chiaro, tra elettori ed un quadro politico che governa ininterrottamente la città dal dopoguerra. Uno status difficile da modificare, ma che varia invece quando si esprime un voto a carattere nazionale. Ma in questo caso assume anche un altro aspetto, anche se qualcuno faceva conto del contrario: la bocciatura di Gnassi, del suo operato, e di come il suo partito di riferimento lo ha seguito durante la sua avventura politica in maniera silente, anzi lasciandolo come unico referente.
Gnassi non è la Romagna, non l’ha mai rappresentata perché quella parte della regione nel suo complesso è altra cosa. E’ stato uno strano prodotto locale non esportabile altrove e tale si è dimostrato, ed è stato ben compreso nonostante gli slogan creati ad arte, che questa volta non hanno funzionato.
Comunque sia Gnassi accederà ugualmente alla Camera dei Deputati, grazie al cosiddetto “paracadute” del listino plurinominale. Magra consolazione quindi, che scolasticamente parlando si potrebbe dire “passato per il rotto della cuffia”. Una situazione mesta, forse imbarazzante per chi è abituato alle auto celebrazioni, tanto che per coerenza sarebbe meglio rinunciare. Ma si sa, oggi – purtroppo – la politica è un mestiere, un lavoro come un altro e come tale è necessario tenerselo stretto specie di questi tempi.
Ed eccoci giunti al finale col botto! “Il Paese ci dice che voleva cambiare, il Pd oggi impara che si vince solo se si fanno alleanze”, commenta il cessato sindaco il giorno dopo. Non è un’autocritica, il capire dove si sia sbagliato, ma un rammarico. Se la poteva risparmiare, non è un commento da statista, ma piuttosto da chi è abituato a gestire un potere fine a sé stesso, o essere parte organica di un partito che persegue quella pratica.
Poi vedremo in futuro cosa accadrà e quale sarà la sua utilità a livello locale, venendosi a trovare in un ambiente di minoranza, e dovendosi rapportare e mediare con altri, lui abituato a decidere in assoluta autonomia allontanando le voci fuori dal coro. Sembra proprio che la Romagna sia in altre mani, magari in quelle migliori.
Salvatore de Vita
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