ContrAzione: perché il partito di Calenda a Rimini ha fatto flop

ContrAzione: perché il partito di Calenda a Rimini ha fatto flop

L'analisi post voto del coordinatore provinciale di Azione non è per nulla convincente. A livello nazionale Calenda ha sottratto voti al Pd, da noi è avvenuto il contrario perché questa forza politica si è concepita come una gamba anonima del tavolo sul quale il "partito potere" gestisce la città.

Excusatio non petita, accusatio manifesta. Questa mattina canta il gallo dentro il partito di Calenda a Rimini, e avanza qualche scusa sul risultato bruttino di Azione nella Signoria di Gnassi, inferiore e non di poco anche rispetto alla performance che lo stesso partito (e addirittura uno stesso candidato) ha ottenuto nel resto della Romagna.
«A Rimini Petrillo si è trovato preso nella sfida polarizzante tra Morrone e Gnassi. Molti simpatizzanti moderati, anche vicini a noi, hanno votato per l’ex sindaco». Lo sostiene Roberto Biondi, coordinatore provinciale di Azione, intervistato dal Carlino. La sua però è un’analisi difettosa.
Il coordinatore provinciale ricorda, per giustificare i diversi risultati ottenuti in ambito romagnolo, «che Italia Viva a Forlì e Cesena era molto forte, grazie alla presenza dell’onorevole Marco Di Maio; mentre il Partito repubblicano in quelle zone della Romagna ha un radicamento particolarmente importante». Qualcosa di vero c’è ma l’analisi resta monca.
Cos’è successo nel voto di domenica per il simbolo di Calenda e Italia Viva lo spiega bene il sondaggista Renato Mannheimer oggi su Il Giornale: «Carlo Calenda avrebbe voluto intercettare anche questa quota di elettori: coloro che si sentono di centrodestra, ma non vogliono votare la Meloni. Ma non vi è riuscito. La formazione costituita con Renzi, il cosiddetto terzo polo, ha infatti attirato un numero considerevole di consensi (anche se meno di quanto i promotori auspicavano): ma si tratta di voti (quasi) tutti provenienti dalla sinistra e sottratti in particolare al Partito democratico, da cui proviene quasi il 40% dei voti di Azione-Iv». A Rimini, invece, molto probabilmente è avvenuto il contrario e il Pd ha sottratto voti ad Azione. Bisogna chiedersi il perché.
Azione a Rimini è percepita come una gamba anonima del tavolo sul quale il “partito potere” gestisce la città. Lascia cadere qualche briciola, a volte qualcosa di più, e Azione appare soddisfatta della magnanimità del Pd nei suoi confronti. Chi si accontenta gode, direte voi, e infatti il proverbio qualcosa illumina sul caso specifico. Se ci si comporta da stampella, da obbediente servitore, è normale che l’elettore preferisca il principe cavaliere piuttosto che lo scudiero.
Diciamolo chiaramente: chi ha mai sentito il leader del partito di Calenda a Rimini intavolare analisi in linea con il Calenda pensiero? Disturbare, anche poco poco, su temi di politica e di buona amministrazione? Occuparsi di argomenti, di questioni importanti? Praticamente mai, e dunque mai si è costruito un proprio spazio “autonomo”. Non ha voluto rischiare di entrare in rotta di collisione con il Pd e in particolare con Gnassi. Generalmente il partito democratico si dimostra riconoscente verso chi non disturba il manovratore. Gratifica di nomine e di tutto ciò che è lecito attendersi dalla ricca gestione delle pubbliche risorse. Ma con quale risultato? Che il partito di Calenda a Rimini non morde, manco abbaia, se ne sta accucciato in un angolo. Se sente il fischio giusto corre, altrimenti non si alza nemmeno.
Non è quindi un problema dei pochi mesi di lavoro che Azione ha alle spalle. E’ un problema di qualità del lavoro. E i prossimi risultati saranno ugualmente pessimi se Azione a Rimini rinuncerà ad essere Azione, come ha fatto fino ad oggi. Di tutto questo hanno fatto le spese Alessandro Petrillo ed Elena Leardini. Hanno pagato il fatto che Azione a Rimini si è concepita fin qui come un partitino vissuto all’ombra di Gnassi, senza la minima autonomia né in termini politici né di progettualità alternativa nel decennio del dominio incontrastato del sindaco ora deputato.

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