A Rimini non si salva nemmeno Pinocchio: l’eden perduto di via Brighenti

A Rimini non si salva nemmeno Pinocchio: l’eden perduto di via Brighenti

Fu collocata nel 1970 nel giardino dell'allora scuola elementare Carlo Tonini. Nemmeno una targa rimane a ricordare l'autore. Cinquant'anni dopo in quello stesso luogo ha sede il liceo classico Giulio Cesare ma la statua cade a pezzi. In passato era un parco che brulicava di verde e fiori, grazie alla sensibilità estetica e ambientale del prof. Prosperini. Nello stesso luogo è rimasta una Madonna con bambino dell'artista riminese Guido Baldini, che meriterebbe migliore cura.

In televisione càpita di vedere ricostruzioni virtuali di antichi edifici, piazze o intere città come resuscitate e cristallizzate in un determinato periodo storico. Grazie alla tecnologia si può effettuare una comparazione tra il prima e il dopo, un rapporto visuale del tipo “com’era e com’è”. In una puntata di Passaggio a Nord Ovest condotta da Alberto Angela, molti ricorderanno le spettacolari immagini ricreate digitalmente delle terme di Caracalla a Roma, riportate all’abbacinante fulgore dell’epoca. Il solo pensare di essere eredi di quella civiltà e di quei maestosi capolavori, fa gonfiare la cassa toracica. Non è questo il tema, ma la bellezza sì, c’entra.

Il Pinocchio inaugurato nel cortile della ex scuola elementare Tonini nel 1970 (foto Minghini, Biblioteca Gambalunga).

Su una sua pagina web, dopo averlo meritoriamente riordinato, la biblioteca Gambalunga ha messo a disposizione del pubblico il ponderoso archivio fotografico di Davide Minghini (1915-1987). Di recente mi imbatto in un servizio del fotografo che racconta con scatti in bianco e nero l’inaugurazione di una statua di Pinocchio (1881 – mai) nel giardino dell’allora scuola elementare Carlo Tonini in via Brighenti. Forse sarà perché in quell’istituto insegnò mia nonna materna, ma avverto una spontanea confidenza con il burattino di Carlo Collodi (1826 – 1890) e una vicinanza particolare, quasi fraterna, dovuta ai rispettivi, ahimè analoghi, esiti scolastici. Mentre scarico alcune immagini, mi riprometto di verificare se la scultura sia tuttora dove fu posta nel 1970. Lo faccio una mattina di pochi giorni dopo.

Oggi la statuta di Pinocchio si presenta così e dal 1996 l’edificio scolastico ospita il liceo classico Giulio Cesare.

Dal 1996, l’edificio che prima ospitava la scuola elementare è sede del Liceo Giulio Cesare – Manara Valgimigli. Gentilmente, un collaboratore scolastico mi accompagna nel cortile, dove mi lascia dopo avermi indicato una figuretta indistinta, in lontananza, su di un piedistallo sotto un albero. Rimango solo, piantato come un dolmen, davanti a ciò che rimane di una statua che dalle foto in b/n ritenevo essere di bronzo.

Foto Minghini, Biblioteca Gambalunga.

In realtà è, o meglio era, di cemento armato dipinto, realizzata da autore a me ignoto. Ora è uno sfacelo rugginoso e in gran parte mùtilo, naso compreso, simulacro ferro-cementizio del vilipendio di cadavere.

Appena rientro in possesso di più plastiche sembianze, dal momento che sono là, mi guardo attorno e scatto qualche foto alla corte che circonda l’edificio.

Abbandonata a sé stessa, oramai consegnata alla corrosiva civiltà delle quattro ruote, quella parte di arida terra battuta appare funzionale solo a parcheggio delle auto, deposito di materiale di scarto e cassonetti. Quanto al resto, si nota vegetazione spontanea, qualche bel pino e cedri del libano, poi erbacce, un’assetata vasca di cemento con al centro due putti ora disoccupati e un’edicola votiva con una Madonna e Bambinello costituita da una serie di piastrelle di ceramica dipinte di cui non conoscevo l’autore.

Mi fa piacere precisare che dopo una mia richiesta di informazioni, la segreteria dell’assessorato ai Lavori pubblici ed Edilizia scolastica ha coinvolto a tempo di record varie figure istituzionali. Con altrettanta fulmineità (parlo di ore) ho ricevuto risposta a uno dei due quesiti dalla sezione Periodici/Fondi moderni della biblioteca Gambalunga.

Di Pinocchio non si ha notizia (il ragazzo è vivace), ma la composizione ceramica, inaugurata nel 1966 dall’allora vescovo Emilio Biancheri, come riportato nel trafiletto di un giornale dell’epoca, è stata eseguita dall’artista riminese Guido Baldini (1933-1999). Minghini, l’onnipresente, alla cerimonia c’è. E in proposito, il suo inseparabile obbiettivo poco meno di un anno dopo, vaga nel giardino della scuola per immortalare su pellicola di acetato 6 x 6 a colori un tripudio di vegetazione composto da aiuole con azalee, mughetti, rose di molteplici varietà, tulipani e ortensie, quindi boschetti, piante e rampicanti di ogni genere che salgono lungo le grigie mura confinanti. La vista d’insieme è una composizione equilibrata, un ritmo di scale cromatiche giocate su uno sfondo dominato da concilianti toni del verde.

Il safari botanico del fotografo riportato nell’archivio della biblioteca, conduce di filato alla dimostrazione pratica del “com’era e com’é” a cui si accennava in esordio, peraltro senza ignorare il senso delle proporzioni. Il raffronto con le terme romane è ovviamente incongruo. Quello odierno del liceo di via Brighenti con le immagini del fotoreporter, no. Una energica ex insegnante con cui ho parlato, ricorda come il giardino della scuola Tonini fosse mantenuto con particolare attenzione. «Era il direttore Prosperini in prima persona, a preoccuparsi che quel bel giardino fosse curato nel migliore dei modi», ricorda la combattiva veterana mentre brandisce un cucchiaino come se fosse un gessetto. «Se è andato tutto in malora, di certo non è stata colpa sua». In una descrizione delle immagini pubblicate, Davide Minghini annota: “Nuovo parco scuola Tonini, prof. Prosperini: 9 aprile ’65” e in seguito, nel maggio del ’73 “Giardini [delle] scuole Tonini, opera del direttore prof. F. Prosperini”.

Precisamente come e perché sia avvenuto il cedimento estetico che peraltro precede il subentro del nuovo istituto liceale nel ’96, l’ex docente non lo sa, ma ritiene innegabile che trascorsa l’era del direttore “dal pollice verde”, sia iniziato il declino del piccolo parco. Di regola, quando si parte da una buona base, non dovrebbe essere facile e naturale perpetuare nel tempo una piacevole ambientazione? Forse considero le cose da una prospettiva troppo elementare. Al punto che l’associazione con il rondò del Grand Hotel, mi viene immediata.

Un tempo (vedi gli anni ’70), la rotonda era divisa in quindici variopinti inserti. Da raffinata macchia verde e fiorita per fare da elegante proscenio ieri, oggi è una rozza landa desolata e polverosa a rappresentare l’insipiente valutazione delle bellezze ereditate senza merito. Tra queste, l’ignorata grande Ferrania, derelitto simbolo di uno spicchio di storia riminese, vive giorni sempre più cupi. Verificare per credere. Evito di proposito di citare i troppi pezzi pregevoli della Rimini antica che attendono restauri urgenti e altri che invece hanno subìto interventi totalmente fuori luogo, purtroppo definitivi. La Piazza dei Sogni…! E io che me la prendo per un giardino perduto, con una statuetta e una ceramica sprofondate nell’oblìo.

Profetiche, le considerazioni dello storico dell’arte Pier Giorgio Pasini che in un passo del volume “Acqua da bere, acqua da vedere. Le fontane di Rimini” (P. G. Pasini – Annamaria Bernucci, Amir, 1993, La Pieve) afferma: «[…] In questo senso giovò indubbiamente la cronica esiguità dell’erario pubblico, che impedì di attuare quegli insani progetti; a Rimini si debbono proprio alla benemerita e sempre auspicabile povertà delle casse comunali – più che alla saggezza dei maggiorenti – molti altri “salvataggi’ monumentali e urbanistici, in tutti i tempi». Il Professor Pasini fornisce dunque la balestra. Il lettore decida verso chi scoccare, intendo solo simbolicamente, il dardo.
Io un’idea l’avrei.

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