Sospesa a cinque metri d'altezza, avrebbe permesso di collegare il centro storico (tutto pedonalizzato) con la zona del mare e poi con le periferie. E in seguito unito Viserba a Riccione. Un piano che andava di pari passo con il potenziamento della linea ferroviaria, immaginata come metropolitana di costa. Ora, invece, avremo due "metrò".
Una monorotaia sospesa a cinque metri di altezza che, una volta completata, avrebbe avuto una lunghezza di quasi 50 chilometri. Una prima tranche di dodici chilometri nel centro storico di Rimini, per poi prolungarsi a sud, verso il mare e anche in parte dell’area urbana periferica. Col progetto di estendersi da Viserba a Riccione. Altroché Trc, però. E altroché devastazione di intere parti della costa, come è avvenuto col metrò nella Perla verde.
La monorotaia avrebbe trasformato Rimini in una sorta di grande parco o esposizione permanente modello Disney o Expo, assolvendo ad una funzione di mobilità innovativa e con una caratterizzazione assolutamente originale e all’avanguardia per una meta turistica internazionalmente nota, quale Rimini.
E’ il febbraio del 1972, esattamente 45 anni fa, quando un architetto importante, che aveva progettato qualche anno prima il campus universitario di Urbino (dove firmò vari interventi anche in seguito), si presenta nel consiglio comunale di Rimini per illustrare la sua idea di sviluppo urbanistico della città, all’interno di un incarico legato alla stesura del nuovo piano regolatore. Si tratta di Giancarlo De Carlo (1919-2005) e il progetto di cui stiamo parlando è quello del “mono-rail”. Il richiamo diretto è al Minirail, mezzo semiautomatico che viaggia su una trave monorotaia, appunto, che già si era visto all’opera, seppure la sua diffusione su più ampia scala sarà successiva.
La stampa nazionale si butta a capofitto sulla notizia e il Corriere della Sera annuncia un “progetto avveniristico per il centro di Rimini”.
Di esempi collaudati ce n’erano pochissimi. In Italia, a Torino, dove questo mezzo di trasporto (nella foto di Paolo Monti) fu inaugurato in occasione di Expo 61 ma ebbe vita brevissima. All’estero soprattutto a Montreal (Expo 67), Seattle e Tokyo, città che si erano già incamminate su questo tipo di tecnologia negli anni 50 e 60. La monorotaia di Rimini sarebbe stata comunque più lunga di quelle operative nel mondo. Molte altre sarebbero sorte in seguito, fino a quelle all’interno dei parchi di divertimento a tema.
“Il mono-rail ha il pregio di non interferire con le normali correnti di traffico, un po’ come la metropolitana, ma ha, rispetto a quest’ultima, e anche rispetto alle stesse strade urbane a scorrimento veloce, notevoli vantaggi di costi”, spiegò De Carlo. La mente trasportistica di De Carlo per la monorotaia di Rimini è un ingegnere esperto del settore, Guglielmo Zambrini. Comprendendo subito e molto bene che il problema della mobilità di Rimini è costituito dall’imbuto della viabilità interna, che soprattutto in coincidenza coi flussi turistici genera un traffico caotico e ingolfato, come quello di una grande metropoli.
La monorotaia avrebbe permesso di pedonalizzare il centro della città e messo in relazione i poli di maggiore importanza con un mezzo sopraelevato. Dietro c’era un’idea intelligente di trasporto pubblico, che risolveva problematiche e non le aggravava, leggero, “fuori strada”. Un sistema locale di mobilità integrato con il potenziamento dei collegamenti ferroviari, in un’ottica di metropolitana di costa. Esattamente l’opposto del progetto del Trc, che ha sostanzialmente “raddoppiato” la ferrovia e che non risolverà i nodi della mobilità interna.
Per il mezzo “volante” si arrivò anche a individuare il fornitore. Si era quindi arrivati in una fase avanzatissima. Non un sogno ma un progetto cantierabile, come si suol dire. Poi, com’è accaduto spesso a Rimini (anche la nuova cartolina firmata Foster, Nouvel e De Smedt sembrava cosa fatta e sempre il Corriere della Sera titolò, nove anni fa, “Rimini come Dubai, in soli tre anni”) non se ne fece nulla.
Un’utopia? No, spiegò De Carlo, “le proposte del nostro piano sono certo proiettate verso il futuro, ma sono realizzabili se esiste un’adeguata volontà dell’amministrazione comunale”. Oltre alla monorotaia, De Carlo col suo piano regolatore si poneva l’obiettivo di “sottrarre l’espansione urbana alla speculazione fondiaria”. “Noi riteniamo – disse all’epoca – che il territorio sia stato, sinora, organizzato a favore delle classi che detengono il potere”. E il servizio del Corriere della Sera così si chiudeva: “Rimini, si sa, è venuta più volte alla ribalta per clamorosi scandali edilizi, in cui si sono visti coinvolti prestigiosi esponenti (comunisti, psiuppini, socialisti) delle amministrazioni di sinistra”. Siamo ancora qui a fare i conti coi fantasmi della speculazione e del mattone, se è vero che la giunta Gnassi ha messo al centro del proprio programma il motto “basta cemento”.
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