Anche a Rimini serve un «drago» per salvarci dal borsino elettorale dei «numeri secondi»

Anche a Rimini serve un «drago» per salvarci dal borsino elettorale dei «numeri secondi»

Mario Draghi ha lanciato dal Meeting di Rimini quello che, letto oggi alla luce dell'incarico affidatogli da Mattarella, appare come una sorta di manifesto programmatico per l'Italia. A Rimini, invece, la drammaticità del momento sfugge e le elezioni comunali sembrano un gioco al ribasso, senza «numeri primi» in campo. C'è ancora tempo (poco) per rimediare.

Il panorama in vista del voto di primavera (o di settembre) a Rimini è disarmante, debole, sconfortante. E’ la fiera dei «numeri secondi». Comunque la si guardi, lo spettacolo è questo. Vale per il secondo di Andrea Gnassi, Jamil Sadegholvaad (il più accreditato a spuntarla nel campo del centrosinistra, ma ci sono anche numeri terzi che scalpitano per lo stesso ruolo) e vale un po’ in generale per altre carte che anche nel fronte avversario si stanno disponendo sul tavolo con l’ambizione di vincere. Il problema è che non basta la volontà di affermarsi per riuscire nell’impresa. Perché non è sufficiente la somma algebrica dei voti del centrodestra (e nel caso di certe autocandidature c’è il rischio che non si raggiunga nemmeno la somma algebrica), come ha giustamente fatto notare il senatore Antonio Barboni nella intervista a Rimini 2.0.
Ora che sulla scena politico-istituzionale dell’Italia si affaccia Mario Draghi, chiamato a servizio della nazione dal presidente della Repubblica e mosso a rispondere “presente!” dalla «difficoltà del momento», come ha dichiarato uscendo dal colloquio con Mattarella, dalla «drammatica crisi sanitaria, con i suoi gravi effetti sulla vita delle persone, sull’economia, sulla società» e dalla consapevolezza che «l’emergenza richiede risposte all’altezza della situazione», anche a Rimini è tempo che un drago decida di spendersi per un «un cambiamento epocale» (Massimo Lugaresi, Salvarimini).
Da dove può venire questa figura in grado di imprimere una svolta? Purtroppo i «numeri secondi» sono sempre i primi a farsi avanti. I tanti che avrebbero qualcosa da dare a Rimini, che hanno maturato esperienze e professionalità di alto valore, che hanno dimostrato di saper costruire piccole e grandi opere che si sono messe in luce anche ben al di là dei confini comunali, sono restii a mettersi in gioco. E per tante ragioni più che comprensibili. Chi vale tanto preferisce spendersi nel proprio lavoro o buen retiro che sia, ha pochissima voglia di imbarcarsi in una avventura amministrativa locale segnata da un’alta litigiosità e da forti rancori. Vale per gli imprenditori con aziende di peso, vale per i professionisti di rango, vale anche per quegli uomini e quelle donne della società civile che non cercano investiture politiche a buon mercato, semplicemente perché non ne hanno bisogno.
Ma ci sono frangenti della storia nei quali è la realtà a reclamare il coraggio dei «numeri primi».
«Se hai perso il denaro non hai perso niente perché con un buon affare lo potrai recuperare, se hai perso l’onore hai perso molto ma con un atto eroico lo potrai riavere, ma se hai perso il coraggio hai perso tutto». Lo disse Mario Draghi quando, intervenendo nel 2009 al Meeting, concluse il suo intervento con queste parole (qui).
Poi ci è tornato. Inaugurando la «special edition» del Meeting 2020 (qui) Mario Draghi ha messo le basi teoriche del suo incarico da premier. E’ partito dalla crisi finanziaria del 2008 («la più grande distruzione economica mai vista in periodo di pace») ed è passato a trattare l’esplosione della pandemia che «diffonde incertezza, penalizza l’occupazione, paralizza i consumi e gli investimenti». Ha spiegato che i sussidi non bastano, «servono a sopravvivere, a ripartire» ma «ai giovani bisogna però dare di più: i sussidi finiranno e resterà la mancanza di una qualificazione professionale, che potrà sacrificare la loro libertà di scelta e il loro reddito futuri». Un concetto che è stato colto come il controcanto al Conte di Palazzo Chigi e alle politiche di corto respiro della sua, all’epoca, maggioranza. «Dalla politica economica ci si aspetta che non aggiunga incertezza a quella provocata dalla pandemia e dal cambiamento. Altrimenti finiremo per essere controllati dall’incertezza invece di esser noi a controllarla. Perderemmo la strada». Parole che suonano oggi, alla luce di quel mandato appena ricevuto da Mattarella, come un manifesto programmatico. Non a caso i media nazionali ripropongono quel discorso.

Il sito del Corriere.it mette in primo piano il discorso di Draghi al Meeting 2020.

«Ora è il momento della saggezza nella scelta del futuro che vogliamo costruire», aveva scandito l’ex presidente della Banca centrale europea. Spiegò la differenza fra «debito buono» e «debito cattivo» e lanciò l’imperativo del «ritorno alla crescita», ricordò «le tre qualità indispensabili a coloro che sono in posizioni di potere»: «la conoscenza per cui le decisioni sono basate sui fatti, non soltanto sulle convinzioni; il coraggio che richiedono le decisioni specialmente quando non si conoscono con certezza tutte le loro conseguenze, poiché l’inazione ha essa stessa conseguenze e non esonera dalla responsabilità; l’umiltà di capire che il potere che hanno è stato affidato loro non per un uso arbitrario, ma per raggiungere gli obiettivi che il legislatore ha loro assegnato nell’ambito di un preciso mandato».
Anche Piazza Affari ha festeggiato l’arrivo di Draghi e lo spread tra Btp e Bund tedeschi è sceso in area 105 punti (il minimo dal 2016). Fa bene anche al titolo di Cagnoni. Se non si può andare al voto (Mattarella dixit) non resta che Draghi.

Ad applaudire energicamente Mario Draghi, il 18 agosto scorso in Fiera, in prima fila c’erano i big del Meeting, e fra questi Emilia Guarnieri. Nelle scorse settimane i boatos mettevano in circolazione anche il suo nome come candidato sindaco «alternativo» allo status quo. Nei mondi del centrodestra se ne è parlato e se ne continua a parlare di questa ipotesi. Non è dato sapere se ci siano stati o meno contatti con la diretta interessata e se questa sia o meno interessata a valutarla. Ma candidati in grado di sparigliare i giochi e aspirare, elettoralmente parlando, ad una possibilità di successo, hanno – inutile girarci intorno – un identikit contrassegnato da autorevolezza, radicamento, riconoscibilità, reputazione, visione e trasversalità.

La città guarda con un certo smarrimento ai «numeri secondi» posizionati ai nastri di partenza, perché ha tutto l’interesse che sia nel recinto del centrosinistra che in quello del centrodestra emergano figure degne di palazzo Garampi e della sfida della ricostruzione post-pandemica. Nei loro curriculum dovrebbe potersi leggere qualcosa di più di quanto non si legga nei cursus honorum dei nostri contendenti. C’è ancora tempo (poco) per provarci.

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