Aree in fregio: i meriti di Chicchi e l’usucapione “farlocca”

Aree in fregio: i meriti di Chicchi e l’usucapione “farlocca”

A togliere dal limbo la situazione che si era venuta a creare dopo che il Comune fu costretto a pagare 290 milioni delle vecchie lire, fu Giuseppe Chicchi negli anni 90. Ma, racconta questa informata lettera, la cessione delle aree in questione dallo Stato al Comune ebbe un "vizio" d'origine. E non solo. Prima della "legge Monti" (2013) i beni di cui si sta discutendo appartenevano al demanio marittimo e come tali non possono essere oggetto di usucapione.

Caro Gioenzo Renzi, mi fa piacere che la Minoranza su questa vendita dell’area in fregio al lungomare si sia fatta sentire, ma nel Suo racconto storico manca una parte importante, ossia l’azione che ha svolto il Sindaco Giuseppe Chicchi (giugno 1992-giugno 1999).
Il quale prese in mano il limbo che si era creato dopo il pagamento dei 290 milioni di lire, a causa del fatto che lo Stato (Intendenza di Finanza di Forlì) stabilì che per i rimanenti terreni liberi continuava il vincolo a verde.
Una situazione che negli anni nessuno aveva avuto il coraggio di affrontare in quanto il Comune l’unica azione che avrebbe potuto espletare sarebbe stata quella di chiedere lo sgombero dei parcheggi perché non poteva richiedere affitti per qualcosa che lo Stato gli aveva proibito di fare. In ragione di questo stallo venne fuori la leggenda metropolitana che le aree in fregio non erano del Comune, un espediente molto utile per nascondere la realtà. E così, mentre il Comune aveva cercato di aiutare i privati, seppure nel solco di una inerzia colpevole, il “grazie” sarebbe arrivato con le richieste di usucapione.
Il merito dell’amministrazione Chicchi fu di togliere questo vincolo pagando anche per gli anni che i lotti erano stati usati per altri scopi, qualcosa pari a qualche miliardo di lire.
In ragione del pieno possesso, fu la stessa Amministrazione che concordò canoni da 20 a 30 milioni di euro per area a parcheggio, che non erano certo quattro spiccioli.
Un’azione complessiva che vide a quei tempi il centrodestra su sponda avversa ossia per la vendita agli alberghi, tanto è vero che alcuni consiglieri del Pd di allora raccontavano di essere stati presi a male parole da un consigliere di Fi per aver sostenuto la linea del Sindaco anche in contrasto con un’assessore che voleva vendere.
Già che ci siamo vorrei pure aggiungere che durante il suddetto percorso amministrativo con l’Intendenza di Finanza venne fuori che in realtà le aree in fregio non erano un bene patrimoniale, ma bensì un bene del demanio marittimo, quindi la cessione del 1924 in termini di legge era nulla e poco importa che l’Intendenza si difese con una lunga lettera, perchè l’unico modo per il trasferimento di un bene del demanio marittimo può avvenire solo attraverso un Decreto Interministeriale a firma dei Ministri delle Finanze e delle Infrastrutture, cosa credo che non sia mai avvenuta.
Che poi il Comune ne possa mantenere la proprietà in forza della “legge Monti” (Finanziaria 2013, art. 56 bis, qui) è un discorso, ma le richieste di usucapione in corso e/o passate in giudicato sono da ritenersi altrettanto nulle in quanto fino alla suddetta norma Monti i beni in questione formalmente appartenevano al demanio marittimo che come è noto non può essere oggetto di usucapione.
Una strada che, se riconosciuta nei tribunali, potrebbe far dire ai cittadini riminesi espropriati malamente dei propri beni, “chi di spada ferisce di spada perisce”. Dove ovviamente in questo caso la spada è la legge.
Parimenti al Comune non possono essere richiesti rimborsi di sorta avendo fatto quello che lo Stato attraverso l’Intendenza di Finanza gli aveva chiesto, quindi se non c’è dolo i rimborsi dopo cinque anni sono prescritti.

Giulio Grillo

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