Avarcurdè di Via Soardi, la strada degli antiquari?

Avarcurdè di Via Soardi, la strada degli antiquari?

Si accende un faro sulla strada di centocinquanta passi che dagli anni ’60 ai ’90 ha visto insediarsi ben otto attività dedicate ai pezzi “d'antan”. Una concentrazione che portò la Rimini provinciale del tempo a misurarsi con le grandi città di affermata tradizione in questo settore. L'occasione è data da una mostra presso il Museo della Città: l’opera principe è il dipinto di Cesare Filippi “La bottega dell'antiquario”, con relativi studi e bozzetti in omaggio al pittore. Intervista a Giovanni Luisè, che al civico 17 aprì la prima “antichità” insieme a Maurizio Balena, e che oggi è l’artefice della riscoperta di un’esperienza memorabile.

Credo sia la prima volta che a Rimini si tenga una mostra che punta un fascio di luce e di curiosità lungo la storia di una stretta via dall’atmosfera avvolgente e magnetica, sbirciata di sguincio anche dai 55 metri del campanile della chiesa di sant’Agostino. Se una strada del centro storico è stata il proscenio degli antiquari riminesi, questa è sicuramente via Soardi. Riporto il gradevole racconto che mi ha fatto Giovanni Luisè, libraio antiquario, ispiratore e organizzatore della mostra che si terrà dall’11 di febbraio al 26 di marzo presso il Museo della Città in Via Luigi Tonini. L’inaugurazione, con la presenza del promotore, è alle 17.

Visione vertiginosa. Via Soardi osservata dal campanile di Sant’Agostino, un’esperienza emozionante per la quale ringraziamo Isabella Brighi.

Il catalogo della mostra è di circa 150 pagine a colori. Le copie, stampate in numero di 150, sono numerate. L’impaginazione, la grafica e le fotografie sono dovute alla creatività di Augusto Selvatici. I testi sono di Giovanni Luisè.

Il tema conduttore della mostra ideata da Giovanni Luisè è il grande quadro donato dall’autore all’Assessorato alla Cultura, nel dicembre del 1998, dal titolo “La bottega dell’antiquario”. L’opera, un olio su tela di 3 metri per 2 del 1985 dipinta da Cesare Filippi (1924 – 2010), descrive la libreria antiquaria dell’editore, all’epoca situata presso lo storico palazzo Soardi nell’omonima via di Rimini. Con pennellate decise, il pittore svela espressivamente la personalità dei personaggi còlti nella vivace atmosfera di un luogo in perenne movimento, un reperto di vita quotidiana in cui, come fosse un film, la sequenza delle scene viene fatta scorrere al rallentatore, così che il tempo, flemmatico, tra volute di fumo, sedimenta sulla rappresentazione. L’artista ricostruisce pittoricamente una sceneggiatura di grande naturalezza e fascino, quella normalmente vissuta nella bottega antiquaria. Giustamente, essendo anch’egli un frequentatore abituale, Cesare Filippi fa comparire se stesso tra i presenti. Si firma in basso a destra, non a caso sul dorso di un libro presumibilmente antico, appena sotto a un candeliere rovesciato. Poco distante, un paio di occhiali, osserva la scena.

Chi sono i soggetti ritratti? A chi non ha familiarità con i protagonisti della bottega dell’antiquario, sarà sufficiente seguire i numeri che rimandano a quelli indicati sull’immagine: 1) Giovanni (Cecco) Pesaresi (medico); 2) Antonino La Motta (restauratore); 3) Ivo Gigli (poeta, pittore, scrittore); 4) Giovanni Luisè (antiquario ed editore, titolare della bottega); 5) Silvio Vecchietti (antiquario ed editore bolognese del mensile “L’Informatore”); 6) Cesare Filippi (pittore); 7) Enzo Pruccoli (responsabile Ufficio Cultura della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini); 8) Maurizio Balena (antiquario); 9) Il cane Flop (grifoncino spinoso dell’Adriatico) di Giovanni L. (sempre con lui alle mostre e in biblioteca); 10) Ancora Giovanni Luisè a cui il pittore Filippi, “motu proprio”, ha conferito l’ubiquità… ; 11) Carla Luisè, moglie di Giovanni; 12) Luigi, figlio di Giovanni e Carla; 13) Giordano Bruno, figlio di Giovanni e Carla; 14) Cavalier Gianni Giorgetti (antiquario); 15) Sergio Sinigaglia (rappresentante di commercio, cugino dello scrittore Giorgio Bassani); 16) Tersilio Leri Foschi (all’epoca antiquario); 17) Gloria Valenticich (storica dell’arte, allora moglie di Maurizio Balena); 18) Cesare (Cuccumano) Ugolini (ceramista e ceramologo); 19) Cesare (Cesarone) Nanni (scultore); 20) Giancarlo (Cicci) Ramberti (tipografo ed editore); 21) Emilio Santucci (giudice); 22) Chiara Luisè, sorella di Giovanni.

Giovanni Luisè, la grande opera di Cesare Filippi rappresenta di fatto la copertina della bella storia che hai vissuto insieme con altri colleghi. Vorresti descrivere l’inconsueta parentesi vissuta nella “cittadella dell’antiquariato”?
«Tutto inizia nel 1967, l’anno dei portenti, e continua fino alla fine degli anni ’90, a un soffio dal 2000. Io non ero più là, tuttavia nei 20 anni in cui ci sono stato e per i dieci seguenti, via Soardi era conosciuta da molti come la strada degli antiquari di Rimini».

La tua, che tipo di bottega era? Aveva un’ispirazione specifica?
«In via Soardi ho fatto vivere insieme Antichità Luisè, Libreria Antiquaria Valturio e Luisè Editore».

Prima “ubique”, rappresentato due volte nel dipinto, ora “uno e trino”…
«Nonostante l’egocentrismo narcisistico del proemio, ancora non arrivo a tanto, ma a parte gli scherzi, le tre anime convivevano in un unico spazio, per una sorta di mia diagenesi interna, ed esattamente dal ’67 all”87, poi naturalmente ho continuato la stessa attività altrove, in varie zone, nel Borgo San Giuliano, lungo corso D’augusto e ora sono qua, a 13 passi dal Tempio Malatestiano, come amo dire poiché il Tempio è un “luogo del mondo” come il Pantheon o analoghi monumenti di statura internazionale. Come questo».

Qual è il focus della mostra?
«Oltre a cercare di descriverla, vorrei sottolineare che in una realtà provinciale come la Rimini di allora, trovare una strada di 150 passi (li ho misurati) dove insieme a quelle già presenti, nel periodo di massimo fulgore sorgono ben otto attività antiquarie in uno spazio piuttosto ristretto, non è frequente. Normalmente, questo tipo di concentrazione avviene nelle grandi città. Penso a via Maggio a Firenze, via dei Coronari a Roma o via Costantinopoli a Napoli».

Quindi se ne parlava, eravate conosciuti.
«Un fenomeno del genere fece un certo clamore tra i colleghi di altri centri urbani con cui ci si vedeva alle mostre. Tra l’altro, partecipare ad esposizioni all’esterno è stata una bella esperienza e anche motivo per farci conoscere, per ingrandirci, per espandere l’orizzonte commerciale. È capitato più volte che ricevessimo le visite di colleghi che venivano a Rimini «da quei ragazzi di via Soardi», come dicevano. Ormai, pur essendo entità autonome e ben distinte, dall’occhio esterno venivamo percepiti come un solo nucleo».

In apertura hai definito il ’67 come l’anno dei portenti. A cosa alludevi?
«Nel 1967 sono iscritto all’università (giurisprudenza), mi mancano pochi esami e ho anche una buona media, ma sono in crisi. Ho perduto l’entusiasmo iniziale. A quel punto, credo che di fare l’avvocato non mi sia mai convintamente interessato. La lenta, ma inesorabile sublimazione si è poi tradotta nella spontanea propensione per l’arte antica e la storia dell’arte, peraltro studiata al liceo classico, ma approfondita anche “extra scholam”. In più ci sono nell’aria le prime avvisaglie dei cambiamenti del ’68, la politica, altra grande passione, così come i libri su Mazzini che frequentavo già da adolescente e le manifestazioni di piazza. In definitiva, vivo un turbinìo di avvenimenti. Lascio l’università, conosco e mi fidanzo con Carla che poi è stata ed è mia moglie; ho un caro amico come Maurizio Balena (1942-2014; ndr) che conosco fin da adolescente. So che possiede “una marcia in più” come appassionato e intenditore di antichi oggetti d’arte. Con lui e grazie a lui, pensiamo di aprire una bottega antiquaria. Il battesimo avviene al civico 17 di via Soardi. Definisco il 1967 come “l’anno dei portenti” perché mi cambia radicalmente la vita».

Giovanni Luisè al telefono. Con Garibaldi?

Per svolgere un’attività come quella che hai scelto, oltre a una base culturale, serve qualcosa di più? Immagino che inizialmente avrai saputo trarre grande beneficio dall’esperienza di altri. È così?
«È sicuro. Venendo dalla facoltà di Giurisprudenza, conoscevo il Lombroso e la sua teoria del “delinquente per tendenza”. Scherzando, e per parafrasi, definivo Balena “antiquario per tendenza”, quindi gli dicevo “sei tra coloro che antiquari ci nascono”, c’è chi nasce delinquente e come sostiene Lombroso, ha determinate caratteristiche e tu sei nato antiquario. Lui si sentiva istintivamente attratto dall’antico, e per assurdo si poteva pensare che invece fosse quest’ultimo a subìre un irresistibile trasporto verso Maurizio. Riflettendoci, guardando con l’occhio del surrealismo, c’era sicuramente un rapporto di reciprocità».

Nel catalogo dedichi una parte molto interessante a Cesare Ugolini, un pilastro della tua bottega.
«È vero. Lo stesso fenomeno, ma come “ceramista per tendenza”, accade per Cesare. Cuccumano (nomignolo senza un preciso significato dato a Cesare da un compagno alle scuole elementari; ndr) ha una tale venerazione per la maiolica che se potesse, vorrebbe essere fatto della stessa materia. L’ho conosciuto nel ’53 quando avevo 14 anni e lui 12 o 13. Cesare era ed è bravissimo, ha una mano felice, dipinge bene, è veloce, capisce i colori. Questo, già da quando era tanto giovane. Di ritorno dalla Svizzera dove ha lavorato per diversi anni, è stato immediatamente cooptato da Maurizio e da me. Per esempio, Cuccumano ci ha insegnato a riconoscere le tecniche ceramiche e termini come “la barbottina”, “l’ingobbio”, “il piombifero”, “il bianco stannifero” e molti altri ancora che affollavano il suo vocabolario da quando era ragazzino.
È un sublime ceramologo. In materia, ci ha spalancato una bellissima finestra. Gliene sarò sempre grato».

Nella mostra ci sarà uno sguardo anche sulla particolare branca dell’antiquariato che riguarda i libri?
«Bibliofili ora ce ne sono, ma all’epoca, neppure l’ombra. Nel catalogo c’è un capitolo in cui parlo di questo».

Se non sbaglio sei tu che a Rimini, quanto a libri antichi, hai cominciato a diffondere “il verbo”.
«Sì confesso di averne la responsabilità. E mi assumo la paternità di questo settore. Buttandomi a corpo morto nell’attività dell’antiquariato, guardandomi intorno e visitando botteghe che trattavano antichità, ho notato un’assenza clamorosa che persiste tuttora. Infatti, persino presso quelle di una certa importanza che vendono mobili, quadri, vetri, sculture lignee, trovare un volume antico è molto difficile. Mentre è probabile che il libraio antiquario abbia qualche quadro antico, viceversa l’antiquario, inteso nell’accezione classica, tiene volumi della sua biblioteca professionale, ma non i libri antichi: non li conosce. Anzitutto, per ovvie ragioni, bisogna essere pratici di latino, di rilegature, carta e così via. Per trattare quel genere di libri ci vuole una preparazione particolare. Non esiste una scuola specifica e gli studi classici ti possono di certo aiutare, ma non bastano per un’attività così specialistica e tantomeno per soddisfare le richieste del pubblico».

Cronologicamente, qual è stato l’avvicendarsi delle “antichità” di via Soardi?
«A ottobre del 1967 nasce la prima bottega Luisè – Balena. Esattamente un anno dopo, ne sorge una seconda, quella del napoletano Bruno Franco Esposito, detto il Condor per l’esile, alta figura con collo lungo e naso “a becco”. Cosa mai vista in àmbito antiquario a Rimini, un bel giorno il “Condor” tappezza le vetrine del negozio con grandi manifesti con scritto a caratteri cubitali “GRANDE SVENDITA!”. Una tecnica da mercato ambulante. Un’idea che non ha cittadinanza nell’ambiente fighetto, con la puzza sotto al naso, che so, dell’antiquario fiorentino o milanese. Morale: clamorose file di compratori e grandissima vendita. È morto un paio di anni fa a Venezia. Terza bottega: è quella di Augusto Pedriali (Goggi), mio compagno di scuola delle elementari che porta nella via una ventata mitteleuropea. Di ritorno dalla Cecoslovacchia dove aveva vissuto per anni con la madre, torna a Rimini. È senza lavoro. Anche se è a digiuno in materia, suggerisco di aprire una bottega antiquaria tra quella del Condor e la mia. Accetta il parere dell’amico. La chiama Malà Strana come il caratteristico quartiere medievale del centro di Praga, un luogo intrigante, misterioso ed esoterico. È il ’70, anno in cui mi divido commercialmente da Balena che poi, nella stessa strada, si associa e venderà antichità con l’amico Tersilio Leri Foschi. È la quarta bottega ad entrare in pista».

Cesare Filippi, “L’antiquario” (olio su tela; cm. 100 X 70; anno 1985).

Gente che veniva, gente che andava. L’ambiente era piuttosto frizzante.
«Il fatto che all’interno di questa prima famiglia ci siano divagazioni, dipanazioni, contatti e contaminazioni, non deve stupire. Siamo rimasti sempre in collegamento e comunque amici. Anche Cesare Ugolini inaugura un suo spazio, ed è il quinto. Il sesto sigillo lo imprime Alfredo Monterumisi. Tipo tosto e molto determinato, il ragazzone di Sant’Agata sul Santerno passa dalla vendita di acqua minerale a quella dei “trumeau” grazie al suo viaggiare per lavoro. In Veneto aveva avuto contatti con l’ambiente di chi trattava oggetti d’epoca. La cosa gli era piaciuta. A Rimini, diventa presto della partita. Inizialmente eravamo un po’ diffidenti, poi invece ha dimostrato di avere temperamento e la volontà di non arrendersi mai. Va ricordato che con il bolognese Silvio Vecchietti si inventano la “Mostra dell’Antiquariato Specializzato Internazionale”. Un successo spento dopo tre anni da invidie e mala politica. Nulla di nuovo. Sulla settima insegna della via si legge “Antiquariato Ariminensis” ed è della professoressa Anna Maria Martini. Nel ’93 tre insegnanti provenienti dall’ambiente della cultura e della scuola (Lamberto Maggioli di Rimini, Mario Mussoni di Santarcangelo e Marco Gennari di Rimini, ma pesarese di origine) aprono il negozio antiquario “Beato Simone”, replica di quello che avevano a Santarcangelo. Questo è l’ottavo negozio che tratta pezzi “d’antan”».

Ben otto attività del genere, strizzate in 150 passi, evoca una densità da paese dell’India.
«Volendo dilatare ulteriormente il fenomeno, ce ne sarebbe una nona che in qualche maniera orbita intorno all’antiquariato ed è un laboratorio di tappezzeria e arredamento. Entrando nella strada dal lato del corso d’Augusto è tra le prime attività che si incontrano. Gestita dalla famiglia Falchi proveniente da Città di Castello, viene frequentata quasi indistintamente da tutti gli antiquari della strada. A chiudere l’epopea antiquariale è la quadreria di Ambra Nanni, con la quale collabora Maurizio Balena. La serranda si abbassa nel 2003. Balena è stato con me il primo e con Ambra l’ultimo antiquario della gloriosa via Soardi. Di tutte le botteghe che c’erano ne rimane solo una, di proprietà di Alfredo Monterumisi, nella corte interna di palazzo Soardi, rimasta vuota dal 1993. Al posto del negozio di antichità, nel 2019 Monterumisi ha inaugurato la prima Ambasciata delle Città del Vino d’Europa. Naturalmente, l’ha arredata soltanto con mobili d’epoca. Un brindisi “ai ragazzi” (ex) di Via Soardi!».

Fotografia d’apertura: 15 marzo 1967. Uno scatto “antiquario” di Davide Minghini sulla via delle botteghe (Archivio Minghini della Biblioteca Gambalunga, per gentile concessione di Giovanni Luisè).

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