Bandiera LGBT e stop alla religione: ecco il “sogno” del neodirettore della Caritas

Bandiera LGBT e stop alla religione: ecco il “sogno” del neodirettore della Caritas

Freddo e pioggia fanno saltare la marcia della pace, al suo posto in Sala Manzoni un incontro di 150 persone. Animato da Mario Galasso con l’inno anti-religioso “Imagine” di John Lennon. Nel manifesto spunta la bandiera LGBT, sul palco i vessilli Pace-arcobaleno e della Lega Araba-OLP: una conferma della visione a senso unico dell’ex assessore di sinistra, inclusivo solo con chi la pensa come lui. Ci mette una pezza Lambiasi: “Cristo è la nostra pace”. Ma il sito della diocesi non pubblica questa parte del discorso del vescovo.

Pioggia e gelo hanno consigliato gli organizzatori di trasformare la marcia della pace in un incontro al coperto. Così ieri pomeriggio circa cento persone si sono radunate al caldo della Sala Manzoni, adiacente all’episcopio.
Animatore del convegno Mario Galasso, appena nominato dal vescovo nuovo direttore diocesano della Caritas, un passato da ex assessore provinciale con un debole per il binomio falce-martello e Arafat.
Per cominciare, Galasso ha fatto sentire all’uditorio la canzone-simbolo “Imagine”. Quella dove John Lennon, il baronetto arricchitosi con i Beatles, dall’alto della sua residenza esclusiva newyorkese sogna un mondo dove la gente vive “al presente” (cioè senza radici, senza storia, un popolo bue beato beoto nelle mollezze), senza proprietà né possesso (basta proprietà privata, come sogna Bertinotti nella sua villa con piscina; eppure lo stesso Lennon viveva in sei appartamenti di proprietà nei vari piani del Dakota Building a Central Park), senza paesi né confini e quindi senza guerre. Ma perché questo sia possibile è necessario che non ci siano né Inferno né Paradiso, e soprattutto che non ci sia più nessuna religione (“and no religion too”). Così tutta la gente condividerebbe il mondo intero (“all the people sharing all the world”, non a caso si usa proprio la parola divenuta oggi magica, “sharing”).

Altre perle dalla colonna sonora del pomeriggio: “Il disertore” (“egregio presidente … la cartolina mi dice di andare a far la guerra … ho deciso che diserterò … vivrò di carità sulle strade di Spagna di Francia e di Bretagna e a tutti griderò di non obbedire”); “Povera patria” (“schiacciata dagli abusi del potere, di gente infame … tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni! … nel fango affonda lo stivale dei maiali … la primavera tarda ad arrivare”); il canto palestinese “Kufia”; “Girotondo” (“Buon Dio è già scappato, dove non si sa, buon Dio se n’è andato, chissà quando ritornerà … la guerra è dappertutto, marcondiro’ndera, la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?”). Dal vivo, le percussioni di un immigrato.

Galasso ha portato al microfono alcuni volontari dell’APGXXIII ed alcuni stranieri ospitati nel riminese con le loro famiglie e simpatici bambini. Un capofamiglia siriano ha raccontato di aver perso la prima moglie in guerra e di essere stato in prigione un anno nel suo paese. Ma non è stato molto esaustivo sul perché: “non lo so nemmeno io, forse solo perché sono un musulmano sunnita”. Forse. Si trovava male anche nel campo profughi in Libano, da dove progettava di fare la traversata in mare verso l’Europa. Ma i volontari dell’Operazione Colomba “me lo sconsigliarono” e poi trovarono “un altro modo” per fargli raggiungere l’Italia. Un altro degli intervenuti, anche lui un esempio di generosa accoglienza da parte di famiglie riminesi, ha raccontato fra l’altro di avere ancora qualche problema coi documenti. Problema superabile secondo i volontari: “non ti farà niente nessuno”. In tutti i casi, gli stessi beneficiari degli aiuti (residenza, lavoro, asilo e scuole, corsi di formazione) hanno detto di non sapere esattamente quale sia il loro status, di profughi o altro.

Ha chiuso il convegno l’intervento del vescovo di Rimini. Lambiasi è partito da una critica all’attuale assetto politico-sociale, con un appello ai giovani “a porsi ideali alti ed altri, ad affermare con segni forti e credibili una cultura di nonviolenza e di solidarietà, a introdurre un modo nuovo per stabilire i rapporti fra le persone, fra i gruppi e fra i popoli”, altrimenti “chi deciderà sul domani saranno i voti degli anziani”.
Ma Lambiasi è andato anche oltre: citando brani di don Benzi di commento alla liturgia del tempo di Natale, ha ricordato che “per fare pace bisogna essere pace”, andando poi dritto al punto – “la nostra pace è Cristo” – e concludendo con un affidamento a Maria Madre di Dio di cui ieri si celebrava la festa.
Strano, però, che la Curia abbia messo online nel sito ufficiale della diocesi, non il discorso effettivamente pronunciato da Lambiasi, bensì solo un suo moncone, la parte iniziale. Così il lettore non può sapere che il vescovo ha parlato anche di Gesù Cristo e della Vergine Maria, ritornando alla dottrina di sempre della Chiesa cattolica (vedi qui) sul tema della pace.

Quanto all’annunciata presenza di Mohamed Ghamdaoui (Associazione Culturale Valconca): non pervenuto.

Detto di “Imagine”, veniamo ad un’altra parte simbolica della manifestazione diocesana di ieri.
I simboli non sono tutto, ma qualcosa vogliono pur sempre dire. Soprattutto se sono scelti per dare un preciso messaggio, come in questo caso.
Due infatti erano i vessilli posti al centro del tavolo dei relatori, sicuramente per iniziativa del principale promotore della marcia, appunto Mario Galasso che ne era anche il presentatore-animatore:
1) quello nato cent’anni fa con il movimento nazionale arabo e fatto proprio dalla Lega araba, poi adottato dall’OLP di Arafat e oggi dall’autorità nazionale palestinese;
2) quello pacifista con i colori dell’arcobaleno e la scritta “PACE”.
Nota bene: la bandiera ufficiale pacifista si differenzia da quella dell’orgoglio gay-LGBT per 7 anziché 6 colori e per la loro disposizione, in alto quelli freddi e viceversa. Ma a differenza della bandiera usata ieri da Galasso per il tavolo relatori, quella effigiata nel manifesto di convocazione della Marcia era proprio la bandiera LGBT, senza la scritta PACE e con i colori caldi in alto. Conclusione: le bandiere arcobaleno della manifestazione sono state in realtà due, sia quella dei pacifisti sia quella dell’orgoglio gay.
Il messaggio è doppio ma sufficientemente chiaro: qui si coltiva un’idea di pace a senso unico – sì alla Palestina, no ad Israele cioè no agli ebrei -; idea di pace che si coniuga con quella dei cosiddetti nuovi diritti della galassia LGBT.

La bandiera Lgbt che sfila in ogni Gay Pride

Ultimo punto: chissà se il vescovo se n’era accorto, e se era d’accordo con questa scelta, effettuata consapevolmente dagli organizzatori.
E a proposito degli organizzatori: nel manifesto della Marcia compariva in alto a sinistra lo stemma della Diocesi di Rimini con la dicitura “Ufficio per la Commissione Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato”.
Strano sentir parlare di questo ufficio.
Perché della sua effettiva esistenza non troviamo traccia nei documenti ufficiali della curia diocesana.
Il bollettino ufficiale 2015 ci informa del decreto di monsignor Lambiasi di composizione del Consiglio pastorale diocesano 2015/2018, del quale fanno parte, fra gli altri, cinque uffici dell’area carità e azione sociale (Ufficio Caritas e Migrantes, Ufficio Pastorale Sociale, Ufficio Pastorale della Salute, Servizio Turismo Sport e Tempo Libero, Consulente Ecclesiastico CSI), ma l’ufficio cui fa riferimento il manifesto non è contemplato.
Di esso non si parla neppure nella relazione dell’Area inclusione sociale dei poveri dell’Assemblea Diocesana (giugno 2017), ed è strano perché qui sono citati tanti strumenti e iniziative nel settore.
Sull’esistenza del fantomatico ufficio non fa chiarezza neppure la pagina del sito diocesano dedicata all’Ufficio della Pastorale Sociale, dove si dice che di esso fanno parte i “Settori: Lavoro, Politica, Economia, Salvaguardia del creato, Giustizia e pace, Turismo” e che – genericamente – “per ogni settore si sta tentando di formare delle commissioni”.
Attendiamo di sapere se l’Ufficio per la Commissione Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato nel frattempo è stato effettivamente eretto con un decreto vescovile.
Combinando le informazioni di cui disponiamo, l’impressione è che si tratti di qualcosa di informale.
Qualcosa di informale che però orienta l’immagine della diocesi e dell’intera Chiesa cattolica riminese, caratterizzandola con strane bandiere (OLP, LGBT, pacifismo a senso unico).
Resta la domanda: visto che Galasso è stato nominato il 20 dicembre nuovo direttore della Caritas diocesana, perché non ha organizzato direttamente con questo suo nuovo ufficio la marcia della pace con le bandiere da lui preferite?

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