Castel Sismondo: phenestrae, simboli e tre domande ai candidati sindaci

Castel Sismondo: phenestrae, simboli e tre domande ai candidati sindaci

Scoperti i resti superstiti del coronamento delle seconde mura di Castel Sismondo. Una nuova interpretazione del termine “phenestrae” di Roberto Valturio. Per concludere col commento alla sentenza ignorante (Rimini senza Fellini “sarebbe stata solo una stazione balneare”) e la richiesta che chi aspira a governare la città si esprima su stile di governo, mostre e governance della cultura, delocalizzazione della fontana in costruzione davanti alla Rocca e apertura del fossato.

La parete di Castel Sismondo, tra la torre verso il Marecchia e la torre distrutta, conserva una parte dei resti dei grandi beccatelli tra i quali, a scansione di due spazi, sono rimaste tre finestrelle assimilabili alle “phenestrae” del Valturio. Credo sia la prima volta che vengono notate e bisogna immaginare che circondassero sia il nucleo che il promurale dove le ha descritte, sotto i merli in doppia fila, Roberto Valturio.

I TESTI DEL WORK IN PROGRESS ONLINE

I miei testi hanno, come sanno bene i miei 7mila lettori, la caratteristica di non presentarsi come completi, perfetti o definitivi, nessun essere umano è onnisciente, io meno di molti; come a tutti mi capita di vedere gli errori solo a carte stampate o pubblicate online e per rimediare mi sottopongo allora alle operazioni di “palinodia” come si dice con una parola rara ossia di ritrattazione. Ma non si tratta semplicemente di errori dovuti ad imperizia e a disattenzione – magari ve ne saranno anche di questo tipo – si tratta dei momenti di una lavoro in fieri che procede per ulteriori modifiche man mano che emergono dati nuovi e le vecchie ipotesi di ricostruzione si modificano. Anche in collaborazione con Giovanni Maccioni, castellologo e grafico, che sta lavorando alla ricostruzione virtuale dell’aspetto di castel Sismondo, certamente un lavoro non da poco, si tratta dell’unica opera ossidionale rimasta di Filippo Brunellschi e siamo sotto gli occhi degli studiosi del mondo intero. Si procede per tentativi e aggiustamenti, comunicando online ai lettori quelli che sono i momenti caduchi e soprattutto i momenti decisivi di una nuova visione.

Particolare della parete con le tre “phenestrae” tra le mensole dei beccatelli perduti.

Sabato 13 marzo son andato a fotografare Castel Sismondo, verso il tramonto per avere la luce sul muro del castello del 1431 che chiude il secondo cortile verso il Marecchia, che poi non si è illuminato, ma nemmeno è rimasto al buio. Ho ricominciato a guardare le varie parti di Castel Sismondo che credevo di conoscere a memoria. E invece ce n’erano alcune che avevo certamente guardato, ma senza isolarle come dettagli importanti. Due le ho viste in quel momento e con sorpresa per la prima volta.

Una delle tre “phenestrae” tra le mensole di due grandi beccatelli, mostra sotto nel muro la tamponatura di un’apertura circolare; si tratta di una finestra per lo sfogo dei fumi delle bombarde che sparavano dalla apertura circolare, secondo una tipologia dei primi anni del ‘400. E’ certamente opera del tempo di Sigismondo Pandolfo che faceva sistema con la doppia fila di cannoniere del promurale.

Anche Franco Fracas e il grande castellologo Dino Palloni, nella loro trattazione dei diversi tipi di bombardiere di Castel Sismondo, non ne parlano.

La finestra sopra la cannoniera rotonda nel muro superiore della torre a base quadrata inglobata nella torre cilindrica della rocca di Imola, lato monte verso la città. L’immagine è presa dal sito on line icastelli.org di Dino Palloni. E’ una cannoniera dei primi del ‘400.

LE “FENESTRAE” DEL DE RE AEDIFICATORIA E UNA NUOVA IMMAGINE DI CASTEL SISMONDO

I resti di grandi beccatelli merlati sono quanto rimane della prima fila di cannoniere con finestre per lo sfogo dei fumi a corona delle seconde mura, quelle tra le alte torri. Abbiamo così la nuova possibilità di immaginare in modo corretto com’era il nucleo murario centrale della rocca riminese.
L’errore che mi è saltato agli occhi sabato scorso riguarda la mia traduzione “intermerli” del termine “phenestrae”, ben 160 in alto, più altre 160 in basso nel promurale o muro del fossato. Le tre rimaste sono nel muro del nucleo castellano interno, il secondo muro della “falsabraga” – sistema difensivo a due mura separate da uno spazio, qui davanti a Castel Sismondo molto ampio, di solito una strada o anche un corridoio -, sono sufficienti per immaginare il giro completo delle seconde mura, interrotte dalle alte torri, con i grandi beccatelli merlati, di misura superiore a beccatelli delle torri, che giravano tutto intorno. Certamente le tre finestrelle e le altre scomparse possiamo pensarle simili a quelle nominate dal Valturio in doppia fila nel promurale o primo muro. Scomparsa la parta verticale del promurale e il primo ordine di “phenestrae”, rimane però sottoterra la grande scarpa nella quale potrebbero esserci le finestre con le bocche da fuoco della fila inferiore. Castel Sismondo doveva apparire con tutte le sue aperture per bocche da fuoco come un istrice minaccioso, e doveva avere almeno 300 bocche da fuoco e un centinaio di bombardieri. Questo tipo di finestre per lo sfogo dei fumi delle bombarde è stato studiato da Dino Palloni che pubblica un esemplare ben conservato nel muro alto di una torre a base quadrata incamiciata dentro una torre cilindrica, lato monte e fronte città della rocca di Imola, nel suo dizionario on line icastelli.org sempre utile da consultare.

LA PRIMA PARTE DELLA TRASCRIZIONE DELLA DESCRIZIONE DI CASTEL SISMONDO
TRADUZIONE AMPLIATA E CORRETTA

Già che ci sono, riformulo la traduzione del testo del Valturio con maggiore precisione aggiungendo tutto il testo nella sua prima parte di solito omessa, a partire da “Arx nobilis”, che sembra valere come il soggetto a senso se non grammaticale di un lungo e articolato periodo, in quella specie di unico piano-sequenza che è la struttura del latino del Valturio, che quando lo si articola per tradurlo si rischia di tagliare a fette disarticolate come se fosse il corpo di un serpente:

“[a p.18-20 del I libro del De re militari – ed. di Verona 1472, Rimini Guaraldi 2006 -, Valturio inizia un discorso in lode del giovane Sigismondo Pandolfo articolato in tre argomenti a) azioni famose già compiute, b) edizione di scritti di filosofia e di teologia e di poesia, c) costruzione di opere straordinarie come:]
come la nobile Rocca o il maggior castello di tuo nome, insigne per astuzia militare e arte bellica, affinché la bellezza di quello, il sito e la disposizione alletti ed abbagli gli occhi non solo dei cittadini ma di tutti quelli che lo considerano in sé con ammirazione per nulla immeritata; il piano del campo infatti da qualunque parte è sgombro, il luogo è bello vicino alle mura [della città]; verso la città col primo girone del suo promurale [“muro davanti al muro” è il muro basso dei due che insieme formano una “falsa braga”], che ha la forma di un semicerchio, a stento credibile da dire, e la profondità inclinata [scarpa e controscarpa] si erge sul modo delle piramidi dalle fondamenta; con amplissima larghezza fino all’altezza di piedi 50 [piede romano cm 29,6 totale m.148] con 160 finestre [esterni di bombardiere a forma di finestra] sopra terra e altrettanto sotto terra, spartite con ordine a certi intervalli]; dove [intendi nel primo cortile] sono collocate le baliste per il lancio di pietre e di frecce per respingere l’impeto dei nemici e ogni sedizione dei cittadini quando succedano.”

Disegno del castello di Carignano nel territorio di Fano. Si notino sotto il cordolo, nella scarpa, le aperture circolari di 4 bombardiere.

Fissiamoci ancora sopra quelle 160 finestre o bombardiere nella parte superiore del promurale situate poco sotto i merli che non avevano l’apparato a sporgere o i beccatelli, purtroppo sono state del tutto distrutte nell’800. Ma nella scarpa del promurale ce n’erano altrettante sotto, come abbiamo letto nel testo del Valturio, forse non troppo sotto il cordolo o redondone, da cui parte la scarpa, e Dino Palloni si aspettava di vederle ricomparire, con dietro una galleria di servizio, una volta aperto il fossato. Nel promurale del castello di Carignano nell’entroterra di Fano, come si vede in un disegno pubblicato da Anna Falcioni, ci sono quattro bocche di bombardiere nella scarpa del promurale. In questo disegno però le bombardiere non hanno le sovrapposte finestre di sfogo dei fumi.

A destra, il muro urbano trecentesco è stato alzato, scarpato, e provvisto di grandi beccatelli. Si vedono tre aperture per pezzi da fuoco di forma rettangolare tamponate. Non sembra che ci siano state finestre per lo sfogo dei fumi – inutili perché i pezzi erano all’aperto – ed è difficile datare queste bombardiere che comunque dovevano essere dotate di “cerbottane” o di altre bocche da fuoco poco più grandi di un archibugio. Segue il muro urbano basso trecentesco della città senza scarpa che qui taglia a metà il fossato.

LE APERTURE DEL MURO DELLA CITTÀ CHE ATTRAVERSA IL FOSSATO LATO MARECCHIA

Sabato 13 marzo sera mi sono accorto anche di una doppia fila di piccole aperture rettangolari nel muro della città verso monte che va dalla torre a filo del recinto del cortile posteriore del castello, ad una torre in direzione Marecchia; è più basso del muro che circonda il secondo cortile del castello e non è stato scarpato.

Il muro urbano con due file di aperture rettangolari.

Guardando le misure piuttosto ridotte dello spessore del muro e delle stesse aperture, viene da pensare a pertugi per piccole armi da fuoco a mano, probabilmente non di epoca sigismondea ma certo nemmeno di epoca trecentesca. Se ne vedono anche nel muro urbano trecentesco, già nascosto dal Garage Fiat, di recente rimesso in luce nei pressi del ponte romano.

Un’apertura del muro urbano vista dall’interno.

LE PREESISTENZE TRECENTESCHE E QUATTROCENTESCHE DI CASTEL SISMONDO

Il cuore di Castel Sismondo, come è noto, è rappresentato dal “palazzo maggiore” di Malatesta da Verucchio (1212-1312), lasciato in eredità al figlio Pandolfo I. Questo palazzo esiste ancora con la sua piccola “porta magna” e le finestre di due piani, senza il pavimento intermedio, coperto da volte da Sigismondo Pandolfo e probabilmente sarà compromesso dalle strutture del museo Fellini. A questo palazzo si appoggiava verso porta Montanara la prima porta del Gattolo aperta nelle mura romane di Ariminum. Prima della costruzione delle seconde mura a metà del ‘300, fuori della prima porta del Gattolo si stendeva il sobborgo del Gattolo diviso in due parti chiamate 1) il Gattolo di Pandolfo e 2) il Gattolo di Ferrantino, perché la prima parte fronteggiava il palazzo di Pandolfo e la seconda fronteggiava il palazzo di Ferrantino figlio di Malatestino Malatesta, che stavano dietro le mura romane, divisi tra di loro dalla prima porta del Gattolo.

Il muro tra il palazzo di Isotta e la torre a sinistra della porta, mostra in alto i merloni aperti dal castellano di Cesare Borgia nei primi del ‘500. Si noti che questo tratto di muro, che doveva continuare fino al muro urbano, una parte del quale è stata usata per una parete del palazzo di Isotta, non presenta una scarpa e reca visibilissime tracce di mensole di beccatelli rasate. Si tratta del primo muro autorizzato da papa Eugenio IV e costruito da Galeotto Roberto nel 1431. Ora, dopo la scoperta delle “phenestrae” nella parte opposta bisognerà analizzare a fondo il muro intonacatao tra i beccatelli rasati.

Quando nel 1430, durante il passaggio di governo da Carlo I Malatesta ai figli bastardi legittimati di Pandolfo III suo fratello, ci fu la sommossa di Giovanni di Ramberto Malatesta, la vedova di Carlo I Elisabetta Gonzaga con i tre giovani signori Galeotto Roberto, futuro beato, Sigismondo e Domenico Malatesta, si rifugiò nel palazzo di Pandolfo che era stato in parte fortificato anche da Carlo I e poteva contare sulla torre della prima porta del Gattolo. Poi Galeotto Roberto chiese a papa Eugenio IV il permesso di fortificare questo palazzo con due muri nel 1431. Sigismondo Pandolfo non pare abbia chiesto allo stesso pontefice il permesso di costruire il castello, giovandosi del privilegio sovrano che il Comune di Rimini aveva trasmesso ai Malatesta. Su queste notizie si veda La Casa Riminese del Quattrocento di Oreste Delucca. Oreste ha con più precisione identificato i due muri che già Franco Fracas e Dino Palloni avevano indicato come preesistenze del nuovo castello sigismondeo.

Queso è l’altro muro non scarpato del 1431, che sulle mura medievali dove si innesta, presenta una torre a filo. É coronato dai resti dei beccatelli quattrocenteschi, ma sotto appaiono tracce, ombre, di mensole di beccatelli precedenti.

RIMINI SENZA FELLINI È SOLO UNA STAZIONE BALNEARE?

Quando pensiamo ai Tedeschi colti, storici e archeologi, abbiamo un senso di rispetto reverenziale, ma non tutti i Tedeschi sono così, la giornalista tedesca che avrebbe detto che Rimini senza Fellini “sarebbe stata solo una stazione balneare” evidentemente non conosce la storia romane, medievale, rinascimentale dell’Europa e avrebbe fatto arrossire di vergogna il grande studioso di storia romana Theodor Mommsen se fosse vissuta ai suoi tempi.

La porta medievale del Gattolo, in forma di torre occupava il vuoto attuale tra le mura trecentesche della città verso monte.

Ma non ha sorpreso il nostro sindaco uscente che deve avere avuto una vision iniziale di Rimini esattamente come quella della tedesca. Poi però qualcuno che gli vuole bene, capace di correre dei rischi perché l’uscente sindaco non ama chi non la pensa come lui, gli avrà spiegato chi era Sigismondo Pandolfo Malatesta e così l’abbiamo sentito affermare che Fellini nel castello farà conoscere alla gente chi era Sigismondo Pandolfo. Sarà stato così per lui, e la persona che gli vuol bene non ha osato dirgli chi era Filippo Brunelleschi, che rimane ancora fuori della sua vision.

Il dipinto di un bombolettaro mostra un particolare osceno significante volgarmente “celoduro”; ma il significato psicologico di questa figura oscena è chiaramente il contrario di quello che il soggetto committente ha fatto esprimere alla lettera, e va interpretato come una “negazione” del carattere forte, dovuta a un carattere debole che manca di autostima. Chiedetelo pure a qualsiasi psicologo, non dico a psicoanalista.

La figura di “Fellas” [soprannome di Federico con gli amici Benzi Titta e Tale, obscene] con la frusta per domare le donne rappresenta una “negazione” della debolezza virile del maschio romagnolo. Esibizione di simboli negativi di un’amministrazione autoritaria ma debole.

TRE DOMADE PER I CANDIDATI SINDACI

Ma tra poco l’incubo felliniano dovrebbe finire. Per questo dovremo chiedere espressamente e formalmente ai candidati sindaci tre cose:

prima se vogliono continuare uno stile di gestione amministrativa veterocomunista dispotico e narcisistico –“io so io, e voi non siete un c…o” -;

secondo se vogliono ancora investire denaro pubblico per mostre effimere costose ma non abbastanza per non essere dei fallimenti, e invece se nomineranno i direttori della Gambalunga e del museo;

e terzo se sposteranno in periferia, per qualificarla, la fontana davanti al castello e se riapriranno finalmente il fossato. Più tardi bisognerà anche sloggiare il museo Fellini da Castel Sismondo.

Noi, professor Attilio Giovagnoli presidente, l’architetto Roberto Mancini e lo scrivente, che siamo lo zoccolo duro dell’associazione Renata Tebaldi Rimini Città d’Arte che vi ha regalato la ricostruzione filologica del Teatro del Poletti, oscurati dal sindaco e da un libro, ci battiamo adesso per la riapertura del fossato e il riconoscimento dell’autoria di Filippo Brunelleschi di castel Sismondo.

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