I bronzi di Augusto e Tiberio, dono di Roberto Valducci, sono pronti dal 2001 ma raccolgono polvere nei depositi comunali. Per la statua di Giulio Cesare (attualmente all'interno della Caserma di via Flaminia, che voci insistenti accreditano, ed anche in tempi abbastanza brevi, come sede della "cittadella della sicurezza") già sei mesi fa l'Esercito ha dato la disponibilità a riconsegnarla ai riminesi. Manca solo la cerimonia ufficiale. Cosa aspetta palazzo Garampi a scrivere la parola fine su questa storia?
Il teatro è aperto. La scenografia è in perenne lavorazione, ma la struttura portante c’è. Uno dei produttori ha da tempo procurato due degli attori principali. I tecnici e gli assistenti di studio sono pronti con penne e cartelline sotto braccio, il protagonista e i co-protagonisti attendono solo che da dietro la porta del camerino qualcuno pronunci ad alta voce le fatidiche due parole: “in scena!”. Il pubblico, dopo tanti anni di attesa, ha voglia di assistere allo spettacolo per vedere finalmente sul palco i “Tre Imperatori di Rimini”. Ma manca il regista. Traduzione: Rimini è in attesa di mostrare la sua attraente scenografia storica. Il signor Roberto Valducci purtroppo non c’è più, ma fu lui che vent’anni fa donò alla città di Rimini due degli attori, vale a dire le statue in bronzo di Cesare Augusto e Tiberio Giulio Cesare, degni co-protagonisti della rappresentazione che si vorrebbe mettere in scena. L’avvocato Gaetano Rossi, da parte sua, come fosse il legale di produzione, si è premurato di mediare e promuovere il rientro dell’attore protagonista Gaio Giulio Cesare nel foro di pertinenza, mentre l’Associazione Alpini si è offerta di occuparsi del trasporto del condottiero romano dalla dismessa caserma di via Flaminia fino a piazza Tre Martiri. In pratica, Gaio Giulio Cesare, Augusto e Tiberio, attendono solo di entrare nel cono di luce delle riprese. Manca solo il “ciack” del Comune di Rimini. Ecco l’anello debole per cui lo spettacolo ancora non va in scena.
In apertura di articolo, riporto un breve stralcio di uno scritto dell’architetto Pier Luigi Foschi, ex direttore dei Musei Comunali di Rimini che per rimarcare l’importanza di due bronzi relegati da vent’anni in un deposito comunale scrisse queste parole: «Vi sono due monumenti particolarmente legati alla città di Rimini: l’Arco di Augusto ed il Ponte di Tiberio; essi compaiono già nel sigillo del Duca Orso nel X secolo ed ancora oggi costituiscono lo stemma del Comune». Segue descrizione storica dei due imperatori romani che per brevità non riporto, poi l’architetto Foschi conclude: «L’Amministrazione Comunale, già negli anni passati, ha collocato una copia in bronzo della statua di Giulio Cesare nell’attuale piazza Tre Martiri, antico Foro di età romana, luogo ove la tradizione vuole che il condottiero avesse arringato le proprie legioni per convincerle a marciare contro il Senato di Roma. Il Museo di Rimini detiene da diversi anni, nei suoi depositi, copie in bronzo delle statue di Augusto e di Tiberio messe a disposizione dalla ditta farmaceutica “Valfarma” alla condizione che vengano esposte al pubblico. La statua di Augusto è una copia in bronzo dell’originale detto di Prima Porta, attualmente esposto nei Musei Vaticani. Rappresenta l’Imperatore vestito di lorica, ancora nella veste di condottiero; a fianco vi è un piccolo amorino a cavallo di un delfino. L’altezza della copia è di cm. 214. La statua di Tiberio è una copia, anch’essa in bronzo, dell’originale che si trova a Leptis Magna in Libia. L’altezza della copia è di cm. 257. La ditta “Valfarma” ha inoltre messo a disposizione del Comune di Rimini anche le copie delle statue dei due imperatori nella versione in gesso, nelle stesse dimensioni delle copie in bronzo».
Alla figlia di Roberto Valducci, Alessia, ora presidente e amministratore delegato di Valpharma, chiedo se prima o poi si avvererà un desiderio del padre, circa queste due statue.
Rimini, preparandosi al ritorno della normalità e del turismo, riuscirà a presentarsi come la città dei “Tre Imperatori”, come amava chiamarla suo padre?
«Mio padre era un amante della cultura, grande appassionato di musica e di arte, tanto che abbiamo una pinacoteca anche qui in Valpharma. Ma amava in particolar modo la statuaria. Molte opere sono visibili nel giardino dell’azienda. Anche il bronzo che troneggia accanto al Ponte Romano sul Rubicone a Savignano fu un dono di mio padre. L’allora Amministrazione Comunale lo posizionò immediatamente dove è tuttora».
Questo, in linea con la filosofia di suo padre, conosciuto anche per un motto che non lascia scampo a chi fa annunci senza poi agire: “Facta, non verba”, cioè “Fatti, non parole”.
«Le opere sono state realizzate nel 2001 dalla fonderia artistica Mario Paoletti di Ancona con la tecnica della “fusione a cera persa”. Quando mio padre donò i bronzi, l’idea era di fare diventare Rimini la città dei tre Imperatori, ma dopo 20 anni “riposano” tuttora in un deposito del Comune e non si è concretizzato ancora nulla. Adesso c’è il progetto di riportarle alla luce. Questa è un’ottima notizia. L’assessore alla Cultura dice che lo faranno. A mio padre sarebbe piaciuto che le statue fossero messe vicino ai rispettivi monumenti di riferimento, ma da quello che mi è stato detto, pare che la Soprintendenza (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini; ndr) non fosse d’accordo, quindi sembra che verranno posizionate in luoghi un po’ più defilati, ma che daranno un indirizzo sia verso il ponte che verso l’arco. Speriamo che tutto ciò accada veramente e presto».
Appurata, se mai ce ne fosse stata necessità, la valenza delle tre statue bronzee, una tuttora invisibile ai più, le altre due ancora sotto naftalina, si sa che la caserma Giulio Cesare di via Flaminia verrà a breve ristrutturata per ospitare la “Cittadella della Sicurezza”, prossima sede definitiva di Questura, Guardia di Finanza e Polizia Stradale, come annunciato dal sindaco Gnassi nel gennaio del 2020. La Polizia di Stato che ha recentemente preso in affitto la palazzina di piazzale Bornaccini, raggiungerà gli altri due corpi allo scadere del contratto o pagherà una penale per anticiparlo? Si vedrà. E ne riscriveremo. Per il momento ci interessa assai più un altro “trasloco”. È già stato stabilito? Forse sì, ma non ancora pianificato? “Si farà, si farà … “. Cosa aspettiamo ancora? Andiamo avanti a “vedremo”? I tempi sono oramai stretti, ma dall’Amministrazione, zero segnali. Ho chiesto lumi all’avvocato Gaetano Rossi, Segretario coordinatore di ARIES (Associazione Ricerche Iconografiche e Storiche) che tanto si è speso per il famoso bronzo del Divus Iulius.
Lei ha simbolicamente afferrato il testimone passatole dal Commendator Umberto Bartolani quando questi, dopo anni di battaglie per riportare la statua di Giulio Cesare in piazza Tre Martiri ha dovuto, suo malgrado, abbandonare la “competizione” più importante. Dunque, nel ricco medagliere di Bartolani, quella decorazione manca. Che dice, questa gara alla fine si vincerà, in sua memoria?
«La ringrazio per il lusinghiero accostamento. Diciamo che mi sono adoperato con i mezzi a mia disposizione per raggiungere l’obbiettivo. Sono infatti l’autore dello studio storico-giuridico che ha raccolto e prodotto tutti gli elementi documentali a riprova della mai perduta proprietà della statua in capo al Comune. Sono pertanto a conoscenza della vicenda e di tutti i suoi articolati retroscena»
Per sgombrare subito il campo da mai sopiti preconcetti, non è che sotto la cenere covi un certo risentimento verso la statua di Giulio Cesare, quasi fosse concettualmente assimilabile a una sorta di “architettura parlante” ovvero di “politica fascista” delle statue romane? Siamo a questo punto?
«Spero proprio di no. È vero che Mussolini negli anni ’30 sparse un po’ ovunque simulacri di eroi di Roma, ma faccio presente che siamo nel 2021 ed è avvilente, se certi concetti non sono ancora superati. La statuaria romana o se vuole, greco – romana, va considerata nell’unico alveo possibile: quello meramente storico – artistico. Visto che identiche statue oggetto di dono del Duce si trovano anche a Torino, ad Aosta, a Modena, a Cividale nel Friuli e in un noto liceo classico di Roma che ne porta il nome, oltre a quella nei Fori Imperiali, Rimini più di ogni altra città meritava a pieno titolo di potersi gloriare di un consimile cimelio prodotto dalla prestigiosa fonderia Laganà, bottega di grande e conclamata esperienza artistica, attiva fin dal finire del XIX secolo a Roma e Napoli».
Quindi non c’è una pregiudiziale ritrosìa a che il condottiero esca dalla caserma per tornare dov’era?
«A mio parere occorre considerare serenamente e senza pregiudizi (ideologici) le ragioni per le quali il rientro della statua “originale”, finalmente esposta all’ammirazione pubblica, dovrebbe esser accolto di buon grado in città, sia perché ne ha certo maggior titolo della copia che attualmente vi è collocata, pur frutto di altra generosa iniziativa locale, ma oggettivamente asettica, priva di anima e di storia propria, sia perché il riceverla con pubblico rilievo rappresenterebbe la doverosa gratificazione ed il giusto assolvimento di un debito di riconoscenza che tutta la città dovrebbe sentire di avere nei confronti dell’Esercito Italiano (e per esso, nei confronti dei Comandi che si sono succeduti nella Caserma Giulio Cesare, dal 1953 ad oggi)».
In effetti, se l’opera non fosse stata così caritatevolmente “adottata”…
«Quegli stessi Comandi, salvandola dalla possibile distruzione, l’hanno conservata, vigilata, amata, onorata e curata per quasi 70 anni e pur ritenendola ormai acquisita al patrimonio dell’Amministrazione Militare (come da risposta che fu data al Sindaco Ceccaroni che ne chiedeva la restituzione negli anni ’60), alla luce del documentato studio sulle vicende della stessa, si sono invece determinati a restituirla senza più frapporre ostacolo alcuno. Comunicando tal positiva soluzione con lettera dello scorso 25 ottobre con la quale il Generale di Corpo d’Armata Giuseppenicola Tota del Comando delle forze operative terrestri e Comando Operativo Esercito di Verona dal quale dipende la caserma Giulio Cesare, nel parteciparne la decisione al Sindaco Andrea Gnassi, auspicava che la stessa potesse avvenire nel corso di una cerimonia cui i Comandi Militari avrebbero gradito, ritenendolo un onore, esser invitati e presenziare».
Alle “idi di Marzo” del 2019, quando i legionari della Legio XIII Gemina, ARIES, alcuni ufficiali della caserma G.C. e i rappresentanti del Comune parteciparono alla cerimonia, la piazza era gremita.
«La statua appartiene alla storia di Rimini perciò ogni riminese dovrebbe andarne orgoglioso. È fuorviante e ingeneroso richiamarsi all’origine del dono continuando ad attribuirvi colpe che la statua non ha, mentre è comprensibilmente assai più giusto che ritorni a far parte del patrimonio artistico e pubblico cittadino. Ripeto che Rimini avrebbe l’occasione per dimostrare di esser grata all’Amministrazione Militare per la disponibilità nell’averla a suo tempo accolta, giustamente protetta e conservata per decenni; inoltre dovrebbe esser grata anche all’Amministrazione comunale per essersi determinata a richiederne la restituzione nell’ottica di un costante arricchimento dell’arredo urbano che non può non enfatizzare e sottolineare ogni richiamo al mondo romano, specie se tanto significativo e pertinente. E credo che, fosse anche solo in nome delle ordinarie regole della diplomazia, Palazzo Garampi dovrebbe organizzarsi per ringraziare pubblicamente il Comando delle Forze Operative di Supporto dell’Esercito Italiano».
Lei ritiene i riminesi più accorti di quanto lo siano stati, almeno in passato, i loro amministratori?
«La città, dimostrando la propria capacità di metabolizzare e superare ogni polemica di eventuale natura ideologica che penalizzerebbe però solo la possibilità di migliorare con vantaggio di tutti la qualità artistica dell’arredo urbano, dovrebbe condividere con compiacimento e soddisfazione il fatto di esser riuscita a riportare finalmente “a casa” l’originaria pregevole copia della statua di Cesare recuperando un cimelio dall’intrigante, particolarissima, ricca storia che certo ne costituisce un “quid pluris” rispetto alla copia della copia attualmente collocata in piazza: basti solo pensare al fatto di esser miracolosamente sopravvissuta indenne alla devastazione della città e soprattutto alla rocambolesca vicenda delle due sepolture post belliche e dei due conseguenti recuperi sui quali ben potrebbero “giocare” le guide turistiche; tutte circostanze che la rendono sicuramente più empaticamente attraente dell’altra (se non altro perché manca dalla città da circa 70 anni) senza peraltro disconoscere a quest’ultima ed ai suoi generosi donatori del “Rotary” di Rimini il merito di aver “medio tempore” colmato quell’innegabile vulnus arrecato all’arredo urbano della città nel lontano 1953, ora destinato finalmente ad esser sanato».
Si dice che quando ancora si pensava di poter tenere a maggio l’adunata degli alpini, Paolo Piraccini, capogruppo della sezione di Rimini, avesse ipotizzato un fattivo intervento del corpo degli Alpini.
«Sì, in vista dell’adunata nazionale dell’Associazione Alpini, prima che la Caserma Giulio Cesare chiudesse definitivamente i battenti, il Gruppo Riminese ANA (Capitano Aldo Iorio) si è generosamente offerto di intervenire con i mezzi della propria protezione civile ed i propri tecnici ove, purché prima di quel grandioso evento, ne occorresse il trasporto in città sottolineandosi con ciò, ancora di più, il trasparente spontaneo legame fra Istituzioni che presiedono ed animano la civile e sociale convivenza; e a fronte di tale spontanea e trasparente comunione d’intenti, si dovrebbe quindi e di per sé, azzerare in radice ogni eventuale polemica o distonica perplessità».
Dunque, ci sono i presupposti per cui Gaio Giulio Cesare torni nella piazza in cui fu acclamato protagonista in “carne” così come in “bronzo”. Tutto dipende dalla volontà di chi amministra la città. Non resta che sperare nel “facta, non verba” di cui sopra.
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