Che grande tristezza piazza Malatesta calva e cementata

Che grande tristezza piazza Malatesta calva e cementata

Privata di alberi centenari ancora vivi una primavera fa. Senza un segno della sua profondità archeologica, e pesantemente pavimentata con una roccia grigia color triste cemento che chissà da dove proviene, senza alcun rapporto con la geologia del riminese. Comunica rigidità e soffocamento. E' il risultato peggiore delle fantasie dispotiche amministrative calate sulla città dalla giunta uscente.

Com’era piazza Malatesta una primavera fa quando i suoi platani centenari verdeggiavano.

Augusto, scrivono gli storici romani, lasciò Roma tutta di marmo, l’aveva trovata con i grandi templi etruschi di legno e di cotto.
Il sindaco Andrea Gnassi lascia piazza Malatesta calva, senza gli alberi centenari ancora vivi una primavera fa, senza un segno della sua profondità archeologica, e pesantemente pavimentata con una roccia grigia color triste cemento che chissà da dove proviene, senza alcun rapporto con la geologia del riminese.

Come è oggi piazza Malatesta, un brutto esempio di come si riduce la bellezza vegetale per le fantasie dispotiche amministrative.

Per secoli a Rimini si sono seguiti i consigli di tutti i trattatisti classici che non bisogna usare rocce e pietre facendole venire da fuori, sia per i costi sia per una certa familiarità che devono avere i piani e gli edifici con la geologia locale.

Erano alberi centenari, li dissero “malati” e li uccisero.

Augusto per primo portò ad Ariminum la pietra di Aurisina che chiamiamo pietra d’Istria; la usò nell’Arco del 28 avanti Cristo e nel ponte che iniziò nel 14 dopo Cristo, l’anno della sua morte, e poi il nuovo padrone dell’urbe e dell’orbe Tiberio concluse nel 21 dopo Cristo (errori intollerabili on line: “il nostro ponte romano a Rimini…fatto costruire da Tiberio e finito da Augusto nel 14 d.C.”; consiglio ai pataca che si sentono storici: guardate su internet Augusto 63 a.C – 14 d.C.; Tiberio 42 a.C – 37 d.C.). La pietra d’Istria diventò monopolio della repubblica di Venezia e la pietra comune dell’Adriatico. L’altra roccia che è stata usata nelle costruzioni per secoli è stata il calcare, la pietra di San Marino proveniente dalle cave del monte Titano.

Com’è oggi piazza Malatesta calva e cementata e pronta a diventare un luogo grigio triste per sostenere i ciaffi creativi felliniani.

La pietra di San Marino ha un colore grigio giallo caldo che può presentarsi anche molto bianco, come nei capitelli delle colonne ioniche del primo ordine del teatro polettiano, se è vero, che venne usata pietra di una cava di San Marino, come scrive Filippo Giangi.
I colori delle pietre e dei mattoni influirono anche nella scelta dei colori urbani dal Rinascimento in poi, quando finirono i colori araldici negli edifici pubblici e privati, il rosso imitava i mattoni, il giallo la pietra di San Marino e l’arenaria di Cerasolo. Il bianco era usato solo nei vicoli stretti e proibito nelle strade comuni. Nel Borgo di San Giuliano, abitato da monaci e marinai di origine veneta, si usavano e si usano tuttora i vari e forti colori della laguna.

Lo spessore del cemento sulla piazza Malatesta è un segno di rigidità e di soffocamento della piazza che poteva essere pavimentata coi metodi tradizionali dei letti di sabbia, da rifare di quando in quando, ma meno artificiali e più naturali che lasciano ‘respirare’ le piazze e le strade.

Per la pavimentazione stradale a Rimini erano usati i mattoni di cotto messi di taglio, a spese dei proprietari degli immobili che si affacciavano sulle strade. Più tardi nell’800 si cominciò ad usare i sassi di selce del Marecchia piccoli interi o grandi tagliati. Negli anni ’30 il centro storico, Corso d’Augusto e le due piazze, furono pavimentati con blocchetti di porfido. Piazza Cavour è ancora pavimentata con blocchetti di porfido, una pietra della nostra tradizione romana color rosso. Vero è che secondo l’uso antico i blocchetti non venivano cementati ma stesi su letti di sabbia che di quando in quando vanno rifatti.

La pietra grigia simile a quella imposta in piazza Ferrari, che per la sua scivolosità quando piove qualcuno ha chiamato “scivolina”.

Al tempo della ristrutturazione dei giardini Ferrari, che cancellò quanto restava dei viali ricurvi di Paolito Somazzi intorno al 1914 e portò via due dei quattro centenari cedri del libano – e per fortuna ci fece scoprire la domus taberna medicina volgarmente detta la casa del chirurgo, e non fu una cosa immediata lo scavo archeologico – vennero cementati strati sottili di una pietra grigia proveniente dal mercato internazionale, particolarmente scivolosi quando piove, che subito si spezzarono per la cementazione. Una pietra simile, trattata con fuoco e fiamme, fu usata anche in piazza Tre Martiri, con la differenza che si trattava di formelle di spessore più grosso. Ma il problema si sarebbe ripresentato perché quando la formella si stacca dal fondo rigido, per il gelo o per altro, basta un granello di sabbia poco più grande dei soliti a fare da cuneo e la pietra si spacca.

Rimini s’ingrigisce, che tristezza!

Su questo teatro cementato saranno montati chissà quali costosi ciaffi felliniani probabilmente destinati a durare poco in vista di nuove amministrazioni meno fellinofile e meno rozze o anche solo per la noia che le novità grigie e sciatte provocano in tutti.

Vogliamo ricordarla com’era, quando ci rideva verde…

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