Città turistica da ripensare: a Rimini sono stati chiusi 500 alberghi

Città turistica da ripensare: a Rimini sono stati chiusi 500 alberghi

Nel 1988 c'erano 1.525 strutture alberghiere con 41.227 camere. Nel 2020 sono diventate rispettivamente 1.008 e 33.528. Cos'altro occorre perché cambi la "politica urbanistica" per la zona a mare della ferrovia? Numeri e considerazioni, per affrontare finalmente il vero problema della nostra destinazione.

E’ una foresta che cresce, direbbe Lao Tzu, che non fa rumore. Ma questa foresta non produce ossigeno e tutti ne faremmo volentieri a meno. Siamo a Rimini, dove la “vegetazione naturale” più rigogliosa cresciuta verso il cielo è quella pensata per la ricettività turistica. La foresta che sta ingigantendosi, fuor di metafora, è formata da alberghi che hanno chiuso i battenti. Sostanzialmente aumentano di anno in anno. Tanto che viene da chiedersi: avanti di questo passo fra trent’anni quanti ne saranno rimasti a Rimini? Piano piano, ma nemmeno tanto, una fetta sempre più consistente di hotel smette di dare ospitalità ai vacanzieri e va ad ingrossare le fila del cimitero dei dinosauri ad una, due e tre stelle. Ognuno di questi ha certamente contribuito a scrivere la storia del turismo della Riviera, ma per loro nessuno ha scritto una possibilità di riscatto. Con la conseguenza che non si estinguono, restano al loro posto e diventano spesso ricettacolo di sbandati e senzatetto. E non ricevono una seconda chance. Si trovano in un limbo di desolazione in mezzo alla città turistica e dunque peggiorano la qualità dell’offerta, la vivibilità della città, il contesto nel quale residenti e ospiti vengono a trovarsi.
Cominciamo col chiederci: quanti sono? La risposta è abbastanza impressionante. Si è spesso letto sulla stampa di “circa 300 hotel fuori mercato”. Sono molti di più.

Capacità ricettiva nel comune di Rimini. Nel 1988 c’erano 1.525 strutture alberghiere (non sono conteggiate le extra-alberghiere) e 41.227 camere. Nel 2020 le prime sono precipitate a 1.008 e le seconde a 33.528. La variazione degli esercizi sfiora il -34%, quella delle camere quasi il -19%.
Se tiriamo una prima riga generale vediamo che in circa tre decenni si sono perse per strada 517 strutture e 7.699 camere.
Sezioniamo meglio l’andamento. Nel decennio dal 1990 al 2000 c’è stato un calo di 158 alberghi (erano 1.490, sono diventati 1.332), dal 2000 al 2010 molti di più, -215, fino al 2020 ulteriori -109.
Camere: -1.194 fra 1990 e 2000, -1.703 fino al 2010, e poi -4.836.

Mentre gli osservatori turistici, i sindaci e gli assessori regionali al turismo ci raccontavano di arrivi e presenze in crescita o, al peggio, di stagioni egregiamente assestate sulla “tenuta”, per convincerci sempre e comunque che il corpo turistico scoppia di salute, a Rimini “sparivano” alberghi. I numeri sono impietosi e costringono a riflettere. Magari contro voglia, perché tutti ricordiamo i tempi in cui Rimini è stata capitale indiscussa della vacanza. Però, far finta di essere sani non aiuta ad immaginare una soluzione percorribile per gli alberghi chiusi con le quattro frecce. E’ poi prevedibile che la devastazione lasciata dalla pandemia da Covid 19 difficilmente avrà degli esiti positivi dal punto di vista della situazione di cui ci stiamo occupando.

Il grafico che pubblichiamo offre un colpo d’occhio completo e lascia pochi dubbi. Avremmo potuto portare ancora più indietro le lancette del tempo, ma trent’anni sembrano sufficienti per focalizzare il problema.
Ci sono stati anni in cui gli alberghi chiusi hanno raggiunto quota 5 o 7, in altri 15, 17 o 18, fino a 33, 37, 42 e addirittura 90 fra il 2019 e il 2020.
Mentre periodicamente riprende il dibattito fra chi si dice contrario alla riconversione alberghiera in appartamenti e chi invece reclama la totale “liberalizzazione”, il panorama è quello descritto.
Nell’ultimo decennio quanti alberghi nuovi sono spuntati a Rimini? Si contano sulle dita di una mano. L’I-Suite della famiglia Ermeti (inaugurato nel novembre del 2009), più di recente l’Up Hotel di Fabrizio Fabbri e uno che sta per debuttare a San Giuliano mare, l’Hotel Demo (ex pensione Toledo) di Mauro Santinato, che si preannuncia una novità assoluta e che sarà ultimato fra pochi giorni. Se si aggiunge qualche altra eccezione, il puzzle è completo. Non mancano ovviamente hotel di pregio, che seppure sottoposti a restyling risalgono però agli anni ’70 e ’80.

Che fare? Il punto di partenza oggettivo è lo stato di fatto: 500 strutture, che non sono più alberghi, “espulse” dal mercato perché non più economicamente sostenibili o per altre ragioni. Vogliamo toglierle di mezzo oppure continuare a conviverci? Non si può certo continuare a ignorare il vulnus e a tollerare un degrado di cui fanno le spese tutti, anche i pochi che hanno investito tanto denaro per riqualificarsi e che si ritrovano a fianco un rudere.
L’assessore alla programmazione e gestione del territorio, Roberta Frisoni, ripete che «il problema si affronta con una programmazione che stia dentro una pianificazione della città nella sua interezza e, nel caso dell’ambito turistico, valuti area per area come e dove accompagnare delle trasformazioni ottemperando l’interesse del privato insieme a quello della comunità» (campa cavallo…) e che «nel RUE sono state introdotte novità che spingono verso la trasformazione di vecchie strutture alberghiere verso servizi al turismo». Ma di questi “incentivi” per la zona turistica si favoleggia da parecchio tempo senza che si inneschi un vero processo di rigenerazione. E allora bisogna comprendere che forse quelli che per la pubblica amministrazione sarebbero “incentivi”, per i privati non lo sono, quanto meno a sufficienza.

Per gli hotel il Rue ha previsto premialità «con parametri graduali dal 5% al 20% per chi interviene con opere di recupero e riqualificazione energetica e una maggiore flessibilità per la destinazione d’uso, con un’attenzione alla tutela e valorizzazione delle aree di prima fascia. Si vuole premiare chi fa impresa turistica, modernizzando gli immobili armonizzandoli alle più avanzate normative di sicurezza e di servizio. L’obiettivo è favorire la ricostruzione edilizia, che offre maggiori garanzie sul fronte del miglioramento energetico e sismico». Ma il 20% può essere considerato allettante per chi vorrebbe investire? Non solo. Gli incrementi di spazi/volumi per la riqualificazione e diversificazione dell’offerta ricettiva con servizi complementari, ludico-sportivi, wellness, piscine e parcheggi interrati, non rischia di essere una maglia troppo obbligata? Non sarebbe meglio fissare paletti più ampi, una volta introdotto il principio vincolante che si dovranno comunque realizzare solo attività economiche di tipo turistico, lasciando al mercato la possibilità di riempire di contenuti questo schema?

Se aprire genericamente la strada alla trasformazione degli alberghi fuori mercato in appartamenti potrebbe ingenerare conseguenze negative sia sul mercato immobiliare che sul sistema della ricettività turistica, possono però essere accompagnati sviluppi anche diversi. Il caso di Jesolo va in questa direzione. La località turistica del Veneto ha innovato il proprio skyline non solo con hotel di altissimo livello (nel 2020 è stato inaugurato il terzo 5 stelle, si chiama J44 Lifestyle Hotel) ma ha anche puntato sugli appartamenti turistici, quindi “seconde case” con finalità di vacanza che non possono essere vendute come “prima casa”. Può essere un percorso fattibile anche per Rimini?
Il dibattito, come si diceva una volta, è aperto. Ma l’impressione è che non se ne uscirà attendendo che dal palazzo piovano soluzioni. Gli ultimi dieci anni non hanno mosso un filo su questo versante, e dunque possono essere considerati persi. Occorre un colpo di reni da parte della società civile, delle associazioni di categoria, dei portatori di interesse nel settore turistico. Occorre chiamare a raccolta esperti, intavolare confronti e giornate di studio. C’è una città da ripensare, turisticamente parlando, mettendo in cantiere il “bello” della ricettività. Il futuro non si costruisce mettendo la testa sotto la sabbia e continuando a raccontare la favola del “va tutto bene madama la marchesa”. Si accettano analisi, proposte, contributi.

Fonti:

Dati relativi al 1988.

Dati dal 1989 al 1994: stimati in base al CAGR tra 1988 e 1995.

Dati dal 1995 al 2014 – UNIONCAMERE EMILIA ROMAGNA.

Dati dal 2015 al 2020 – ISTAT.

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