Cosa non si fa per “puntellare” il Ceis

Cosa non si fa per “puntellare” il Ceis

Il documento della Soprintendenza datato 2017, al centro di un articolo di Chiamamicittà, è estrapolato da una relazione preparatoria per la risposta alla interrogazione parlamentare che fu presentata da Massimo Palmizio. E il messaggio è chiaro: «appare sempre più stringente la necessità di attuare un programma di recupero e riqualificazione...» dell'area dell'anfiteatro.

Il 30 luglio Chiamamicittà è uscita con un articolo che sulle prime e per i meno informati sulle vicende dell’Anfiteatro romano, è apparso come una notizia: Anfiteatro di Rimini, la Soprintendenza: “Scavare? Lì non è rimasto gran che”. Viene riportato un parere della Soprintendenza senza spiegare cosa sia quel parere e per quale ragione sia stato redatto. Si decontestualizza un documento del 2017 e, soprattutto, non si dice che lo stesso per risultare intelligibile va messo in relazione con la risposta che l’allora sottosegretario ai Beni culturali, l’onorevole Ilaria Carla Anna Borletti dell’Acqua, fornì all’onorevole Massimo Palmizio che interrogò il Mibact sul luogo che fu eretto per ospitare spettacoli gladiatori mentre per una sua buona parte dal dopoguerra è occupato da una scuola privata. Senza questi riferimenti si trae in errore il lettore.

La data del 2017 avrà sicuramente acceso qualche spia. Perché la Soprintendenza redige il documento in questione il 22 marzo 2017? Perché il 3 marzo di quello stesso anno Massimo Palmizio (Forza Italia) presenta una interrogazione (a quanto pare “suggerita” dal capogruppo di Forza Italia nel consiglio comunale di Rimini) a Franceschini. Riportiamo solo la parte centrale:

sull’area archeologica dell’anfiteatro fu posto un vincolo nel 1913; in base a tale vincolo è «proibito fare qualsiasi costruzione» nell’area in questione;
nonostante ciò, nel 1946, il Soccorso operaio Svizzero dona alla popolazione riminese, fiaccata dai bombardamenti, 13 baracche in legno con i relativi arredi smontabili, che inizialmente dovevano essere temporanee, ma che oggi, dopo vari ampliamenti, costituiscono il Ceis (Centro educativo italo svizzero), situato nell’area archeologica dell’anfiteatro;
nel 1969 l’allora sindaco di Rimini, Walter Ceccaroni, scrisse alla Soprintendenza regionale assumendo un impegno formale (mai onorato), inteso a «trasferire, allorché necessario, la sede del Centro Educativo Italo-Svizzero in altra ubicazione diversa dall’attuale»;
negli anni ’70, senza che, a quanto consta all’interrogante, fosse stata informata la Soprintendenza nell’area vengono addirittura eretti i primi edifici in muratura, con fondamenta in calcestruzzo, che vengono ampliati negli anni e sono tuttora esistenti;
la coesistenza tra Ceis e zona archeologica non può persistere, se si vuole valorizzare l’anfiteatro romano, ma l’attuale presidente del Ceis, Giovanna Filippini, ha spesso ribadito il seguente concetto: «il Comune ci deve mettere a disposizione un’altra area e una struttura che sia adeguata alle nostre esigenze. Non abbiamo mai preso in considerazione l’idea di spostarci, se lo faremo dovremo avere in cambio delle garanzie. Anzi ho intenzione di fare la richiesta perché il sito diventi patrimonio mondiale dell’Unesco»;
negli anni, sono giunte innumerevoli esortazioni al comune di Rimini per valorizzare l’antica arena di epoca romana, oggi «soffocata» da una delle strade di maggiore traffico della città (via Roma), dalle case costruite intorno e dallo stesso Ceis;
si ricorda che il Ceis è un’associazione privata e i membri del suo consiglio di amministrazione sono nominati su proposta del comune di Rimini, che, ogni anno contribuisce cospicuamente con denaro pubblico alle sue attività;
in 70 anni per salvaguardare l’area dell’anfiteatro è stato solo realizzato un percorso verde tra i resti dell’anfiteatro, negli anni ’90, e, dopo un lungo braccio di ferro, la rimozione del distributore di benzina che occupava una parte dell’area;
è veramente troppo poco, a giudizio dell’interrogante, se si considerano il valore e il potenziale di un’area collocabile tra le più importanti della regione Emilia-Romagna e del nostro Paese per importanza storica, simbolica ed archeologica;
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda esposta in premessa, davvero incomprensibile per un’area di tale valore simbolico, storico e archeologico e se intenda assumere, per quanto di competenza, per risolvere le criticità sopra evidenziate, esortando le parti interessate (Ceis compreso) a collaborare affinché venga data priorità alla riqualificazione dell’area e alla valorizzazione dell’area in cui è ubicato l’anfiteatro romano“.

Davanti a questa sollecitazione, al ministero dei Beni culturali hanno chiesto, com’è prassi normale, alla competente Soprintendenza, una “scheda” completa sullo stato dell’arte. La relazione (che quindi risulta essere un atto interno mentre l’atto pubblico è la risposta alla interrogazione) è stata preparata e firmata dal soprintendente Giorgio Cozzolino e dal funzionario archeologico Anna Bondini. Il sottosegretario ne ha utilizzato ampi stralci (e in buona parte sono quelli presentati come una novità nell’articolo in questione mentre erano noti dal maggio 2017) ma le conclusioni alle quali giunge il ministero non sono quelle che Chiamamicittà ha “estrapolato” dal documento. Eccole in forma integrale:

“È sul piano della valorizzazione che si rivelano le maggiori criticità, dovute, come già detto, sia alla presenza delle strutture del Ceis su una porzione dell’area, sia alla generale situazione urbanistica della zona, che impediscono la piena fruizione di un monumento tanto significativo per la storia (non soltanto) riminese nonché l’accesso da parte della cittadinanza ai valori storico-artistici di cui tali resti sono testimonianza. Se il termine «valorizzazione» richiama le attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurarne le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica (articolo 6 del decreto legislativo n. 42 del 2004), appare sempre più stringente la necessità di attuare un programma di recupero e riqualificazione urbanistica, il cui impegno in termini di risorse umane e materiali deve essere proporzionato al «valore» che viene attribuito all’anfiteatro di Ariminum.
L’area dell’Anfiteatro di Rimini è di proprietà comunale e l’esercizio delle funzioni di valorizzazione del patrimonio culturale è posto in capo agli enti territoriali (articolo 117 Costituzione e articoli 6-7 del decreto legislativo n. 42 del 2004).
La ricostruzione delle vicende che hanno interessato, in questi ultimi decenni, il monumento riminese dimostrano come le strutture periferiche del Ministero hanno più volte, anche in tempi recenti, rivolto al comune di Rimini sollecitazioni verso la presa in carico di una organica progettualità in merito, manifestando, nel contempo il proprio pieno sostegno a piani e progetti che riqualifichino e valorizzino l’anfiteatro.
Così come nel passato, questa amministrazione non cesserà di attivarsi affinché venga data priorità alla riqualificazione dell’area.

Il sottosegretario scrive anche in un altro passaggio: «Nel 1946 la parte sud e sud-est dell’area fu ceduta dal comune in uso al centro educativo italo svizzero (CEIS), che vi impiantò alcuni prefabbricati allo scopo di assicurare la presenza di una scuola in area urbana perché i bambini non fossero costretti a percorrere a piedi un tracciato troppo lungo e assicurandone il carattere di provvisorietà. Malgrado ciò, col passare del tempo i prefabbricati vennero sostituiti con opere in muratura e il centro, da asilo di baracche, si è trasformato in edificio stabile e polifunzionale. La competente soprintendenza ha rivolto innumerevoli sollecitazioni riguardo il trasferimento dell’intero complesso in ragione della provvisorietà della soluzione autorizzata, insieme a ripetute richieste di pervenire, a un «costruttivo confronto tra tutte le parti in causa». Parla poi dell’Anfiteatro di Rimini anche in termini di “incuria e abbandono” nel corso degli anni.

Quindi il messaggio che il ministero competente ha lanciato è del tutto opposto all’idea che ci si potrebbe fare leggendo l’articolo di Chiamamicittà. Il senso vero si può sintetizzare così: cosa aspetta il Comune di Rimini, proprietario dell’Anfiteatro, a valorizzare quel tesoro sepolto con un progetto organico?

Qui l’interrogazione e la risposta del sottosegretario.

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