Dentro la chiesa di Sant’Agostino

Dentro la chiesa di Sant’Agostino

Gli affreschi del '300 scoperti nella chiesa di San Giovanni Evangelista o di Sant'Agostino sono un'eccellenza assoluta del patrimonio artistico nazionale, europeo e mondiale... Il prof. Rimondini li spiega nei minimi dettagli.

LA SCOPERTA DELLA PITTURA RIMINESE DEL TRECENTO IN SANT’AGOSTINO

I funerali di Drusiana.

PROFESSORE
Gli affreschi del ‘300 scoperti nella chiesa di San Giovanni Evangelista o di Sant’Agostino sono un’eccellenza assoluta del patrimonio artistico nazionale, europeo e mondiale…

ALESSIA
Prof non starà esagerando? Romagnola e magari nazionale, ancora, ancora, ma mondiale? Come giustifica queste affermazioni strampalate?

PROFESSORE
Nella nostra cultura nazionale e locale, cara Alessia giustamente criticona, ci sono delle eccellenze internazionali. Parto da un’opinione condivisa anche dalla geopolitica rivista Limes: il nostro patrimonio artistico, archeologico e storico è il nostro petrolio. E dall’altra opinione collegata che il patrimonio archeologico, storico e artistico in Italia sia diffuso. Il museo diffuso di Antonio Paolucci.
Pensa alla presenza di teatri dell’opera, dove si canta in italiano, in tutto il mondo da Brasilia a Sidney, da New York a Parigi… E non mi dire Alessia che a te l’opera non piace, come mi disse anni fa una sprovveduta assessora alla cultura, che non voleva ricostruire il nostro teatro dell’opera, perché l’opera non le piaceva, le dissi, se ricordo bene, che il piacere del singolo non conta niente.
Valutasse piuttosto che a Rimini col teatro c’erano cantanti d’opera importanti e musicisti altrettanto importanti riminesi educati qui. Adesso imparavano l’italiano per cantare l’opera i cinesi, i coreani i giapponesi…

Nei grandi musei e nelle grandi collezioni dell’Europa e degli Stati Uniti ci sono “fondi oro”, come li chiamavano nell’800 quando generazioni di antiquari vennero a predarli da noi per quattro soldi, molti dei quali negli anni trenta del ‘900 furono riconosciuti come opere della Scuola Riminese del Trecento, appena individuata per la scoperta del dopo terremoto del 1916, proprio qui in S.Agostino, e la prima grande mostra nazionale del 1935. Tutti i più importanti addetti ai lavori delle discipline di storia dell’arte delle diverse università europee e americane, i miliardari collezionisti e gli esperti delle più importanti case d’asta di opere d’arte da quegli anni cominciarono ad occuparsi dei nostri pittori, alcuni di loro a venire di persona a vederli qui anche nella chiesa di Sant’Agostino, a scrivere libri, ognuno naturalmente fedele alla propria tradizione culturale, come vedremo…

ALESSIA
Lei prof li ha visti questi addetti ai lavori internazionali qui a Rimini?

PROFESSORE
Sì Alessia, qualcuno. Quando fecero una mostra per il restauro dell’affresco staccato del San Sigismondo venerato da Sigismondo Pandolfo Malatesta, di Piero della Francesca, oggi purtroppo spostato dalla luce della parete dove l’aveva dipinto Piero nel buio nel Tempio, dove l’avrebbe voluto dipingere il tale che l’ha fatto spostare, venne da Tokyo una esperta giapponese in arte italiana a vedere la mostra. Il nome mi sfugge, ricordo solo che parlava in italiano purissimo, ed era affascinata dal nostro Rinascimento. Ricordo invece il nome del giornalista giapponese Konishi Daisuke che venne a vedere il ponte romano di San Vito, qualche anno fa e fece un servizio per i suoi giornali. Anche il Rubicone fa parte di un’eccellenza archeologica e storica nostra conosciuta nel mondo. Poi Moreno Neri ha scritto diversi articoli su Rimini 2.0 e anche su “Repubblica” sulla presenza a Rimini di Ezra Pound, di Ernest Hemingway, di Aldous Leonard Huxley e di altri scrittori e personaggi famosi affascinati dai Malatesta.

ALESSIA
Insomma prof anche lei mira al turista yankee, come … (pronuncia il nome a bassa voce).

PROFESSORE
Chi?

ALESSIA
Quel tale che riempie Rimini di fontane per la nebbia, bestioni, laghetti e vuole mettere nell’albero centenario lo zio matto e sotto la suora nana…

PROFESSORE
Ah quello. Pensate all’assurdità di una simile ‘vision’: Fellini non ha girato Amarcord a Rimini, nelle sue vie e piazze. Ha scelto una Rimini immaginaria, onirica tutta sua che questa fellinizzazione della Rimini reale rende volgare e realistica. A Fellini non piacerebbe di sicuro. Del resto quel tale lo hanno educato con la ‘vision’ dell’Italia in miniatura…

CHRISTIAN
Veramente prof, c’è chi dice che sia stato lei a educarlo…

PROFESSORE
Non agitare il coltello nella piaga Christian…parliamo di altro, vuoi?

VITTORIO BELLI SCOPRITORE DEGLI AFFRESCHI

Adesso ragazzi, vi devo precisare qualcosa sulla mia identità critica. Faccio parte degli addetti ai lavori della storia dell’architettura, almeno in Portogallo dove mi hanno dato un titolo accademico per pubblicazioni sulla loro reggia dell’Ajuda, ma sono quasi sconosciuto in Italia, e non ho titoli per spacciarmi quale storico della pittura. Solo mi posso definire un Riminista, come quasi tutti gli storici locali mi interesso cioè di troppe cose relative a Rimini; bè in mia difesa devo dire di essere stato sempre stimolato ad allargarmi dall’alto numero di errori e falsi che si trascina dietro la tradizione storiografica locale, per altro gloriosa, lo ripeto è una signora tradizione da sempre, ma con qualche punto da ripulire. Si trovano molti falsi ed errori in giro nelle diverse opere storiche relative a Rimini locali vecchie e nuove e di conseguenza nazionali. E poi, anche dal mio tipo di capacità ‘filologica’…

ALESSIA
Prof che vuol dire “capacità filologica”?

PROFESSORE
Forse più che di capacità – qualità che dovrebbero comunque essere gli altri ad attestare – mi sento autorizzato a parlare di curiosità filologica. Cos’è? E’ semplicemente l’essere portati all’analisi delle parti e poi del tutto, dei dettagli significativi di un’opera d’arte non solo letteraria, o di un documento storico, ma anche dei ‘testi’ di architettura, di pittura e d’ogni altro tipo espressivo.
Devo dire che l’attento esame di un dipinto, che può durare nel tempo, mi procura una grande gioia, e stimola infinite ricerche…Mi capita per altro di trovare molti errori e falsi…
Non essendo un addetto ai lavori, ma un ‘presuntuoso’ che segnala falsi ed errori, di rado gli addetti ai lavori, o se dicenti tali, di Rimini si accorgono di quello che scrivo…pur, come credo, avendo innovato e non poco in molti campi…

ALESSIA
Per esempio?

PROFESSORE
Per esempio nessuno di quelli che si sono occupati della scoperta degli affreschi in Sant’Agostino ha recepito la notizia, più volte da me pubblicata, dello scopritore degli affreschi dopo il terremoto del 1916. Si tratta di Vittorio Belli che non solo li trovò, ma anche si diede da fare, col suo amico Alessandro Tosi, perché venissero presi in considerazione a Roma nella fase del recupero e dei restauri.
Il Comune di Bellaria-Igea Marina mi avevano incaricato di fare una ricerca biografica sul Belli, fondatore di Igea Marina, per una pubblicazione.
Suo nipote Bruno Belli mi consegnò una serie di taccuini manoscritti dalla copertina nera, che più che un diario erano una sorta di zibaldone – dico erano, perché al momento pare siano scomparsi -. Vittorio Belli (1870-1953) era un medico che aveva fatto molti affari redditizi nelle colonie italiane in Africa e a Rimini aveva acquistato terreni, vicini a quelli del nonno Victoire Tisserand, a Bordonchio, messi a vigneti di Bordeaux e di uve francesi, ed anche a quelli del padre e dei fratelli, e li aveva parcellizzati per creare Igea Marina. Non aveva più esercitato la sua professione, ma si era inventato un’attività di antiquario e con l’amico come lui medico e socialista AlessandroTosi – noto archeologo, il primo a scavare le tombe etrusche di Verucchio, e ispettore onorario – si era dato con fortuna a salvare i nostri monumenti archeologici in pericolo. A questi due personaggi dobbiamo tra l’altro la fondazione del Museo e la salvezza dell’Anfiteatro romano, destinato ad essere cancellato in un piano regolatore di villette ‘operaie’.

Dopo il terremoto dell’estate del 1916, scrive il Belli, nella parte interna dell’abside di Sant’Agostino i carpentieri avevano innalzato impalcature di legno per i restauri di alcune crepe. Il Belli si era arrampicato sui palchi e in un lato della parete di sinistra aveva grattato con un coltellino uno spesso strato di intonaco gessoso per arrivare a scoprire l’episodio della Resurrezione di Drusiana. Aggiungo qualcosa che il Belli non dice, per attrarre sulla scoperta l’attenzione dei pezzi grossi di Roma, lui stesso aveva dipinto sul cappuccio di un personaggio della Resurrezione di Drusiana una coroncina di alloro, stranamente disposta a rovescio, e l’aveva spacciata per un nuovo ritratto di Dante, a pochi mesi del sesto centenario della morte del sommo poeta chi poteva negare un restauro a un suo inedito ritratto a Rimini? E in aggiunta aveva dipinto gli occhiali a uno degli astanti…

ALESSIA
Questo lo dice lei, prof?

PROFESSORE
Lo dico perché il Belli è il primo a parlarne e perché gli occhiali sono scomparsi dopo i restauri e della coroncina dipinta a tempera è rimasta una traccia. Vittorio non aveva problemi a produrre falsi a fin di bene’, ma non solo, anche a fini di sarcasmo politico. Nei taccuini c’è anche il progetto del falso frammento di stele etrusca, da lui donata alla città l’anno in cui il Duce donò la statua di Giulio Cesare, ma va bene, non facciamola lunga…
In effetti Giuseppe Gerola, primo Soprintendente di Ravenna, uno studioso ben noto, mandò Giovanni Nave, considerato tra i restauratori migliori in Italia, che si mise all’opera. Purtroppo quasi subito il Gerola se ne andò da Ravenna e il nuovo Soprintendente, per risparmiare, licenziò il Nave e affidò il compito di recuperare gli affreschi ai muratori armati di cazzuola. Vittorio Belli era un tipo alto, robusto e tosto – aveva preso a pugni un ispettore della Soprintendenza ravennate che lo aveva affrontato con arroganza e supponenza in un cantiere archeologico di via IV Novembre – mandò un telegramma al Ministro della Pubblica istruzione: “La ritengo responsabile della distruzione degli affreschi di S. Agostino”. Il ministro della Pubblica Istruzione dell’ultimo governo Giolitti si chiamava Benedetto Croce. Il grande studioso napoletano rimandò Giovanni Nave a Rimini, che completò il lavoro strappando anche l’affresco del Giudizio Universale e altri affreschi del Trecento nella chiesa di S.Agnese e nell’Albergo Aquila d’oro, dove stranamente, in una nicchia, vi erano affreschi medievali.
Pochi anni dopo tutti i grandi critici italiani e internazionali conoscevano la Scuola di Rimini e nel 1935 venne apprestata da Cesare Brandi la prima grande mostra. Poi nel 1995 si fece la seconda mostra, a cura di Daniele Benati e sarebbe ora di farne un’altra, perché le mostre nazionali ben fatte attirano l’attenzione degli esperti ed intelligenti nazionali e internazionali e le risorse economiche del governo e dell’Europa. Prima che Forlì ce la scippi, come ha fatto col Cagnacci e sta per fare con Dante per il 2021.

Particolare del supposto ritratto di Dante Alighieri della Resurrezione di Drusiana con i resti della coroncina posta sul capo alla rovescio. Foto di Gilberto Urbinati.

L’ULTIMO LIBRO SUI DIPINTI DI SANT’AGOSTINO DI DANIELE BENATI E ALESSANDRO GIOVANARDI CON LE SPLENDIDE IMMAGINI DI GILBERTO URBINATI (2019)

Noi qui faremo riferimento solo all’ultimo testo uscito di recente proprio per la chiesa di S.Agostino, con un apparato straordinario di immagini fotografiche curate da Gilberto Urbinati, Il Trecento riscoperto. Gli affreschi della chiesa di Sant’Agostino di Rimini, Silvana Ed., Cinisello Balsamo, Milano 2019. Gli autori del testo sono Daniele Benati, che discende in linea retta da Roberto Longhi e dalle tre generazioni di critici longhiani bolognesi. A Rimini siamo una colonia culturale bolognese, lo sapevate?
Ed è molto apprezzabile il saggio di Alessandro Giovanardi che ha sottoposto gli affreschi e la stessa disposizione della chiesa duecentesca ad una acuta e generale indagine liturgica e simbolica, con suggestioni che partono dalla scuola russa di Aleksandrovic Florenskij, introdotto da noi da Natalino Valentini. Magari poi ve ne parlo.
Vi anticipo solo che la critica d’arte sugli affreschi di Sant’Agostino, sui maestri che si possono individuare e sulla cronologia è non solo da sempre divisa in cronologie e autori, ma minaccia di dividersi ulteriormente. Si sono acquisite negli anni nuove conoscenze. Adesso si capisce meglio il funzionamento di un cantiere pittorico medievale, con una divisione del lavoro esecutivo affidata a diverse mani esperte, sia pure sotto la direzione o regia di un solo maestro. Finora si cercava solo la “mano” del maestro – presente, solitaria, forse solo negli affreschi di Michelangelo della cappella Sistina -, d’ora in poi sarà più difficile trovarla. Carlo Volpe nel 1965 aveva distinto, per ragioni filologiche una ventina di pittori della Scuola Riminese del Trecento, adesso vengono distinti meno di dieci pittori – Neri il miniatore notaio, Giovanni, Giuliano, il misterioso Zangolo, Pietro, Francesco, Govanni Baronzio e qualche aiuto -. E tuttavia come non dare ragione ad Alessandro Volpe, figlio di Carlo, quando critica la semplificazione attribuitiva attualmente vincente che appiattisce il pittore di “qualità”, di “poesia” come avrebbero detto Benedetto Croce e Roberto Longhi, sulle figure a volte un po’ sciatte degli aiutanti e seguaci?
Anche se è vero che la pittura riminese ha un’aria corale, di “famiglia” appunto – e vedremo che le scoperte di Oreste Delucca quella famiglia storica l’hanno trovata -.

Su una cosa tutti i critici longhiani fin dall’inizio sono concordi: la scuola riminese del Trecento nasce al momento in cui Giotto arriva a Rimini negli ultimi anni del ‘200, come vuole Benati, o nel ‘300 preciso, quando Giotto incontrò a Roma nell’anno del primo giubileo Malatesta da Verucchio che lo portò a Rimini, come scrive Vasari che doveva avere colto a Rimini informazioni storiche precise, quando soggiornò nell’abbazia di Scolca. Cosa poteva saperne il Vasari di Malatesta da Verucchio? Tuttavia una scuola pittorica riminese, lo ammettono indirettamente anche i critici longhiani, c’era già all’arrivo di Giotto.
Immaginiamo questo arrivo. Giotto incontra i pittori di Rimini, che dipingevano “in greco”, il linguaggio bizantino adriatico, e che rimangono affascinati dal suo linguaggio nuovo – ‘realista’ avrebbero detto nel ‘900 – ma anche Giotto appare aperto alle suggestioni dalla pittura bizantina. La prova? Guardate al Crocifisso di Giotto in Santa Maria Nuova a Firenze: il corpo del Martire è atletico, le gambe piegate come in un Crocifisso di Nicola Pisano; sul viso vi dirò dopo. E’ il primo Crocifisso di Giotto rimastoci. E guardate al Crocifisso – bè portate un binocolo – che il Longhi per primo attribuì a Giotto, in San Francesco di Rimini, pardon nel Tempio Malatestiano: il corpo allungato di Cristo sembra una felice sperimentazione delle figure allungate della scuola bizantina che l’aveva accolto. E poi ci sono altre cose che Giotto ha preso qui. Le vedremo tra poco.

LE TRE ANIME DELLA PITTURA RIMINESE DEL TRECENTO: BISANZIO, ROMA E GIOTTO

L’ arte dell’ultima rinascita bizantina del ‘200 era diffusa nella Rimini adriatica, a Venezia e anche nell’altra parte dell’Adriatico, nelle chiese serbe, che avevano recepito motivi di culto ed estetici elaborati nella Costantinopoli della ‘rinascita’ degli imperatori Comneni e dell’ultima fioritura bizantina degli imperatori Paleologi. Per non parlare della pittura romana del ‘200, poco considerata dai critici italiani, se escludiamo Federico Zeri, che ha lasciato delle tracce consistenti. Reperibili. Ma è la componente meno studiata, al momento, che pure ha attirato l’attenzione di critici assai importanti come Gabriello Milantoni. La pittura romana del ‘200 vien definita da Federico Zeri con la metafora del grande continente sommerso, scomparso dalla memoria storica dell’Occidente.
Daniele Benati, che pure è un longhiano bolognese, riprende articolandoli con precisione i motivi orientali, ma non è una novità critica assoluta perché, come sappiamo, già il Longhi, che pure giudicava negativamente l’arte bizantina, non era stato insensibile alla componente bizantina dei pittori riminesi, a proposito delle pitture di Giovanni nella cappella della Vergine in S.Agostino, che tra poco vedremo.
Purtroppo i suoi immediati seguaci considerarono, con i rigori etici e politici del secondo dopoguerra, considerarono la scuola di Giotto come ‘progressista’ – starei per dire ‘comunista’ – mentre quella bizantina era da disprezzare come reazionaria, aristocratica o conservatrice – starei per dire ‘fascista’ o ‘democristiana’ -. Così nella valutazione della pittura riminese v’era del buono, la parte giottesca, ma anche del cattivo, il bizantino che veniva ripreso e scartato. Non per il Longhi però. Il grande critico e grande filologo colse la “poesia” dello stile greco, così mirabilmente fusa con le novità di Giotto. Vi ho portato la citazione del Longhi presa in Lavori in Val Padana:

“Che la gravità della composizione di questa Morte della Vergine [della cappella della Madonna in Sant’Agostino da lui attribuita a Giovanni] sia fomentata da Giotto giovanile, nessun dubbio; ma v’è di più qualcosa di arcano, di esoterico, di gravemente liturgico nei gesti, che si richiama invincibilmente alla tradizione dei solenni mosaici bizantini; e non esclude, anzi stimola, la vibrazione profonda del colore. In un altro affresco della cappella, col soggetto di Gioacchino fra i pastori, la tradizione pittorica dell’ellenismo brilla miracolosamente quasi intatta, nella scomposizione “a tocco” del chiaroscuro sulla testa, sulla mano del vecchio seduto.”

Giovanni da Rimini, la presentazione al tempio.

Se il colore ‘vibrante’ ci rimanda giustamente ai mosaici ravennati del V e VI secolo – di mosaici ce ne erano anche a Rimini -, il classicismo delle “pittura di tocco” e di altre caratteristiche come la resa architettonica e cromatica del Tempio della scena Purificazione di Maria, è una componente classica presente anche nelle opere dei pittori paleologi.

ALESSIA
Prof rallenti un poco, chi sono questi pittori paleologi?

PROFESSORE
Hai ragione Alessia, metto troppa carne al fuoco, come si usa dire. Allora, i Paleologi sono la famiglia imperiale che dà il nome all’ultima fase della storia e della cultura bizantina. I pittori, gli scultori e gli architetti paleologi sono gli artisti dell’ultima fase dell’impero bizantino, o greco.
I Paleologi prendono il trono di Costantinopoli o Bisanzio nel Mille e gli ultimi vengono sterminati da Maometto il Conquistatore nella presa di Bisanzio del 1452. Sono storicamente importanti per noi di Rimini perché una Malatesta, Cleofe figlia di Elisabetta da Varano “coltissima donna” e di Malatesta dei Sonetti Signori di Pesaro sposò, col titolo di basilissa o imperatrice, Teodoro despota di Morea, fratello di Giovanni VIII e di Costantino XI ultimo imperatore. Una sua nipote, Zoe o Sofia figlia di Tommaso Paleologo, il più giovane fratello di suo marito, sposò il Granduca di Mosca Ivan III, che aveva relazioni di parentela coi boiari Romanov, che diventeranno gli ultimi imperatori di Russia.
Alessia pensi ai turisti culturali russi?

Comunque stiamo parlando delle tre componenti della pittura riminese del Trecento. La prima è la componente adriatica o bizantina paleologa, che doveva apparire ben viva nel linguaggio pittorico usato dal pittore Giovanni da Rimini prima dell’arrivo delle novità giottesche. Giovanni è il più vecchio dei pittori riminesi di cui abbiamo le opere, che recepisce l’essenziale delle rivoluzionarie novità portate a Rimini da Giotto e dalla sua operosa bottega, che si spostava verso il nord dell’Italia dal cantiere di Assisi a quello di Padova. Daniele Benati si chiede quando i pittori di Rimini hanno visto la nuova pittura di Giotto e dove. Con una condivisibile sensibilità stilistica, ritiene che negli ultimi anni del ‘200, proprio in questa chiesa di Sant’Agostino, appaiano le prove del primo contatto dei pittori locali con Giotto. Sappiamo da una fonte antica che Giotto lavorò ad affresco nella chiesa di San Francesco di Rimini, detta più tardi il Tempio Malatestiano, dove è rimasto il suo bellissimo Crocifisso, modello di tutti i Crocifissi dei pittori Riminesi. Il grande pittore fiorentino in San Francesco di Rimini mostrò le stesse novità che aveva inaugurato ad Assisi.

La componente romana, presente come vedremo nella cappella della Vergine, ricorda un fatto ben curioso: i critici d’arte americani, e Federico Zeri con loro, non credono che le pitture delle storie di Francesco della navata della chiesa superiore di Assisi siano di Giotto, ma di un maestro romano al momento anonimo. Tenete presente questa tradizione critica dei professori delle università americane per i vostri eventuali turisti culturali Yankee.

Cosa hanno preso i pittori di Rimini da Giotto? Anzitutto, come vi ho già detto e vi ridirò, temo, le figure, che vi appariranno grasse, ma vedetele strutturate come volumi ben composti, pesanti e ben scorciati, collocati senza problemi sulla linea di terra, se pure tendono ad occupare lo spazio di proscenio, come nei rilievi dei Pisano. Giotto però rende spaziali anche le architetture degli sfondi, le fa abitare dalle figure, inventa un tipo di prospettiva quasi perfetta, ripresa nel ‘400, i Riminesi non proprio, nei fondi mantengono le costruzioni relativamente indipendenti come le figure, ma non sempre, come vedremo. Poi ci sono le espressioni degli affetti, ossia dei sentimenti, soprattutto nei volti ma anche nei colloqui degli sguardi, nell’intrecciarsi delle mani e dei gesti eloquenti…

Ma anche Giotto ha preso qualcosa dai Riminesi, come vi ho detto per l’allungamento del Cristo.
Questa e altre eleganze che possono apparire deformanti, non sono rare nell’arte figurativa di tutti i tempi, se pensate ai colli taurini di Pietro da Rimini, e del suo maestro che vedremo, ai piedoni delle figure nude di Giovanni Baronzio, vi vengono in mente anche i colli di cigno delle Madonne del Parmigianino, o delle donne di Modigliani, o alle sculture di Giacometti che sicuramente conoscete…

ALESSIA
Prof non riesco a seguirla, mi sembra che lei stia parlando con degli esperti…

PROFESSORE
Perdonami Alessia, ma la critica pittorica non è di immediata fruibilità, bisogna accostarsi con umiltà e assorbire poco alla volta certi termini e certi discorsi, e magari subito verificarli sui dipinti… per nomi e dati servitevi di wikipedia, almeno per cominciare, ma con giudizio. Poi vi dirò quali testi leggere e quali esperienze potete fare per progredire nelle capacità critiche.
Certamente non avrete bisogno di una cultura approfondita con i turisti culturali colti, che già conoscono tutto l’armamentario, ma la cultura serve a voi e per fortuna non è mai colclusa, per capire e sì, per trane gioia, voi per primi, per le qualità dell’oggetto che dovrete vendere, la soddisfazione che dà un oggetto ben fatto…e poi per parlare se non alla pari con gli esperti, almeno senza fare la figura dei disinformati.
Quelli che stiamo cercando di pescare sono i turisti culturali, non i generici e inesistenti fellinomani, sono personaggi già iniziati ai misteri della pittura con metodologie critiche diverse nei loro paesi di origine… Comunque, fammi finire il discorso delle figure sacre, fin che l’ho in mente.

I Crocifissi, soprattutto francescani, prima del Crocifisso di Firenze che v’ho detto, secondo una tradizione bizantina, rappresentavano il Cristo sofferente, il Cristo patiens con il volto contratto dal dolore, come il Laocoonte, la più bella statua antica che ci sia arrivata. Ma il padre domenicano bolognese Venturino Alce ha trovato un passo di San Tommaso d’Aquino che consigliava i pittori di raffigurare sul volto di Cristo Crocifisso il dolore umano sì, ma non disperato e come temperato perché pur soffrendo nel corpo, l’ essere divino incarnato di Cristo si rallegrava per la Redenzione che stava compiendosi.

Il Crocifisso di Rimini, dopo quello di Firenze, sarebbe il secondo che esprime gli affetti temperati di serena malinconia sul volto.
Adesso vi segnalo un’altra caratteristica riminese che Giotto ha portato a Padova, anzi due.

Miniatore riminese del ‘300, l’abito di corte delle Malatesta, con la cintura sotto il seno, e la passamaneria bizantina, influenze greche classiche nella cintura sotto il seno, in una miniatura riminese.

Anzitutto il maggiore senso di un colore squillante, come ho già detto… e poi l’abito di corte delle Malatesta, che consiste di tre vesti sovrapposte, un mantello con cappuccio, una sopraveste che ha spesso un certo disegno di passamaneria, una veste aderente nelle maniche e soprattutto la cintura sotto i seni. Ricordano le statue di donne greche classiche e le rappresentazioni delle signore delle corti napoleoniche…poi questa cintura sotto i seni delle donne incinte crea delle belle pieghe quando le donne camminano…C’era un legame profondo tra i pittori riminesi e le donne di Rimini o dei Malatesta, che ho indagato in un intervento negli “Studi Romagnoli”.

CHRISTIAN
Prof ce ne parli.

PROFESSORE
Andiamo un po’ per le lunghe Christian. Comunque il mio testo si intitola “Un felice momento di gilania trecentesca. Le donne di Malatesti e i pittori riminesi del Trecento.”

ALESSIA
Sempre più difficile prof, che significa “gilania”?

Giotto, l’abito di un’ancella di Sant’Anna nella cappella degli Scrovegni di Padova.

PROFESSORE
Alessia come sei diversa dalle tue coetanee del 68′, non tutte, ma in gran parte le ragazze del ’68 erano femministe e conoscevano questo termine e le opere di Riane Eisler, una femminista professoressa universitaria di storia degli States. Gilania è il termine che la Eisler ha inventato per indicare un momento storico nel quale le donne hanno avuto un posto da protagoniste.
E’ noto che al tempo di Pietro, ma anche prima con Giuliano, i pittori di Rimini hanno aperto cantieri in tutta Italia e fuori, da Zagabria, a Treviso, a Padova, a Pomposa, a Ravenna, a Bagnacavallo, a Forlì, Faenza, Bologna, Urbino, Castel Durante che oggi si chiama Urbania, a Fano, Jesi, Fabriano, Tolentino…in molte di queste località erano andate spose le figlie e le nipoti di Malatesta da Verucchio, o da queste città provenivano donne che avevano sposato i Malatesta.

Il Crocifisso di Sant’Agostino.

IL CROCEFISSO DI SANT’AGOSTINO ATTRIBUITO AL MAESTRO DEL CORO

Sulla parete sinistra della chiesa, il lato dell’Epistola, è appeso il grande Crocifisso, senza i tre tabelloni che lo completavano in alto – il Pantocratore, la Madonna e San Giovanni Evangelista, i Dolenti -. Stava inclinato sul tramezzo che circa a metà della chiesa chiudeva il coro dei frati, come nell’Abbazia di Westminster e in tutte le chiese medievali, distrutto nel ‘500.
Quando lo abbatterono, i frati fecero costruire un coro dietro l’altare, che è quello che venne venduto “legalmente” dal parroco nel 1926 a tale “Sig. Vitali Osvaldo via Cairoli 20 Brescia”, chissà che non si riesca a rintracciarlo.

Il grande Crocifisso che vedete adesso sulla parete di sinistra della Chiesa, purtroppo non è in condizioni di integrità, la superficie pittorica è stata lavata con soda che lì per lì ha pulito lo sporco e rianimato i colori; ma purtroppo la soda rimane e continua a bruciare la superficie cromatica negli anni a venire. Specialmente il volto del Cristo, la parte più densa di lavoro pittorico, è bruciato. Ci sono delle somiglianze nella forma e nelle misure del tabellone di legno col Crocifisso di Giotto – oggi appeso in alto nella cappella centrale del Tempio Malatestiano è pressoché invisibile -. Ma la sensibilità cromatica dell’autore della grande croce di S.Agostino “gareggia” (Benati) con quella di Giotto. Il corpo è ben profilato e latteo, alcuni dettagli sono preziosi: il fondo operato come un broccato, e il perizoma di Cristo, è proprio un velo trasparente, attraverso il quale, alla sinistra del corpo di Cristo, si intravvede la decorazione sottostante della croce.
Gli abiti di Cristo erano diventati, dice la Scrittura, di proprietà dei suoi carnefici, che se li erano giocati a dadi, la Vergine, secondo la pia leggenda, si era tolto il suo velo di seta trasparente e aveva avvolto i fianchi del Figlio per proteggerne le parti intime.
Ditemi pure quello che vi sembra, io credo che una guida debba essere precisa ma poi debba lasciare i dettagli alla scelta di chi sta guardando. Lasciate a chi guarda di esprimere le proprie emozioni.

ALESSIA
Prof, Cristo ha i capelli rossi, o biondo rossi.

CHRISTIAN
Il corpo è allungato ma non piatto, ha un volume apprezzabile dal contorno nitido, le gambe si vedono rilevate anche sotto il velo. Peccato il viso. Non mi pare che i capelli del Cristo di Giotto, che ci ha fatto vedere Attilio, siano rossi o biondi, forse castani?

ALESSIA
Prof, non se la prenda, ma anch’io sono disturbata dalla lunghezza che mi sembra eccessiva del corpo di Cristo…come se l’avessero tirato per i piedi…

PROFESSORE
E forse anche Giotto, quando è venuto a Rimini, avrà giudicata eccessiva la lunghezza delle figure, ma poi, rivedendola e ripensandoci ha assimilato l’eleganza di questo stilema bizantino, ne ha capito il valore formale e anche spirituale, e lo ha elaborato come volume, lasciandosi invadere anche dalla magia del colore, come poi si vedrà a Padova nella cappella Scrovegni.

ALESSIA
E ha sbirciato anche agli abiti delle Malatesta.

PROFESSORE
Appunto. Insomma bisogna avere pazienza e aspettare che il dipinto stesso convinca lo spettatore deluso. Non è il caso però dei turisti culturali esperti. E tanto meno, se vengono studenti universitari con i loro insegnanti. A questi si dovranno offrire indicazioni di luoghi e orari di apertura, informazioni sugli eventuali biglietti da pagare, ma, a meno che non chiedano interpretazioni critiche, si deve lasciare che svolgano il loro discorso critico in pace.
Adesso col permesso del parroco, al momento non ci sono cerimonie e riti in corso, passiamo nel presbiterio e per quella porticina a destra entriamo nella cappella della Vergine.
I fondi sui quali campeggiano figure ed edifici, in tutte e due le cappelle che stiamo per visitare, sono diventati neri, in origine dovevano essere azzurri. Ma non di costosissimi lapislazzuli macinati e polverizzati, come è il cielo della cappella padovana degli Scrovegni.

LA CAPPELLA DELLA VERGINE

Si chiama la cappella della Madonna perché sui suoi muri sono dipinte le storie della vita di Maria.
Sono in tutto sette grandi rappresentazioni. Mettiamoci di fronte alla parete della finestra da cui proviene la luce. Anche qui bisogna che l’occhio si abitui all’oscurità, poi riusciremo a vedere tutto: da sinistra in alto, nella cuspide, la storia di Gioacchino e Anna, genitori di Maria, nella cuspide centrale, quasi tutta cancellata, la Presentazione al Tempio di Maria, nella cuspide di destra, l’Annunciazione, poi sotto a sinistra la Natività, e di fronte la Presentazione al Tempio o la Purificazione di Maria, in basso a sinistra l’Adorazione dei Magi, e di fronte la Morte della Vergine.
Ai lati della lunga finestra, ci sono tre serie di figure, in alto un santo vescovo – forse Ambrogio? – e dall’altra parte Sant’Agostino col volume aperto della regola agostiniana, ai suoi piedi inginocchiati tre piccolissimi frati agostiniani. Sotto ci sono due sante, e sotto ancora due offerenti. Una donna anziana e una giovane da marito.

ALESSIA
Come si fa a riconoscere le donne da marito?

PROFESSORE
Si riconoscono per il fatto che non hanno il capo velato, ma di solito i capelli biondi lunghi, portati con lunghe trecce, libere o raccolte sul capo a corona. O ai lati delle tempie, come la principessa Leila in Guerre stellari 1.

Le colonne tortili salomoniche a cornice delle scene come ad Assisi.

DANIELE BENATI ARTICOLA L’INFLUENZA DI GIOTTO

PROFESSORE
Adesso guardate con che precisione spaziale, quasi di prospettiva canonica, il pittore di questa cappella, ha scandito le scene delle pareti laterali, inserendole in un’architettura di colonne tortili corinzie, in duplice ordine, spezzato da una mensola con scorciati e conclusa in alto da una cornice sostenuta da un architrave. E’ una formula spaziale di inquadramento architettonico nuova nel nord Italia, la si vede per la prima volta nelle storie di san Francesco ad Assisi.

CHRISTIAN
Allora bisogna pensare che i pittori di Rimini siano andati ad Assisi?

PROFESSORE
Daniele Benati ha ipotizzato, in maniera convincente credo, che immaginare un’andata ad Assisi non era necessario, perché Giotto e la sua bottega avevano dipinto, assai probabilmente, una replica delle storie francescane di Assisi nell’abside della chiesa di San Francesco a Rimini. Giovanni e gli altri pittori le avevano viste, disegnate, copiate, o forse meglio erano proprio presenti come aiuti nel cantiere di San Francesco. Avevano parlato con Giotto, chiedendogli le ragioni della sua novità poetica, cioè del suo stile pittorico mai visto prima, e infine avevano risposto alle sue domande sulle ragioni della loro poetica tradizionale bizantina.
Giovanni, scrive Benati era già un pittore fatto quando Giotto arriva a Rimini, e aveva vissuto con lui una grande metamorfosi stilistica, assimilando le principali novità del linguaggio di Giotto, mantenendo viva anche la sua prima ispirazione adriatica, le figure con volume…

AESSIA
Grasse…

PROFESSORE
Belle grasse, come dicevano le mie nonne. Ma non era diventato tutto giottesco, nelle sue opere molto è rimasto “arcaico” per usare un aggettivo positivo del Longhi, quasi equivalente di orientale e magico.
Adesso vi illustro solo alcuni particolari o dettagli delle tre scene rimaste leggibili. Ma anzitutto le racconto. Il racconto è la descrizione tradizionale della pittura antica, con un termine tecnico si chiama ‘ecfrasi’ [che vuol dire descrizione]. Ci vuole un racconto di base descrittivo, parole e pittura si sostengono a vicenda. Ma io vi faccio notare dei dettagli significativi formali; guardate il bel frammento superstite della Nascita di Gesù con il bambino e due mammane o levatrici.

ALESSIA
In cosa consiste il bello di quel frammento?

PROFESSORE
In molte cose, la principale è “l’aria di testa” che risulta da tutti i dettagli del viso – che non è il viso di un bambino reale -, l’aria interrogativa degli occhi in colloquio con lo sguardo perduto della mammana, sono così ben connessi che godete con piacere l’effetto di un lavoro ben fatto. Sì Alessia, non ti ho risposto, perché non ti posso rispondere a parole. Col tempo e con l’amore per la pittura, amore Alessia, è proprio amore e dei più belli e duraturi, avrai visto molte volte questo viso di Gesù infante e saprai giudicarlo spontaneamente.
Naturalmente mi aspetto che tornerete a vedere questi affreschi e a guardarli più volte, magari con qualcuno dei vostri compagni o con Attilio che vi dirà la sua interpretazione. Ascoltate anche tutti gli interventi critici che potete. Ma queste pitture le potete studiare attentamente anche con le immagini del bel libro di Gilberto Urbinati.
Adesso procediamo con la descrizione formale.

PROFESSORE
Allora cominciamo. Guardiamo, vi suggerisco un mio dettaglio preferito, così voi per imitazione farete lo stesso, guardiamo la figura di Anna nella cuspide… usate questo binocolo… Allora nella cuspide è sintetizzata la storia dei genitori della Vergine, Gioacchino e Anna, che sono due vecchi senza figli, prima di concepire Maria, per questo motivo Gioacchino è cacciato dal Tempio perché la mancanza di figli, la sterilità degli sposi, è considerata dai sacerdoti un segno della disgrazia presso Dio. Di solito Gioacchino è solo, ma qui Anna lo accompagna. Poi si vede Gioacchino seduto col suo corpo perfettamente scorciato – guardate alla mano sinistra che regge il volto -, con due servi che lo osservano, sta ricevendo dall’Angelo che sta piombando su di lui, l’avviso che Anna sua moglie è gravida e partorirà Maria.

ALESSIA
Mi concentro sul volto di Anna. E’ di profilo.
Una donna anziana ma bella, ha le rughe ai lati della bocca e degli occhi, guarda fissa davanti a sé, le labbra tirate come quelle della regina Elisabetta quando non sorride, è arrabbiata?

PROFESSORE
Sì è arrabbiata…col sacerdote che espelle dal tempio il marito Gioacchino.

CHRISTIAN
A me piace la Madonna nella cuspide dell’Annunciazione. Sono due figure sole che occupano e modellano con elegante… struttura, tutto lo spazio. I corpi sono allungati. La testa di Maria è reclinata a destra, di tre quarti. L’occhio sinistro grande, luminoso e bello, esprime… la bella guancia, la bocca piccola…socchiusa… un velo con un ricamo etnico, avvolge la testa sotto un cappuccio bianco che scende con pieghe belle come le…come si chiamano? Le scanalature di una colonna. Ah, che forti le pieghe dell’abito rosso scuro, partono dalla cintura sotto il seno…

PROFESSORE
Vedo che Attilio vi ha abituati a descrivere le figure. E’ la presa di contatto filologico. Mi adeguo a questo metodo di lettura realistico, per cominciare. Coglie di sicuro dettagli pittoricamente interessanti.
Fate caso ai paragoni che usate. Efficace quello della regina Elisabetta, Alessia.
Adesso ci provo io di nuovo. La Presentazione al Tempio. Prendo in esame lo sfondo, come se fosse la figura principale. Il Tempio è un’architettura perfettamente simmetrica. La costruzione del Tempio in prospettiva centrale è stata suggerita dagli edifici prospettici di Giotto, e per primo il Longhi ha notato una tecnica antica di pittura a tocco nei dettagli del Tempio, festoni e ghirlande, tecnica estensibile ai colombi portati da Giuseppe. Appare qui la componente classica, antica, non rara sia nelle immagini di Giotto, sia nelle figure bizantine. Gabriello Milantoni mi diceva che esiste un modello di questo tempio in una pittura romana antica, che evidentemente era stata scoperta prima del Rinascimento. In certe figure miniate di Neri, il nostro grande miniatore, sembra di vedere le pieghe delle statue di Fidia sul Partenone…sì, sì le conoscevano, e le disegnavano, come appare nel ‘400 nei taccuini di Ciriaco di Ancona…
I volti purtroppo non sono integri, quello di Maria, di tre quarti, ha il profilo quasi cancellato, ma l’occhio sinistro superstite è superbo. Posso dire che è dolce?

ALESSIA
Come si riconosce la dolcezza di un occhio?

PROFESSORE
Quante forme può assumere un occhio nel viso reale e nella sua rappresentazione? Cominciamo dalle palpebre. Pensate a un occhio completamente scoperto, reale o dipinto, senza palpebre comunica pazzia, un occhio coperto a metà, come quello che Piero della Francesca ha dipinto nel ritratto di Sigismondo, comunica sonnolenza, incanto, malinconia, apparentemente, ma è l’occhio del serpente che tutto tiene sotto controllo. Un occhio è dolce nei tratti distesi, ma poi deve accompagnarsi con un sorriso…ci sono però sorrisi di labbra con gli occhi fermi e duri, come quelli della regina Elisabetta…quasi caricaturali sono quelli della regina Mary, sua nonna…
Un occhio quasi del tutto coperto, come quello di Cristo morente sulla croce…Ma sì, poi bisogna considerare anche le rughe, quelle della fronte, contratte a triangolo in figure come il Laocoonte, la forma e il modo di tenere il naso…e le forme e figure della bocca, allegra, triste, come nei segni del pc.
Ma l’occhio da solo è bello perché è grande e perché è “ammandorlato”. Nel Trecento mi pare sia stato Cennino Cennini nel suo Libro dell’arte che ha scritto che l’occhio orientale, noi diciamo cinese, è più bello dell’occhio tondo, il nostro occhio. La predilezione per gli occhi a mandorla si vede soprattutto nei pittori senesi, ma anche Giotto e i nostri riminesi l’adottano. Sarà Masaccio a fare di nuovo gli occhi tondi come nei Caucasici e nelle statue antiche.

Usciamo nell’abside dove ci fermeremo un po’ più di tempo.
Ma quello che restava del Giudizio Universale, che concludeva la parte triangolare in alto della facciata interna della chiesa, scomparsa dietro il soffitto settecentesco, è stato staccato e dobbiamo andarlo a vedere nella Sala del Giudizio in Museo. Sempre che non gli cambino posto.

L’Intercessione dei santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista ai lati del Pantocratore gigantesco.

LA DEESIS (INTERCESSIONE) DELL’ABSIDE: CRISTO COI SANTI GIOVANNI EVANGELISTA E GIOVANNI BATTISTA

ALESSIA
Come facevano nel Trecento a sapere che i Cinesi avevano gli occhi ammandorlati?

PROFESSORE
Dall’oriente sono sempre venuti conquistatori con gli occhi a mandorla…mi vengono in mente dei Mongoli coi loro costumi rappresentati da Ambrogio Lorenzetti, un grande pittore senese, e poi diversi oggetti d’arte che venivano guardati eccome…Un vecchio libro sempre attuale di Jurgis Baltrusaitis, Medioevo fantastico, mostra tutte le molte importazioni di temi e motivi ornamentali dall’Oriente, chiedetelo ad Attilio.

Eccoci di fronte alla grande figura di Cristo nel suo aspetto divino, seduto in trono nella parte alta centrale dell’abside. Come ha fatto Benati articolando i prestiti da Giotto, qui possiamo articolare un complesso prestito bizantino. Riaffermo che Giotto arrivò a Rimini, alla fine del ‘200, o come dice Vasari, che l’aveva saputo a Rimini, nel primo anno santo, il 1300, portato in città da Malatesta da Verucchio. A Rimini, ospite dei Francescani, Giotto con i suoi aiuti trovò una famiglia di pittori bizantini, come avrebbe trovato in tutte le altre città italiane del secolo declinante. Un secolo che non fu bizantino però nell’architettura, e nella scultura, romanico a Modena con Wiligelmo, e a Parma con Antelami, e classico-romano-etrusco in Toscana con gli strepitosi scultori Nicolò e Giovanni Pisano.
Immaginiamo che Giovanni e i pittori della sua famiglia – Foscolo, Giuliano, Zangolo figli di Martino de pictoribus rimessi in luce da Oreste Delucca – abbiano incontrato Giotto sui palchi della chiesa di san Francesco a Rimini, e discutano con lui e con i suoi collaboratori sulla figura principale di Cristo in trono, Pantocratore e/o Giudice dell’Umanità nel Giudizio Universale, due tipici temi bizantini, che doveva essere dipinta nell’abside. I Riminesi chiedono di dipingere una figura gigantesca bizantina al centro dell’abside, come nel duomo di Pisa, dicono, dove c’è un altro tema bizantino l’Intercessione, o la Deesis, con la Vergine e il San Giovanni in mosaico fatto su un cartone da Cimabue, il creduto maestro di Giotto. Lo so, lo so, dice Giotto, perplesso – non lo convince quel gigantismo egiziano per esprimere la divinità -, e pensa a come inventarsi una nuova struttura senza quell’infantile differenza di proporzioni. I Riminesi dicono di avere parlato con un maestro vetraio veneziano di ritorno dalla Sicilia, dove era andato a terminare i mosaici della cattedrale di Monreale.
Il veneziano aveva mostrato dei disegni del Pantocratore – Dio Figlio, Creatore del Mondo – raffigurato solo il busto, il volto terribile, come nelle cupole della Grecia e di Costantinopoli. E avevano insistito sul particolare della destra benedicente che si allunga nel lato curvo dell’abside, mentre la sinistra pure si allunga dall’altra parte con il libro e chi guarda si sente abbracciato.
Ma qui l’abside è liscia, non è curva, avrà detto Giotto, però possiamo ugualmente dare a Cristo una posizione a braccia avanzate come se fosse dipinto su uno spazio curvo, con una prospettiva del busto così, e aveva abbozzato su un cartone una figura con le braccia quasi staccate e l’ampio petto da contenere lo spazio di una curva, in prospettiva…poi aveva ammesso: va bene il gigante. Non c’è altro modo, come raffigurare il Dio Creatore nelle dimensioni delle creature?

CHRISTIAN
Allora Giotto aveva dipinto Dio nell’abside di San Francesco di Rimini proprio come qui il pittore riminese? Nell’abside di Sant’Agostino il pittore riminese ha dipinto il braccione destro che benedice, il petto ampio e la manona sinistra che regge il libro…questi particolari fanno una sorta di scatola spaziale aperta verso chi guarda…

PROFESSORE
Christian proclamo davanti a tutti che sei un critico d’arte fatto e finito…

ALESSIA
Mi fa impressione il grande volto di Cristo, gli occhi guardano a sinistra, sono ‘sinistri’, ma il viso è frontale e quelle grandi orecchie così poco eleganti…

PROFESSORE
Così i fedeli, dicono quelli che vi hanno trovato una ragione descrittiva, pensano che Cristo li ascolti, ma gli occhi guardano dalla parte dove, sopra nel Giudizio, erano raffigurati i Dannati precipitare all’Inferno. Hai ragione Alessia, quello sguardo dà all’espressione di Cristo un’aria minacciosa. Christian?

CHRISTIAN
Adesso mi perdo nelle pieghe prof, lo guardo con la coda dell’occhio? Mi sembra che le pieghe del giovane Giovanni, al lato destro del gigante, siano organizzate come quelle di una statua antica, anche le pieghe dell’abito di Cristo, mentre quelle del Battista mi sembra che somiglino alle pieghe delle statue gotiche, con quelle… falcature o falcate?

PROFESSORE
Hai visto bene Christian. Il quarto linguaggio, nuovo ancora, che troviamo in questo pittore, dopo quello di Bisanzio, di Giotto e l’influenza antica, è l’influenza gotica ultramontana, che arriva dalla Francia e dalla Germania, e che sarà più visibile nelle opere di Pietro da Rimini, della generazione successiva dei pittori di S.Agostino.

LA SCUOLA DI RIMINI E TRE GENERAZIONI DI PITTORI

Vi dico qualcosa dei pittori. Anche se non c’è tempo per descrivere il metodo di cui si servono i critici per distinguere i diversi stili personali. Conosciamo relativamente bene i cinque pittori che hanno firmato alcune opere: Giovanni, Giuliano, che sono fratelli e il miniatore Neri, i primi; poi Pietro e Francesco più giovani; infine Giovanni Baronzio di una terza generazione. La cronologia della scuola è breve, un mezzo secolo e si è esaurita nel momento della grande epidemia di peste del 1348, quando scomparve in pochi giorni da un quarto a un terzo della popolazione europea. Dopo Roberto Longhi tutti i critici hanno attribuito a Giovanni la cappella della Vergine, poi Carlo Volpe, in un’opera fondamentale del 1965, aveva attribuito a un Maestro dell’Arengo il Giudizio Universale. l nome deriva dalla collocazione dell’affresco staccato sulla parete di fronte alle polifore dell’ampia sala dell’Arengo in occasione della mostra del 1935, rimasto in loco fino al suo trasporto nella sala del Giudizio nel Museo. Sempre il Volpe aveva chiamato Maestro del Coro l’autore delle pitture dell’abside che gli sembrava avesse un linguaggio proprio. Nomi provvisori in attesa che documenti ritrovati permettessero di cambiarli con nomi reali. Oreste Delucca, che ha esaminato tutto l’archivio notarile conservato nell’Archivio di Stato di Rimini, nella prima metà del ‘300 ha trovato i documenti di 16 pittori. Carlo Volpe ha distinto i linguaggi di 18 maestri con aiuti.
Ultimamente il numero dei maestri riminesi è stato accorciato e un critico ungherese Miklos Boskovits ha proposto di sostituire il nome di Giovanni a quello del Maestro dell’Arengo. Daniele Benati ha accettato il nome Giovanni per il Giudizio Universale, ma ha mantenuto il Maestro del coro di S.Agostino, e ha proposto di vedervi il nome storico di Zangolo fratello di Giovanni e Giuliano Pictorum o de pictoribus. Naturalmente sono prevedibili numerosi cambiamenti.
Alessandro Volpe, come vi ho detto, ha riproposto una lettura meno semplificata dei linguaggi pittorici e attenta ai momenti di grande qualità.
Sotto il Cristo gigante e la Deesis come nella basilica di Monreale appare in trono la Vergine col Bambino.
Adesso stiamo guardando la Regina del Paradiso, la più bella Madonna di Rimini. Dai Alesia spiegacela tu…

La grande Madonna dell’abside.

LA GRANDE MADONNA DELL’ABSIDE

ALESSIA
La figura della Vergine, grande ma meno del Cristo, siede su un basso trono con strani appoggi o maniglie. Il corpo è in posizione frontale, ma la testa piega in tre quarti verso sinistra, mostrandoci la bella guancia…il naso… è più forte di me devo dirlo prof, mi sembra troppo lungo. Figure lunghe, nasi lunghi non riesco ancora ad integrarli e apprezzarli in una visione unitaria. Lo sguardo…è dolce; mi sembra guardi a destra, ma non mette a fuoco nessuno, si ha l’impressione che guardi oltre le nostre spalle. Dai Christian…

CHRISTIAN
Ci sono in alto sette piccoli angeli, di cui vediamo solo i visi, che cantano e reggono il panno bellissimo, dietro alla Madonna. Quello di centro è col volto frontale e gli altri…ehi, ma sono simmetrici…i tre a destra e i tre a sinistra dell’angelo frontale hanno le stesse posizioni…

PROFESSORE
Infatti. La Vergine in trono è frontale in tutto il corpo: loro: dicevano “è in maestà”. Il volto leggermente reclinato di tre quarti, come ha detto Alessia, crea una leggera dissimmetria, una leggera veduta d’angolo che, come si vede più chiaramente nelle tavole di tutte le Madonne del Duecento, è ristabilita in equilibrio centrale dalla simmetria rigorosa degli Angeli in alto.
Si tratta della caratteristica principale della ‘compositio’, della strutturazione complessiva di un’immagine come se fosse il cosmo e insieme come il corpo umano simmetrico con le due parti speculari.

Questa Madonna è la più bella figura femminile di tutta la pittura riminese del Trecento, nelle foto di Gilberto si vede persino la tecnica delle pennellate sottili ravvicinate, rosse, bianche, che si fondono in un effetto complessivo da lontano, e si avvertono i sentori di verde sottostanti nelle zone in ombra. Guardate gli occhi adoranti del Bambino. Riflettono gli occhi della gente umile, dei ricchi commercianti e dei guerrieri e Signori Malatesta che la stanno guardando con adorante devozione.
Nella foto si vede, il Bambino tiene con la manina sinistra il velo di seta trasparente che coprirà i suoi fianchi nudi sulla croce.

Sotto la Vergine c’è l’episodio che si chiama Noli me tangere: Gesù risorto impedisce alla Maddalena di toccarlo, di abbracciarlo, ormai non è più un uomo, ma un essere sacro il cui contatto è distruttivo per un essere umano. Christian descrivi l’abito della Maddalena. Il colore ‘coordinato’ te lo dico io: è simile al colore imperiale della porpora, quello che si vede a Ravenna nei mosaici del VI secolo.

CHRISTIAN
Un grande mantello col cappuccio, lungo fino ai piedi copre una veste, forse una sopraveste? Con le maniche strette ai polsi, forse escono da un taglio nella sopraveste? la cintura è sotto i seni. Cristo nella parte alta è davanti a Maria Maddalena, ma ha girato le gambe in una forma audace di torsione che non è ancora realistica. O forse, meglio, sta andando via e ha girato verso la Maddalena il petto.

La parete di destra con le storie di San Giovanni Evangelista e la distruzione del tempio di Efeso.

LE STORIE CONDENSATE DI SAN GIOVANNI EVANGELISTA

PROFESSORE
Adesso prendiamo in esame, anzi facciamo vivere le scene delle due pareti dell’abside, attribuite al pittore chiamato con un nome convenzionale il Maestro del Coro. Non prenderemo in considerazione, al momento, le due cuspidi ogivali superiori che contengono due scene bibliche del pittore bolognese Vittorio Bigari che sono del 1720. Abbiamo sotto le cuspidi due sequenze sceniche uniche per parte ma formate da vari episodi e sotto fino al pavimento la spalliera di decorazioni astratte interrotte da affreschi votivi della Vergine e di Santi.
Ma proprio su questo tipo di filo narrativo volevo attirare la vostra attenzione, perché sicuramente nella narrazione della vita di Giovanni Evangelista il maestro pittore e i suoi aiuti seguono un filo narrativo di contenuto e formale, ma gli episodi si accostano, si mescolano secondo una regola onirica, che Freud, sì Alessia Freud è superato, da quando ha pubblicato l’Interpretazione dei sogni nel 1899 con la data 1900 non fanno che superarlo…che Freud chiamerebbe “condensazione”, esattamente come nei sogni, ancora una volta diventano protagonisti i dettagli spaziali organizzati in gruppi di figure, e come vedremo anche il tempo che unifica un episodio è rappresentato unire in un incredibile presente episodi decisamente anteriori o successivi. Proprio come in un sogno. Queste scene sono le più belle, le più emozionanti, le più intriganti, le più ‘magiche’ di tutto l’insieme degli affreschi.

Il salvataggio di Giovanni dalla tinozza piena di olio bollente.

IL TERREMOTO DI EFESO

Cominciamo dalla parete destra della chiesa, che ha una luce migliore. Nella scena superiore subito ci ruba lo sguardo quell’insieme di edifici che raffigurano il tempio di Diana a Efeso. Il grande insieme di edifici, una delle sette meraviglie del mondo antico, presenta un accumulo di interni ed esterni, e sta crollando per un improvviso terremoto invocato dal Santo inginocchiato con altre due figure nimbate. Ancora un terremoto. A Rimini nel 1303, dicono le cronache, ci fu un terremoto che alcuni critici tengono presente per datare gli affreschi dopo l’evento sismico – post quem – considerazione che sostiene una cronologia bassa degli affreschi. Ma chissà poi che il terremoto non abbia preceduto il cantiere. Vero è che gli edifici stanno crollando per moti ondulatori e le cime dei campanili e le statue si spezzano per il “colpo di frusta”, come se l’autore avesse visto un vero terremoto e ne riproducesse i veri movimenti. Il tempio è descritto per accumulo, notate ragazzi è complesso quasi fosse un protagonista come una figura, o più figure connesse, come un aggregato di dettagli: campanili, cupole, edifici, colonne, archi che cadono soprattutto dalla parte della folla, non da quella di Giovanni. Il centro vuoto del Tempio, l’interno spostato a sinistra mostra le colonne che si spezzano, ma le persone a destra sono straordinariamente dipinte, Christian…

CHRISTIAN
Sì, sono bellissime, a partire dal…vecchio sacerdote si piegano verso destra accompagnando la caduta del tempio, con una serie di pieghe degli abiti che si muovono. Figure e abiti da favola. Le donne, una col velo e una con un cappellino piatto, esprimono come il sacerdote chinato la paura con i gesti. Il personaggio a terra conclude il gruppo in caduta, poco dopo il gran vecchio con il capo velato che sta in piedi davanti a un sovrano seduto in trono, con il suo ampio gesto delle braccia che sembra precedere o attutire lo spavento di tutti e quella bellissima toga drappeggiata color porpora…

ALESSIA
Questa figura in piedi sembra fare da pausa, ma per questo aumenta l’effetto di spavento del primo dei soldati che con la destra alzata…urla come nel grido espressionista di Eduard Munch, “Skrik” l’urlo, con la donna spettrale che tiene le mani come la donna il cui volto è sopra la mano destra del vecchio barbone…o pardon prof…La data dell’opera di Munch: fine ‘800, primi ‘900…sono stata brava prof?

PROFESSORE
Ragazzi, non ho parole, sono stupefatto e ammirato…lasciatemi dire una cosa sul sacerdote pagano in piedi, è raffigurato in colloquio visivo col suo sovrano nell’attimo che precede il terremoto, mentre sta trasmettendo l’ordine di adorare la Dea…con una disinvoltura onirica rispetto al tempo che già conosciamo.

CHRISTIAN
Ammiri Attilio piuttosto prof, che ci ha fatto una lezione sull’Espressionismo.

PROFESSORE
Glielo dirò. Adesso il martirio, che per la verità è la scena iniziale delle storie che ci sono rimaste. Giovanni giovane, nudo è salvato dagli Angeli che lo tirano fuori da una tinozza di olio bollente, mentre l’imperatore mostra un volto perfettamente di profilo, è stato detto, come nel dritto di una moneta imperiale. Anche qui ci sono due tempi successivi mescolati in una sola rappresentazione, l’imperatore Domiziano persecutore del santo, l’occhio cattivo sotto le sopracciglia contratte, dà ordine al suo soldato che ha un elmo infernale, cornuto, di accendere o di ravvivare il fuoco sotto il mastello, e subito dopo gli Angeli, in un’altra scena, dovrebbero sollevano il santo, ma come vedete lo sollevano nella stessa scena. Vi dicevo che. Come nel sogno, vi sono delle rappresentazioni unitarie di tempi separati. Sotto l’autorità abbiamo ai lati della finestra una figura maschile seduta di grande peso, il collo taurino che fa pensare a Pietro da Rimini, e le pieghe dell’abito bellissime. Presenta uno scudo che riproduce l’arma degli Asburgo, una fascia argento o bianca su fondo rosso, con bordura a denti bianchi e neri. Ma sarà uno stemma di fantasia, gli Asburgo scelsero quel tipo di stemma nel secolo XVI.

IL MIRACOLO DELLA COPPA AVVELENATA E LA CONSEGNA DELLA REGOLA

Le scene della fascia inferiore sono due: una riguarda il miracolo della coppa di veleno, presentata al santo, per ordine di Aristodemo, che la beve senza danni, e a due poveretti che invece muoiono subito. Nuovo ordine di Aristodemo, che Giovanni resusciti i morti. E il santo ne resuscita uno coprendolo col suo mantello. Guardate il gioco degli sguardi e ai movimenti delle mani eloquenti che sono quasi nella stessa fascia dell’area.

ALESSIA
Aristodemo, Domiziano, prof come fa il pittore a conoscere quei personaggi?

PROFESSORE
Pochi anni prima degli affreschi, cara Alessia, un domenicano di nome Giacomo da Varagine aveva pubblicato un libro che tutti i pittori dell’Europa si sarebbero procurati, si chiama Leggenda aurea, e racconta nei particolari la vita di Cristo, della Vergine e dei santi, con molta disinvoltura narrativa rispetto ai Vangeli. Un libro che fece legge fino al tardo ‘500…

Segue una scena che non fa parte delle storie di Giovanni, la concessione della regola da parte di Sant’Agostino, seduto in trono, ai frati Agostiniani inginocchiati in doppia schiera con i loro abiti neri e le teste rasate con le chieriche. Fate caso anche al viso del personaggio risuscitato, con quegli occhi spiritati, sembra introdurre un registro ironico nella solennità della scena del miracolo che vedremo ancora.

San Giovanni a Patmos scrive l’Apocalisse e torna in barca a Efeso.

LA SCRITTURA DELL’APOCALISSE NELL’ISOLA DI PATMOS

Adesso guardiamo la parete di sinistra, la fascia in alto e seguiamo l’ordine della storia da destra a sinistra. Ci sono tre condensazioni di personaggi, Angeli e bestie mostruose dell’Apocalisse. Lo spazio non è ordinato prospetticamente, ma per una sorta di visiva metonimia, che significa Alessia la parte, con i suoi bellissimi dettagli, suggerisce il tutto, come spesso abbiamo visto. Alla nostra destra, in alto due angeli suonano le trombe del Giudizio Universale: tuba mirum sparget sonum è la tromba dal suono terrificante che annuncia la fine del mondo. Sotto c’è il mare che circonda lo scoglio di un’isola, sul quale siede Giovanni, che un Angelo istruisce nella scrittura del libro che tiene sulle ginocchia, l’Apocalisse. Il libro della fine del mondo. Ai lati dell’isola ci sono due delle bestie a molte teste, occhi e corna, figure condensate, che appariranno negli ultimi giorni dell’umanità.

LA BARCA DEL DUCE

Ancora il mare sotto la scena e una grande barca che lo solca, sulla quale Giovanni, indifferente continua a scrivere il suo testo, mentre quattro suonatori, due pifferi, una tromba e un tamburello rallegrano il tempo dell’attraversata di quattro nobili signori. Anche qui, colloqui di sguardi, mani eloquenti, deliziosi dettagli realistici…

ALESSIA
Prof cosa sono quegli orli bianchi e grigi degli abiti dei nobili signori?

CHRISTIAN
Lo dico io? Sono gli orli della pelliccia di vaio. Sono abiti invernali foderati di pelliccia dello scoiattolo russo petit-gris. Ho fatto una ricerca araldica su Wikipedia…

PROFESSORE
Giusto. In questo gruppo di figure, che bisognerebbe esaminare tutto dettaglio per dettaglio il pittore riprende il registro ironico, in quella atmosfera cupa da fine del mondo, ci sono delle figure buffe. Cercatele ragazzi.

ALESSIA
Ma sì, sono i due barcaioli, che hanno due remi, sembrano delle caricature, specialmente quello più in basso. Ha la faccia rincagnata da mastino.

CHRISTIAN
Ma sì, in dialetto si dice gnaf.

PROFESSORE
Proprio così, il più basso è stato detto somiglierebbe a Benito Mussolini…altri hanno parlato di fisionomia tipica romagnola. Uno spiritello deforme, un gnaf, appunto.

CHRISTIAN
Prof perché il pittore ha introdotto delle figure quasi grottesche proprio vicino ai mostri dell’Apocalisse, non ha spezzato l’atmosfera paurosa della fine del mondo?

PROFESSORE
O piuttosto, mostrando insieme ironia e terrore, ne ha aumentato l’intensità emotiva di entrambe le emozioni? Se metti insieme, come qui del resto negli abiti di Giovanni, il colore verde e quello rosso, ne intensifichi il timbro di entrambi. Oppure, e temperando il grande spavento, perché chi ci credeva era realmente spaventato, sentiva il suono di quelle trombe dipinte, l’episodio buffo allentava un poco il terrore.

IL FUNERALE DI DRUSIANA

Ed ecco il primo episodio scoperto da Vittorio Belli. Drusiana era una pia donna di Efeso che era morta prima che San Giovanni tornasse in città. Il Santo arriva proprio nel momento in cui il cadavere di Drusiana era appena uscito dalla città sul catafalco. Lo vedete in piedi mentre richiama in vita Drusiana. La sua figura fa da limite alla terza condensazione, di case, nello sfondo, che rappresentano Efeso, e di figure, un bellissimo gruppo, sulle quali troneggia Drusiana che si erge dal catafalco, tornata in vita.
La città, com’è rappresentata?

CHRISTIAN
Davvero come il tempio, per…condensazione, non proprio come le città di Giotto ad Assisi, che presentano volumi connessi geometricamente…qui vediamo una scena urbana con le mura e le due porte, e poi le case fluttuare e nello stesso tempo depositarsi le une sopra le altre, con un effetto di grande fascino.

PROFESSORE
Sempre più bravo il ragazzo…

CHRISTIAN
Alessia glielo diciamo? Prof abbiamo già visto tutte le immagini in classe con Attilio.

PROFESSORE
Meglio così. Prendiamo in esame gli stemmi. I tre visibili sotto al balcone sono dei sovrani di Napoli, gli Angiò, un seminato di giglio bianchi o argento – in realtà i gigli erano gialli o oro – su fondo azzurro, quello di mezzo ha il lambello con quattro pendenti. Quello grande sulla porta è sempre di fondo azzurro, ma con tre bande bianche o argento, e due bordure una interna a rettangoli chiari e scuri, e una esterna con denti bianchi e neri.

ALESSIA
Cos’è il lambello prof?

PROFESSORE
E’ una specie di collana a pendenti di color rosso sopra un seminato di gigli che distingue lo stemma degli Angiò da quello dei loro cugini i re di Francia, che presentavano solo un seminato di gigli.
Ma guardiamo attentamente anche alle figure del gruppo maschile del funerale. Le facce diverse per età, per capelli e cappelli, per distinzione sociale, i trombettieri gonfiano le gote per farci ‘sentire’ il suono delle trombe della fine del mondo, c’è anche una faccia ghignante, una caricatura, sotto le braccia levate velocemente verso il santo…

Predica, sepoltura e assunzione dell’anima di Giovanni in cielo.

L’ULTIMA PREDICA DI SAN GIOVANNI E LA SUA SEPOLTURA

Nella fascia inferiore alla nostra sinistra vediamo il Santo raccontare la sua imminente morte, davanti ad un altare; figura gigantesca, la prospettica arcaica segnala il suo mutamento di status e sotto ci sono i due gruppi degli astanti, nella parte superiore i maschi in basso le donne.
Alessia descrivici i due gruppi.

ALESSIA
Quello scemo di Christian le ha detto che abbiamo già analizzato nelle immagini a scuola queste belle folle umane di Riminesi maschi e femmine del Trecento. Nove teste di uomini, cinque guardano il santo gigante che predica, tre guardano nell’area, scomparsa, dove dei contadini dovevano scavare la fossa per l’interramento del cadavere, uno dei quattro guarda di profilo in alto. Dall’altra parte della fossa sono rimaste cinque o sei teste che guardano in basso, quattro però guardano in alto, dove cinque Angeli in cerchio perfetto visto a volo d’uccello, portano Giovanni in cielo, quattro Angeli a destra suonano e cantano , mentre intorno al Santo ci sono altri Santi, forse Apostoli, distinti dalle aureole. O meglio, ci ha detto Attilio, che le aureole erano in rilevo e che sono state scalpellate dappertutto per rendere liscio il muro, purtroppo quando le hanno rase hanno anche portato via parte delle facce e delle teste.

Particolare delle donne alla predica.

Ma lei prof si aspetta una descrizione e un giudizio sulle nove femmine sedute che ascoltano la predica. Sono bellissime, me ne ero già accorta, le due che hanno abiti eleganti sono delle nobili signore. Bellissima quella che tiene le braccia conserte con mano sopra mano, che forse guardava fuori nei nostri occhi che la guardano. Seguono in crescendo una ragazza in puro profilo, con i capelli dorati raccolti in una treccia a corona. Un’altra ragazza dal profilo appena appena girato, poi una vedova col viso quasi di tre quarti molto belle, poi il volto segnato dalle rughe di una vecchia velata. Una coppia marito e moglie, un volto giovanile e un volto maschile sorridente, che guarda alle donne e con la sinistra fa un gesto di apprezzamento; sotto due ragazze, una bionda con la treccia a corona e una dai capelli rossi ha tutto il volto perduto.
Attilio ci ha detto che la descrizione deve essere dettagliata e precisa perché questo aiuta a percorrere tutto l’ampio spazio senza tralasciare nessun dettaglio.

PROFESSORE
Certamente Attilio vi avrà anche fatto notare che i gruppi sono soggetti collettivi importanti anche nella distribuzione immaginale del tempo, perché, con la direzione degli sguardi, mirabilmente collegano tre episodi che avvengono in tre momenti, come se fossero contemporanei. Lo psicoanalista matematico Ignacio Matte Blanco, magari vi capiterà di leggere i suoi libri, era abituato a leggere questo tipo di immagini medievali come esempi del superamento del tempo fenomenico finito e lineare nel tempo infinito del divino, che per lui è il tempo dell’infinito matematico. Anche per me si tratta del tempo fenomenico della coscienza e di quello onirico che mescola presente, passato e futuro. In ogni caso, anche questo tempo accresce la dimensione dell’”arcano” e l’interesse veramente ‘denso’ di queste scene.

LE PITTURE DELL’ABSIDE POSTE IN BASSO

Sotto le donne, e sotto la fascia in basso, accanto all’uscio, notate la testa superstite di un angiolino sul lato sinistro di una Madonna che è scomparsa. E’ molto bello ed è opera di un maestro della fine del ‘300 o dei primi del ‘400, che Carlo Volpe aveva paragonato a Masolino, come tipo di stile non più gotico e non ancora rinascimento. Ricordo che era stato riquadrato con un punteruolo, in un tempo in cui la chiesa era spesso non sorvegliata e i ladri di Angeli avevano cercato di staccarlo dal muro. Adesso lo attribuiscono a Bettino da Faenza.

IL CROCIFISSO DEPOSTO E LA MADONNA DELLA CABINA DI PROIEZIONE

In chiesa nel primo altare a destra entrando c’è un Cristo deposto ligneo del ‘200 che proviene dalla cattedrale di Santa Colomba, dove era stato trasformato in crocifisso. E’ un’opera importante delle pochissime arrivateci dal Duecento. Di fronte c’è una Madonna e Santi, affresco che è stato strappato dalla cabina di proiezione del cessato Cinema S.Agostino. E’ attribuito a Giuliano, ma non mi sembra avere la qualità delle opere di Giuliano.

Alessia riceve una telefonata ed esce dalla chiesa; quando rientra dice.

ALESSIA
Era il nonno Fabio, mi ha incaricata di calcolare quanto uno Yankee dovrebbe spendere per dieci giorni di soggiorno a Rimini: aereo, albergo, autobus, biglietti d’entrata di musei e chiese, pranzi e cene fuori Rimini, e quanto costerebbe a un albergatore nel mese di settembre. Naturalmente devo calcolare anche il guadagno per l’albergatore.
Ma prima di salutarci prof, volevo chiederle: ci sono storie legate alla chiesa o dovremmo inventarcele come con Azzurrina?

LE STORIE DELLA CHIESA DI SANT’AGOSTINO DI RIMINI

PROFESSORE
Ci sono e sono più belle della storia di Azzurrina: ma ormai sarete stanchi. Io comunque sono stanco, non ve le racconto ma ve le elenco. Le storie degli Agostiniani, nel momento di splendore dell’ordine, con Gregorio da Rimini professore di teologia a Parigi, che tornò a Rimini nel suo convento, ma ritornò a Parigi e morì a Vienna nel 1358. I Malatesta c’entrarono probabilmente fin dalla fondazione e dopo con Simona, figlia di Malatesta da Verucchio, che spese del denaro per allestire l’infermeria; con Paolo e Francesca, che si pretese identificare in due cadaveri riccamente vestiti di seta, scoperti nel ‘500; con la Congiura degli Adimari, organizzata da alcuni nobili riminesi per uccidere Pandolfo IV Malatesta, l’ultimo Signore, che non riuscì perché mentre il Signore si calava dal tramezzo, dove andava ad ascoltare la messa, un congiurato che l’aveva visto non potè ferirlo perché aveva la spada corta, poi perché il popolo di Rimini prese posizione per il Malatesta e la congiura fallì. I congiurati che furono presi vennero impiccati ai merli del castello. Ogni merlo prese il nome dalla famiglia dell’impiccato. Poi nel ‘700, quando il Convento venne rinnovato ad opera di un architetto cesenate Giuseppe Achilli, il padre Nicola Levoli vi tenne una scuola di pittura di nature morte, oggi molto apprezzata. La disciplina dei frati si era di molto allentata, la gestione dei beni del convento era divisa tra molti cassieri. Arrivò da Roma un castigamatti che condannò i frati a una penitenza spirituale, dovevano alzarsi di notte a cantare il Miserere. Dettero quattro soldi ai Cappuccini perché si alzassero a cantare al loro posto. Nel 1797 arrivò Napoleone a sopprimere i monasteri e i conventi e a impadronirsi dei beni. Pochi decenni prima, Clemente XIV aveva soppresso i Gesuiti.

Bibliografia

Giovanni Rimondini, Vittorio Belli (1870-1953). La realtà e il mito del fondatore di Igea Marina, Panozzo, Rimini 1999.

Alessandro Volpe, Pietro da Rimini. L’inverno della critica, Skira, Milano 2016.
Non ricordo in che opera il padre Alce ha esposto questa sua ricerca. Ho chiesto ai bibliotecari dei Domenicani di Bologna, ma non mi hanno risposto.

Biblioteca A. Gambalunga di Rimini, Carte Ispettorato A.Tosi 1926.1927, 13 III 1926.

2-fine (la prima parte)

COMMENTI

DISQUS: 0