Dopo 30 anni chiude Casa Sant’Anna: la sorpresa, la storia e qualche domanda

Dopo 30 anni chiude Casa Sant’Anna: la sorpresa, la storia e qualche domanda

Nata a Rivazzurra nel 1990, ha ospitato centinaia di mamme con bambini. Un luogo accogliente, solidale e un sostegno nell'esperienza, spesso drammatica per le donne ospitate, della maternità. A quanto pare sono finite le risorse. Perché non è stato lanciato un grido d'allarme? Perché la Diocesi e le istituzioni pubbliche non sono intervenute?

Dopo 30 anni arriva a conclusione una esperienza incredibilmente bella, più unica che rara, nata a Rimini nel 1990. Don Mario Semproli mise a disposizione i locali in via Spallanzani a Rivazzurra e all’interno prese vita una realtà fatta di volontariato e di notevole professionalità, aiutata anche da tanti privati che hanno potuto conoscerla e apprezzarla. Ha dato sostegno e speranza a tantissime mamme e ai loro bambini. Presi per mano e accompagnati a superare le difficoltà che si sono materializzate sulle loro strade. Ma adesso, dopo che negli ultimi anni i problemi economici erano aumentati, non sono più state reperite le risorse necessarie per continuare. Possibile? A quanto pare sì, nel senso che i soci della cooperativa hanno già deliberato la messa in liquidazione. Finisce così, ma non si potrà cancellare tutto il bene che Casa Sant’Anna ha fatto.
Se il vulnus è di tipo economico, viene da chiedersi perché non sia stato lanciato un “grido”. Non sempre le richieste di aiuto vengono raccolte, ma a volte accade.
Sempre a quanto è dato sapere, a fare difetto nei bilanci della cooperativa Sant’Anna sono state le entrate pubbliche, nonostante svolgesse una missione di alto valore sociale. Eppure gli enti pubblici e il sistema sanitario “foraggiano” di tutto e di più in questa provincia. Come mai i cordoni della borsa non si sono aperti per Casa Sant’Anna?
Il consiglio di amministrazione della Onlus ha ormai formalizzato la decisione e “con immensa tristezza” informa “che l’esperienza di Casa di Sant’Anna si sta per concludere”.
“Nel corso degli anni, a fronte di una crescente complessità di gestione con conseguente aumento dei costi, non è corrisposta una parallela crescita delle risorse economiche disponibili, anzi, per molti versi, le stesse sono progressivamente diminuite. Non certamente per il venir meno di una generosità diffusa che ha sempre svolto un importante ruolo complementare di sostegno, quanto piuttosto per l’insufficienza delle entrate essenziali che l’ente pubblico riconosce al nostro servizio. I periodi di permanenza via via più brevi, la limitazione degli accessi da realtà diverse da quella riminese, il mantenimento negli anni di un livello economico di rette non proporzionato ai costi di gestione, sono alcuni dei fattori che hanno progressivamente fatto mancare il sostegno economico ad una realtà come la nostra, che deve condursi attraverso una presenza quotidiana continuativa di figure professionali qualificate. Né le mirate campagne di fundraising, né la promozione della Casa presso Servizi Sociali di altri territori, né i continui contatti con opere sociali amiche, sono stati sufficienti a modificare sostanzialmente la situazione”, spiega. Dice un “grazie innanzitutto alle “nostre” mamme e ai “nostri” bambini che, per tanti di noi, sono divenuti nuovi amici veri per la vita, quasi nuovi familiari acquisiti. Grazie di cuore alle tante persone che nella Casa hanno lavorato, dove è sempre risultato evidente che non era in ballo una questione di puro mestiere, ma realmente si trattava di condividere una “vocazione”. Grazie alle tante persone dei Servizi e alle assistenti sociali, che in questi anni hanno portato con noi situazioni che, più che casi da risolvere, sono sempre state mamme e figli, con un nome e un volto preciso, persone da amare. E grazie al nostro Vescovo che, come i suoi predecessori, ci ha ospitato e paternamente accompagnato”. Ringrazia anche i tanti che hanno sostenuto la Casa.
L’origine di Casa Sant’Anna la raccontò in passato il dr. Alberto Marsciani, che ne fu uno dei promotori, insieme a Gisella Baiocchi che svolse il ruolo di direttrice.
Casa Sant’Anna sboccia nel mondo cattolico e in particolare dentro quella vasta compagnia radunata da don Giancarlo Ugolini, padre della comunità di Cl di Rimini.
“Quando quasi quindici anni fa, nel 1989, abbiamo iniziato, in una decina di amici, a pensare e poi, piano piano, a realizzare una casa per accogliere donne e madri in difficoltà con i loro bambini, non avremmo mai immaginato una storia del genere”, spiegò Marsciani. “La maggior parte di noi aveva tra i 30 e i 40 anni, alcuni sposati con figli, altri appartenenti ai Memores Domini, tutti impegnati a pieno titolo nel proprio lavoro di medico, psicologo, assistente sociale, casalinga“. I primi che si sono imbarcati in questa avventura “erano già da alcuni anni coinvolti, insieme ad altre persone del mondo cattolico riminese, nel Centro di aiuto alla vita, nato all’indomani del referendum sull’aborto, e proprio lì, incontrando tante situazioni di bisogno, avevano avvertito l’esigenza di poter avere un luogo ove offrire accoglienza alle madri in difficoltà, con situazione di disagio sociale e psicologico, sia italiane che straniere”. Quindi l’incontro con don Semproli che aveva “permesso di “dare carne” a questo desiderio e di iniziare a pensare concretamente a un’opera di accoglienza”. E continuava: “Fin dall’inizio Casa Sant’Anna ha rivendicato una pretesa educativa: “casa, non istituto”, è stato il leit motiv che ci ha accompagnato in questi anni, per sottolineare che la posta in gioco era quella di offrire un luogo accogliente e solidale e un sostegno nell’esperienza, spesso drammatica per le donne ospitate, della maternità. La vita della Casa segue i ritmi tipici di una famiglia”. Si crearono anche sinergie col territorio: “dall’amico albergatore che, oltre a favorire l’inserimento lavorativo delle donne nel proprio albergo durante l’estate, ospita tutti gratuitamente in montagna per una vacanza di fine stagione”, “fino alle tanti madri di famiglia, nonne o giovani studentesse che in questi anni hanno offerto gratuitamente il loro tempo per coprire dei turni notturni o che hanno invitato a casa propria le donne con i loro bambini per le feste di Natale o Pasqua”.
Furono siglate convenzioni con l’Ausl e con varie istituzioni, anche universitarie. Ma evidentemente sarebbe stato necessario qualcosa di più.
In questi tre decenni sono state centinaia le donne con prole che sono passate dalla Casa Sant’Anna. L’edificio di Rivazzurra venne anche ristrutturato, e inaugurato alla presenza del vescovo Mariano De Nicolò e dell’allora sindaco Ravaioli. Alla chiesa riminese resta quindi una sede in ottimo stato e vuota, che probabilmente passerà di mano, forse ad una delle realtà diocesana che già opera nel sociale e che intrattiene ottimi rapporti col “pubblico”.
E’ abbastanza paradossale che nel periodo di più intenso affaccendarsi della chiesa, anche di quella diocesana, intorno al tema dell’accoglienza e degli emarginati, giunga a fine corsa uno dei primi esempi in città di condivisione del bisogno con una impronta originale, diversa da quella praticata da tutti gli organismi esistenti. E’ stato fatto tutto il possibile da parte della Diocesi e delle istituzioni pubbliche per evitare questo epilogo?

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