Egnatia Chila: le disavventure della splendida stele funeraria

Egnatia Chila: le disavventure della splendida stele funeraria

Venne fatta a pezzi nel 1955 da alcuni ragazzi, quand'era incustodita nell'area tra il Tempio Malatestiano e l’attuale Mercato coperto. Poi restaurata, oggi si trova nel Museo della Città, anche se fu ritrovata nel territorio di Bellaria Igea Marina.

Molti conoscono la storia della stele funeraria romana di Egnatia Chila ma, forse, pochi ciò che le incolse nel passato attraversando momenti difficili, peraltro al pari di tanti beni culturali riminesi. A tale proposito intendiamo ripercorrere la sua triste storia grazie ai documenti contenuti nelle buste degli atti d’ufficio, conservati in Biblioteca Gambalunga.

LA PREZIOSA STELE ROMANA OGGETTO DI VANDALISMO
Venerdì 11 marzo 1955 sulla pagina di cronaca locale del Resto del Carlino, appare una notizia – purtroppo – assai sconcertante: “Vandalica distruzione di una preziosa stele romana”. Il riferimento era proprio quello alla prefata lapide, che era “custodita” (si fa per dire), nell’area dell’ex Convento S. Francesco compresa tra il Tempio Malatestiano e l’attuale Mercato coperto. Come è noto, ma per doverosa premessa, prima dell’ultima guerra quel sito ospitava il Museo cittadino, ma dopo gli eventi bellici era rimasto pressoché abbandonato e, sebbene cosparso di testimonianze storiche lapidee, consegnato al degrado e all’incuria e nel quale era facile l’accesso per i più svariati fini di dubbia liceità; in sintesi i bombardamenti prima e l’indifferenza successiva, erano stati elementi generanti quella situazione.

Il già citato articolo di stampa, definiva, a ragione, l’opera “di grande finezza classica … che l’Aurigemma catalogò fra i pezzi più importanti del Museo rinvenuti nell’agro riminese” (nella campagna di Bordonchio, comune autonomo di Bellaria Igea Marina dal 1956), e che la stele era stata frantumata insensatamente. Concludendo che oltre all’indignazione di un siffatto gesto, si invocava senza indugio la “tutela del nostro patrimonio archeologico” quindi la veloce definizione di una sede idonea finalizzata a quell’obiettivo. Si auspicava peraltro che chi preposto avesse provveduto a sporgere una denuncia, perché “sull’increscioso fatto è stato tenuto il più rigido riserbo”.

IL FATTO
Il grande Mario Zuffa da poco assunto il suo ruolo nei Servizi Culturali del Comune di Rimini, si trovò coinvolto suo malgrado e senza colpa in una situazione della quale aveva già denunciato tutta la sua vulnerabilità: la difficile condizione in cui versavano i beni archeologici, data la mancata ricostruzione di un museo che li potesse tutelare.
Il 4 marzo 1955 scriveva al Commissario Straordinario del Comune di Rimini comunicando l’increscioso accaduto ad opera dei “soliti ragazzi che impiegano le ore libere dalla scuola in una serie di atti vandalici … e ai resti di quella che fu la sede dei Musei …”; poi continuava denunciando l’inadeguatezza dei sistemi di protezione. Quindi, entrando nel merito, dopo avere evidenziato l’importanza della lapide dal punto di vista storico e culturale, affermava che essa “è stata staccata dalla parete dove si trovava, gettata a terra e ridotta in alcune centinaia di frammenti con l’uso evidentemente di un grosso martello …”. L’atto considerato strano e, ovviamente, quasi inconcepibile, si leggeva “ad opera di studenti delle scuole secondarie, come è risultato da una piccola inchiesta condotta in posto”. Poi tutta una spiegazione per cui quell’area era di fatto in balìa di tutti, completava la missiva.
Il 10 marzo successivo il Commissario Straordinario del Comune di Rimini, rispondeva chiedendo spiegazioni circa l’accaduto e biasimando il fatto di non essere stato posto al corrente del pericolo in cui i reperti lapidei correvano ed altri aspetti ad essi riferibili.

Ne seguiranno una serie di scambi epistolari tra Mario Zuffa ed il Commissario Straordinario. In uno dei quali, in particolare, il nostro protagonista rigettava l’addebito elencando le varie circostanze ufficiali durante le quali aveva segnalato il problema della vulnerabilità dei reperti storici e che nonostante ciò la situazione fosse rimasta irrisolta; segnalando altresì l’esistenza di “…regolare campo di foot-ball ivi allestito … con quanto vantaggio per il vicino prezioso monumento (Tempio Malatestiano ndr), e quanto decoro per il centro della città è facile immaginare”. Oltre all’utilizzo dell’area come latrina, frequentata facilmente pure da malintenzionati, e la promiscuità con il mercato. Terminando infine con l’amarezza per l’accaduto.

LA DENUNCIA
Il Ministero della Pubblica Istruzione nel prendere atto dei provvedimenti susseguenti l’accaduto, per la salvaguardia dei beni architettonici sparsi nell’area ex S. Francesco, con lettera del 5 aprile 1955 all’indirizzo della Soprintendenza di Bologna, rimarcava però il fatto che ancora non era stata sporta denuncia dell’accaduto alle competenti autorità, e ne chiedeva conto. In seguito, il 12 aprile, il ricevente comunicava di non avere proceduto ad ottemperare alla prassi “perché il monumento è di proprietà del Comune di Rimini”.
L’esposto del danno avvenne quindi tardivamente, solo il 10 aprile. Una prassi che ricorrerà in seguito in conseguenza della sparizione della famosa “Petra Ociosa” mai più ritrovata, ma questa è un’altra storia. Nell’atto indirizzato al Commissario di P.S. oltre a datare il misfatto, “pomeriggio del 3 marzo”, si comunicava che i frammenti lapidei erano già stati recuperati e imballati per essere spediti alla volta del Gabinetto di restauro di Bologna. Si chiedeva infine un’inchiesta per scoprire i responsabili del reato. Del fatto, il 19 aprile successivo si dava contezza alla Soprintendenza di Bologna, comunicando che il danno non era irreparabile.

COSA SUCCEDE OGGI?
Attualmente Rimini ha un pregevole museo e conserva tutte le opere sia lapidee che di altra natura in modo adatto al fine, e nel quale si può ammirare pure la bella stele funeraria.
Ciò nonostante però sono rimasti vivi alcuni aspetti non proprio edificanti subìti dai monumenti cittadini. I primi senz’altro riconducibili al vandalismo puro pensando, ad esempio, alla deturpazione della statua di Paolo V del 2015 e 2017 in piazza Cavour. Poi sempre dello stesso filone, lo sfregio al muro dell’Anfiteatro che ancora mostra grande vergogna per la città, rimasto al suo posto da gennaio nonostante siano trascorsi oltre tre mesi, e a cui mai è stato posto rimedio.
I secondi, dovuti ad una scarsa sensibilità istituzionale nei confronti della cultura, nel suo senso pieno del significato, anzi alla sua banalizzazione, manifestatasi in modo più che palese. Molti gli esempi eclatanti: dallo “sforacchiamento” delle mura storiche per costruire una banalissima pensilina, al continuo permettere un uso improprio dell’Antica Pescheria, alla cementificazione di Piazza Malatesta, fino all’avvilimento del Castello Malatestiano a contenitore di improbabili oggetti museali alieni al contesto. Per concludere con l’apoteosi dello stato dell’Anfiteatro, di Palazzo Maschi Lettimi e dell’ex Convento S. Francesco.
Credo che solo conoscendo le vicende passate e riconsiderando quelle presenti afferenti alla nostra storia culturale cittadina, Rimini potrà essere a pieno titolo una vera capitale della cultura; oltreché riconoscendo ed emendando errori di un recente passato. Ma leggendo sul perché la città di recente non ha raggiunto quest’obiettivo, capisco che finché non si comprenderanno i veri motivi l’ambìto traguardo non verrà mai raggiunto.
Non occorre inventarsi improbabili e pindarici inesistenti modelli (pseudo) culturali; basterebbe conoscere, apprezzare e valorizzare ciò che ci è rimasto.

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