Emozioni scritte sui sassi tra le vie del Borgo S. Giuliano

Emozioni scritte sui sassi tra le vie del Borgo S. Giuliano

Poesie e disegni su piccoli ciottoli, collocati ai margini, un po' nascosti ma per essere trovati da chi non corre distratto. Chi crea e poi abbandona questi messaggi? E perché lo fa?

Da una quarantina d’anni a questa parte il Borgo San Giuliano è una sorta di laboratorio all’aperto di idee in costante divenire, un tramestìo di colori in movimento che pur connotato in un clima di pressoché totale anarchia artistica, trasmette un’inconfondibile nota allegra e curiosa a una porzione di Rimini, un tempo reietta. Si ha voglia di girare l’angolo successivo per vedere cosa si trovi nella via appresso. Lungo le strade prende forma un tessuto espressivo dalla trama stramba e originale. Si susseguono installazioni di vario stile e temperamento, graffiti e murales, tra una Gradisca sul divano, passando per e mur di soranom ideato da Tonino Guerra o una balena che schizza all’improvviso dalla parete giallo ocra di una casa.

Ma ci sono anche pesci con sembianze umane, poi gli immancabili personaggi felliniani, cassette delle poste variopinte e targhe in ceramica con i cognomi di ex fiaccherai e pescatori, per arrivare infine ad una immagine in metallo: un borghigiano a grandezza naturale che regge una canna da pesca con un grosso pesce androcefalo preso all’amo. È sulla soglia di una finestra della stessa casa che noto un sasso con una scritta che recita: Ma il mare è come l’anima. E non fa silenzio mai. Nemmeno quando tace. È una poesia dello scrittore leccese Angelo de Pascalis.

Girando il sasso la poesia termina: …quando tace.

Chiedo lumi al proprietario della casa che mi dice di averlo trovato (con piacere) una mattina, esattamente là dove l’ho visto io. Poi, da me stimolato, sostiene di avere saputo che la poesia è stata riportata su quel sasso da una signora di cui non conosce nemmeno il nome. Pare che pochi sappiano chi sia e neppure perché lo faccia, ma sono già in molti ad avere visto sparsi qua intorno sassi simili a questo, racconta il mio cicerone, e talvolta sono scritti, ma più spesso disegnati in modo anche molto semplice, quasi infantile. A quel punto sto fino al collo nel pentolone della curiosità. Devo sapere chi sia la signora, conoscerla, parlarle. Siccome l’alter ego di metallo, sicuro testimone della posa del sasso, resta muto, domando al proprietario dell’abitazione se possa fare un’indagine tra i borghigiani, se qualcuno conosca la misteriosa mano che nottetempo sparge ciottoli nel Borgo. Promette che lo farà. Passa diverso tempo, e mentre lo scultore borghigiano Giovanni Bonci arricchisce pareti e strade con nuove fioriere e installazioni e io ho quasi perso le speranze, grazie alle indagini del pescatore (quello in carne e ossa) e all’intercessione di una sua amica, riesco ad avere un incontro con la persona che per riservatezza desidera rimanere intabarrata tra le rassicuranti, ma inoffensive ombre dell’anonimato. Rispetto, condivido la scelta, faccio quindi ricorso a un appellativo di fantasia e per citarla la chiamerò Petra, nome di origine greca e aramaica. Un richiamo idealmente coerente al materiale utilizzato come tàbula, dalla signora.
Come prima domanda di cui erroneamente ritenevo scontata la risposta, è stata la seguente:

È nata e abita nel Borgo San Giuliano, Petra?
«Non sono nata a Rimini. Ci abito da quando avevo quattro anni e il Borgo lo amo anche perché vi si accede dal ponte d’Augusto e Tiberio che ritengo essere l’immagine stessa di questa città, ma non ci vivo».

Dato che agisce in trasferta, c’è un motivo che le ha fatto scegliere un luogo e non un altro?
«Sì, c’era una ragione precisa per cui ho cominciato a scrivere e disegnare sui sassi. Mio padre era stato ricoverato nella clinica adiacente al Borgo. Ero molto addolorata e avvilita. Per il papà li ho lasciati nella strada subito dietro alla clinica, in un punto da dove vedevo la finestra della sua stanza».

Erano disegni o parole scritte?
«Erano disegni di palloncini che volano a forma di cuore e poi il suo nome. È iniziato tutto così. Grazie ai sassi ho trovato uno sfogo. Avevo bisogno di parole positive e consolazione per me stessa, ma ho pensato di lasciare i miei sassi anche per farli trovare a qualcuno che chissà, forse avrebbe potuto avere le mie stesse angosce. Quando arrivavo in clinica in anticipo rispetto ai tempi di visita, facevo una passeggiata che un po’ mi distraeva. Vagando per le vie del Borgo, se per caso lasciavo sassi con disegni di gatti, perché i mici li ho anche io, speravo li trovasse qualcuno che avesse dei bambini. Però, detto con estrema sincerità, immaginavo anche che qualcuno li guardasse, li considerasse brutti e li gettasse via».

Sarò banalmente retorico, ma come si fa a non essere colpiti da un gesto così tenero, così delicato, che si insinua, quasi impertinente, in una società ridotta a spintoni, pestate di piedi e vaffanculo gridati, bava alla bocca, dai finestrini delle auto? Quando non va peggio. Ma non racconto nulla di nuovo. Quindi ritorniamo a noi. Una volta abbandonate, rimane a vedere chi prende le sue pietre?
«Nemmeno per sogno, anzitutto sto attenta che nessuno mi veda, poi mi allontano immediatamente. Ho anche luoghi preferiti, dove so che molti, specie i turisti, si soffermano. Uno di questi è l’invaso del ponte di Tiberio, dove si incontrano i ragazzi e l’altro è il ponte stesso. In entrambi i posti non mi è mai capitato di ritrovare ciò che avevo in parte nascosto, ma per essere trovato».

Per essere trovato? Per esempio, dove?
«Uno è un foro nel parapetto lato mare da cui i turisti fotografano il grattacielo, l’altro è su quello opposto ed è una depressione tonda della superficie, dove ci sta giusto un sassolino ed è talmente visibile che il transito delle mie creature, là è molto veloce. Che le gettino in acqua o se le mettano in tasca, non lo saprò mai».

Propendo per la seconda scelta perché pensano che portino fortuna. E forse è così. L’ultima domanda, Petra. Escludendo la parte più esterna, la più affollata e caciarona, addentrandosi nel reticolo delle vecchie vie del Borgo, confusione e schiamazzi vanno in dissolvenza per lasciare la scena all’autentico ex quartiere di pescatori. Lei continua a frequentarlo per questo motivo?
«Sì, perché abbandonato il perimetro esterno l’atmosfera cambia di netto, tutto è più tranquillo e vero, il clima è accogliente ed è come entrare in casa di qualcuno, dove ci si guarda intorno, si ammirano quadri e suppellettili e ci si sente in dovere di rispettare la dimensione privata dei proprietari. Del resto, la posa dei miei amati ciottoli richiede una certa discrezione e possibilità di scivolare via senza essere notata».

Le belle iniziative come quella appena raccontata, si propagano lente e placide, come i cerchi nell’acqua. E senza clamori, arrivano ad accarezzare le sponde della sensibilità di chi non vive di soli selfie e social. Basta questo per esserne consolati? Ho rivolto la domanda al dottor Maurizio Lazzarini, socioanalista e borghigiano.
«La signora fa tatuaggi su pietra anziché sulla pelle. Agisce sui sassi per auto terapia sul dolore che ha vissuto. Mette messaggi in bottiglia e chi li legge non necessariamente ne capisce il senso, ma d’istinto ne sente l’emotività. Questi messaggi, fondamentalmente servono a lei. È il suo bisogno di compensare il dolore per la morte del padre. E continua perché è un dolore profondo e comunque desidera comunicare le proprie emozioni. Ha qualcosa che esce in maniera spontanea, che lei traduce in comunicazione emotiva».

Dunque, la sintesi della conversazione avuta per telefono, coincide con ciò che pensa anche la protagonista.
Nata nel primo mese dell’anno, a mio parere l’intervistata impersona il primo dei dodici aforismi di Tonino Guerra, quello in cui definisce gennaio come il mese coi rumori che lasciano impronte sulla neve. Ciò descrive alla perfezione la levità del modus agendi di Petra. Ma quando mi sono girato per esprimere questo mio pensiero, lei non c’era più. Che abbia sognato?

Il sasso e la pietra: significati...

Un breve articolo, tratto dal web, della dottoressa Daniela Lucignolo, psicologa della salute, psicoterapeuta ed esperta in arte terapia.

Sono venuta a contatto quasi per caso con un sogno in cui comparivano dei sassi, che peraltro venivano anche denigrati, in quanto materia fredda, dura, priva di vita. In un secondo momento e documentandomi sono invece venuta a conoscenza dei grandi e profondi significati che si nascondono dietro ai “sassi”, ovvero alla pietra. Di questi alcuni mi hanno particolarmente colpita. Il “sasso” (e dunque la pietra) viene considerato come simbolo dell’origine dell’universo, in quanto la vita sulla terra è nata proprio sopra la roccia, primo elemento del mondo, elemento che esiste dai primordi e che per questo assiste anche in qualche modo a tutto ciò che si è sviluppato nel tempo. Quindi la pietra viene vista come origine della vita sulla terra e anche della vita personale, umana, per cui si aggancia al significato delle proprie origini, a qualcosa che resta di fronte a tutto ciò che vi si stratifica sopra, nel tempo, nella crescita, nello sviluppo.
La pietra è inoltre un elemento pesante, che gravita verso il basso, verso il fondo, quindi si potrebbe dire verso l’interiorità, verso la propria essenza e il proprio mondo interno. La pietra, quindi, apparentemente materiale senza vita, considerato talvolta “freddo” o arido, può potenzialmente racchiudere un profondo significato di sviluppo, di crescita, di ritorno alle origini (ontogenetiche e filogenetiche) per poter riprendere il proprio personale compito di sviluppo.

Fotografia d’apertura di Petra.

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