I volontari delle mascherine: Singer, forbici e cotone per far fronte all’emergenza

I volontari delle mascherine: Singer, forbici e cotone per far fronte all’emergenza

L'esperienza di Daniele e Andrea. Scoprire che in paese, a Montescudo, mancano i dispositivi di protezione e in attesa che la farmacia venga rifornita scatta il lavoro "sartoriale".

La cittadina di Montescudo conta circa 3500 abitanti. Ha origini assai antiche, un rilevante passato storico e il privilegio di avere dato i natali a Francesco Rosaspina (1762-1841), uno dei più formidabili incisori italiani. La vicenda di solidarietà che vogliamo raccontare ai lettori, parte da quel comune dell’entroterra riminese. Siamo in collina, a una ventina di chilometri da Rimini e a 386 metri di altezza sul livello del mare.
In questo periodo di grave emergenza sanitaria e relativi disagi economici e sociali, la generosità di chi dona è sempre lodevole e benvenuta. Di qualsiasi entità e da qualsiasi parte provenga. I milioni di euro sganciati da imprese arcimilionarie o da ricchi imprenditori hanno inevitabilmente un’incidenza rilevante. Ciò premesso e lontani almeno un metro e mezzo (quello canonico) da esercizi retorici di bassa lega, va tuttavia sottolineato con chiarezza che il peso dell’impegno economico (o fisico) individuale non è uguale per tutti. L’idea che due signori di Montescudo, senza essere sollecitati da alcuno, si mettano a tagliare stoffa per cucire a macchina centinaia di mascherine da regalare ai propri concittadini, a nostro avviso ha considerevole valore morale.
Andrea e Daniele condividono la loro vita da ventisette anni, quindici dei quali trascorsi a Montescudo nell’appartamento che hanno comperato. Andrea lavora nel settore della moda, mentre Daniele per diverso tempo ha gestito un’attività commerciale vicino al mercato coperto. Come sia nata l’avventura delle mascherine lo facciamo raccontare al primo, eletto là per là portavoce ufficiale del “gruppo” di lavoro nonché promotore dell’impresa e conduttore delle macchina (da cucire) per naturale attitudine sartoriale.

Andrea e Daniele

Andrea, chi vi ha chiesto di avviare la produzione di mascherine?
«Nessuno. Una sera, la farmacista del paese, alla mia domanda se avesse protezioni sanitarie antivirus, mi risponde che al momento è sprovvista di mascherine. Non sa come far fronte alle pressanti richieste della popolazione locale perché, pur avendole riordinate, ignora se e quando le sarebbero arrivate. Tornato a casa ne parlo con Daniele. Notare che in quel periodo avremmo dovuto partecipare a un viaggio in Egitto, poi soppresso a causa del Covid-19. Che facciamo?, ci siamo detti. Una volta che ripuliamo casa e cuciniamo qualcosa, non ci rimangono molti altri lavori per passare il tempo. Di uscire, neanche parlarne. In paese molte persone sono costrette a girare senza un minimo di protezione».

E quindi?
«Presi diversi teli di cotone e qualche metro di elastico che abbiamo in casa, lubrificato il perno delle forbici e lucidato le lame, mettiamo in moto la fedele Singer e partiamo. Dopo pochi minuti, davanti a noi abbiamo il primo prototipo. Neanche male, considerato l’uso di mezzi non esattamente professionali».

Quante mascherine sono scaturite, dai fantasmatici teli bianchi?
«Circa cinquecento».

Però! E per distribuirle?
«A dire la verità, per il fatto che entrambi lavoriamo a Rimini e torniamo a casa solo a fine della giornata, non siamo troppo inseriti nella vita sociale di Montescudo. Chiediamo perciò aiuto in Municipio, dove si offrono di distribuirle presso il forno e nei negozi di alimentari. Nei luoghi aperti e cruciali del paese, tranne logicamente la farmacia. Mentre lavoravamo, anche se mettevamo guanti e mascherine, non erano prodotti a norma e certificati, ma frutto di pura emergenza. Ne sfornavamo a più non posso. Ce ne chiedevano di continuo. Specialmente per gli anziani, i più esposti al rischio di pericolose complicazioni. Sono arrivate richieste perfino da Taverna, da Croce e da altri paesi vicini…
Quando, dopo un paio di settimane, finalmente la farmacia riceve una nuova fornitura (tra l’altro a prezzo onestissimo) ovviamente interrompiamo la produzione».

Cosa avete ricavato da questa esperienza così coinvolgente dal punto di vista emotivo?
«In un paese così piccolo, la voce che gli artefici delle mascherine eravamo noi si è sparsa in un baleno. Tanta gente ci ha fermato per strada per ringraziarci. Ci hanno manifestato affetto e gratitudine e a volte costretti ad accettare uova o altri piccoli presenti. È stato molto bello e appagante avere la genuina riconoscenza delle persone. Come succede nei paesi, se possono, tutti si aiutano. Qualunque sia stato il risultato degli sforzi che abbiamo messo a disposizione della nostra piccola comunità, lo abbiamo fatto veramente con tutto il cuore, senza secondi fini o interessi. Se ce ne fosse bisogno, lo rifaremmo anche domani».

L’aspetto che più rincuora in frangenti complicati e drammatici come questi è la grande solidarietà, tipo quella appena descritta, che si è registrata in tutta Italia. Coronavirus a parte, c’è chi si spende generosamente (e succede ogni giorno dell’anno), nel volontariato. Anche a rischio della propria incolumità. Persone che cucinano alla Caritas, che fanno compagnia agli anziani, che procurano cibo e coperte ai senzatetto o prestano gratuitamente la propria opera su autoambulanze e così via. A causa del Covid-19, la spirale di solidarietà sociale è ulteriormente aumentata. Dobbiamo andarne fieri.
Un sentito grazie a tutte queste persone.

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