Il Caffè del Commercio e la pasticceria Vecchi: dal 700 alle novità dei giorni nostri

Il Caffè del Commercio e la pasticceria Vecchi: dal 700 alle novità dei giorni nostri

Il primo ha chiuso i battenti. Il secondo passa di mano. E' una storia che inizia nel '700 e che attraversa quella della città, addirittura della politica, oltre che del costume. Una ricerca del prof. Rimondini, con dedica ai recenti gestori, che escono di scena.

Dedica
Dedico questo centone di notizie ai gestori dei due bar storici, il Caffè del Commercio e il Caffè Pasticceria Vecchi: i primi hanno chiuso all’inizio di questa primavera 2022, i secondi hanno deciso di mollare. Erano gli eredi di una tradizione che iniziava nel ‘700 in piazza della Fontana poi Cavour. Il Caffè del Commercio, erede del settecentesco Caffè della Fontana o di piazza della Fontana, dal 1852 proprietà di Bonifacio Vecchi e poi dei figli i Fratelli Ermanno e Archimede Vecchi, poi dei nipoti i Fratelli Bruno e Ugo. La Pasticceria Vecchi venne aperta dai Fratelli Vecchi nel 1896 e rinnovata in “New Styl” – che corrisponde ad “Art Nouveau” non dite Liberty, per favore, anche se questo termine sviante esce dal Dizionario Moderno del bellariese Alfredo Panzini. E’ sbagliato, come il ponte romano senza rampe.
Il nostro augurio e la nostra simpatia agli ultimi gestori: Claudia, Lenny e Michael Romani del Commercio, e a Laura, Leo e alle altre ragazze e ai ragazzi del personale, tutti gentilissimi e simpatici. Auguri e simpatia anche a Oriano Paci, Michelina Barbieri, e Massimo Barbieri del Caffè e Pasticceria Vecchi, con la speranza che la signora Michelina voglia regalare alla Biblioteca Gambalunga il suo prezioso libro manoscritto delle ricette Vecchi.

La storia del caffè e dei caffè di Rimini
La storia dei caffè di Rimini l’ha cominciata Piero Meldini, la cui scrittura è inconfondibile e come sempre affatto godibile, sfruttando sopratutto le cronache o i diari del tardo ‘700 e della prima metà dell’800 di Nicola e Filippo Giangi, padre e figlio, bottegai detective e chiacchieroni sulla piazza Maggiore o di S.Antonio – poi Giulio Cesare, poi Tre Martiri -. Si veda su Google: Comune di Rimini – la storia – pagine di storia della cucina – Osterie e Caffè.
I primi Caffè in Europa, a partire da Istambul e da Venezia, si aprono nella seconda metà del Seicento; in America a Boston nel 1689; ma è nel Settecento che i caffè, i locali dove si prepara e viene consumata la bevanda di origine turca, si diffondono nei centri grandi e piccoli dell’Italia. Vari sono i modi di preparare il caffè e di servirlo, come vedremo, sia nei locali pubblici che nei palazzi dei nobili o nelle case dei borghesi.

A “Rimino” siamo in “antico regime”, fino all’arrivo di Napoleone in Romagna con la battaglia del Senio, 2 febbraio 1797, cioè nel periodo in cui la società è divisa in classi rigide se pur non impermeabili; comandano la politica amministrativa e predominano in società i nobili riminesi, o ‘patrizi’. A Rimini il Consiglio generale, erede del comune medievale e dei Malatesta, può conferire la nobiltà cittadina, ma ci sono anche conti e marchesi, non di alta nobiltà, e sono i titolati dal papa, i suoi parenti o quelle famiglie che si sono comperate un titolo, dai sovrani di Polonia, di Francia, dell’Austria, i consoli a Rimini di questi stati, dai vescovi di Bertinoro, che nominavano per antico privilegio i conti, dalla Repubblica di San Marino recentemente riconosciuta da Napoleone prima e poi dal Congresso di Vienna. I patrizi con i “cittadini” del Consiglio, presieduto da una giunta di XII, amministrano la città, non pagano le tasse come gli altri, sono pagati per il loro tempo nelle diverse commissioni di affari. Una parte del consiglio è riservata ai borghesi o “cittadini” che poi poco alla volta entrano nel patriziato per voto di Consiglio. Un prelato Governatore, che abita a palazzo Garampi, rappresenta l’autorità del papa, alle dipendenze del Legato di Ravenna e poi di quello di Forlì.
I rogiti notarili registrano, negli inventari post mortem di nobili e borghesi, la presenza di servizi da caffè di argento, di rame, di porcellana fine e meno fine, di maiolica, come questo del 16 ottobre 1769 rogato dal notaio Giovan Battista Urbani nel palazzo del conte Beltrame Zanoli, console del re di Polonia, padre della marchesa Francesca, moglie del marchese Michelangelo Diotallevi e madre di quattro figli maschi: Respicio e Disma – che nella guardia di napoleone re d’Italia morirono in Russia -, Adauto e Audiface. La sua dimora tuttora esiste, anche se malandata – era stata la casa dei Sacramori dal ‘400 al ‘600 – in via di Marina oggi Giovanni XXIII , angolo con via Cavalieri, poco distante dai giardini Ferrari. L’inventario ci aiuta a immaginare anche i primitivi utensili e arredi dei caffè pubblici di “antico regime”, cioè prima che Napoleone, erede della Rivoluzione Francese, abolisse formalmente i privilegi nobiliari, con recipienti di lusso – cuccume per la preparazione e chicchere per l’uso -, via via meno preziosi, di argento, porcellana, maiolica, rame e latta da presentare sui tavolini e da usarsi secondo le circostanze e lo status dei clienti:

In una Credenza a muro
Quattro Chiccare da Caffè di Porcellana di Firenze a basso rilievo con suoi piattini.
Altre sei fiorate con suoi piattini
Sei Chiccare di Porcellana per Vini navigati.
Quattro Chiccare da Cioccolata di Porcellana di Sassonia con Piattini.
Sei altre di Porcellana di Firenze fiorate con Piattini, e Zuccheriera. “
[…] Una Cuccuma da Tè di majolica verniciata di verde
Due Chiccare da Tè fatte a barchetta di simil sorta.
In una Camera della villa di Vergiano:
“Uno schifetto [recipiente largo] da Caffè.
Dieciotto Chiccare da caffè con Piattini di Majolica
Una Zuccariera.
Quattro Chiccare da Cioccolata senza Piattini.
Quattro altre negre con Piattini.”
Cucina :
“Il macinino per Caffè” (1)

Col caffè troveremo nei pubblici esercizi di “antico regime” altri prodotti ‘nuovi’ e vecchi, il cioccolato che è arrivato dell’America meridionale e ha fatto subito una grande fortuna; le paste, i vini pregiati e persino certi cibi – patate, grano turco, il pomodoro venne usato come cibo nell’800 -. Per quanto riguarda i “vini navigati”, di importazione marittima che spesso sono citati nelle carte, in una seduta della Congregazione Affari pubblici di Pesaro del 23 dicembre 1749, li vediamo specificati:

Vini di Dalmazia, d’Istria, e non quel Vino Schiavone che strangola […] mi ricordo avere letto, che una cinquantina di anni fa il Vino di Sciampagna era bensì stimatissimo, ma non reggeva, né alla lunghezza del tempo, né all’incommodo del trasporto.” (2)

Nell’inventario dei beni del marchese Francesco Maria Diotallevi, parente stretto di Michelangelo, nella Cucina troviamo:

Quattro Cucume da Caffè di Rame
E nell’elenco degli Argenti ci sono:
Una Caffettiera col manico di legno del peso di once 26
Una Zuccariera, due saline dorate, e due Moccatoj del peso in tutto di once 26.” (3)

In altri inventari, non mancano gli strumenti per la preparazione del caffè a partire dai chicchi verdi, come la “palla da bruciare il Caffè” di un inventario dei beni del canonico Luigi Borghesi del 1826. (4)

Questa ricerca aggiunge ulteriori notizie al lavoro iniziato da Piero Meldini nel tentativo di precisare qualche momento della storia di un particolare caffè di Rimini, il primo che incontriamo, e per molti anni il più importante o tra i più importanti caffè cittadini, che circa alla metà dell’800 prese il nome di Caffè del Commercio, mentre nel ‘700 un esercizio precedente in piazza Cavour, che allora si chiamava piazza della Fontana, era indicato come il Caffè della Fontana o Caffè di Bologna o Caffè Bologna, nome, come ha ipotizzato Meldini, derivante dal cognome del primo gestore, o forse dal suo luogo di origine (5). Come vedremo, al Caffè del Commercio si unì nel 1896 una pasticceria, ristrutturata con lusso nel 1912 per iniziativa dei signori Bruno e Ugo nipoti di Bonifacio Vecchi e figli di Ermanno, proprietari del primo esercizio. Assai probabilmente fu Bonifacio Vecchi a dare il nome al locale che prima era indicato come Caffè di piazza Fontana o del Contini. L’esercizio di Piazza della Fontana nel 1811 viene situato, come troviamo nelle pagine della cronaca di Filippo Giangi, al pian terreno della Casa Galli, la casa che fu dei Melzi – vedi sotto – dove rimarrà fino al secondo dopoguerra. Negli ultimi anni la Pasticceria Caffè Vecchi si è trasferita nel Borgo di San Giuliano, in Viale Tiberio subito dopo il ponte romano.

Piazza Cavour con i suoi storici caffè. Cartolina viaggiata 1 settembre 1927. Collezione di cartoline Mauri, archivio fotografico Biblioteca Gambalunga Rimini.

Il Caffè della Fontana o Caffè Bologna nel Settecento
Troviamo le prime informazioni – allo stato attuale delle ricerche (mie) – sul Caffè Bologna o Caffè della Fontana così chiamato dal nome di piazza della Fontana – dal 1861 piazza Cavour – nei libri contabili del convento degli Agostiniani, che sorgeva non lontano dalla piazza. Ci sono diversi libri contabili nell’archivio agostiniano, conservato presso l’Archivio di Stato, tanti quante sono le diverse casse che, senza un criterio di gestione economica unitaria, riscuotevano e pagavano per tutto il convento, malgrado le sollecitazioni romane a tenere unificati e meglio in ordine i conti. Nel registro Esito del Deposito 1784-1795 (6) , l’ultimo libro contabile prima della soppressione napoleonica, troviamo delle spese nella caffetteria che ci interessa, alcune fatte per gratificare il padre generale degli Agostiniani in visita col suo seguito:

Cioccolata, Caffè e Zuccaro per il Padre Reverendissimo Generale e sua Comitiva.
Adì 17 d.° [XII 1787] Pagaj al Signor Giuseppe Bianchi Cioccolatiere Scudi venti, e Bajocchi quarantuno per il saldo di tanta Cioccolata, Caffè e zuccaro levato dal di lui negozio il tutto servito per il Padre Reverendissimo Generale e per sua Comitiva, come da confesso detto“.

Altra volta si paga per sorbetti confezionati nel Caffè, consumati dal vescovo e dai prelati della curia di Rimini e altra ancora per il cibo offerto a un prelato milanese ospite dei padri. Sia il Caffè della Fontana che gli Agostiniani possedevano una neviera o conserva, come si chiamava, un ambiente a cupola di mattoni al cui centro vi era un pozzo dove durante l’inverno si pressavano le nevi e i ghiacci di città, oppure si acquistavano nevi e ghiacci nelle alte valli del Marecchia. Nelle conserve i macellai tenevano le carni e i “parcenevoli” – commercianti all’ingrosso dei pesci – e i pescatori sistemavano i pesci; i caffettieri e cioccolatieri ottenvano il ghiaccio per confezionare sorbetti e gelati. Per i sorbetti, si veda on line le voci “sorbettiera” e “eutettico” -. Il sistema delle conserve durerà fino ai primi del ‘900, quando vengono impiantate in città le fabbriche del ghiaccio e compaiono i primi frigoriferi nei quali si sistemano i blocchi di ghiaccio che dureranno fino al secondo dopoguerra del ‘900. Anche i Gesuiti, pochi anni prima della soppressione – 1774 – avevano costruito una propria contestata neviera.

Sorbeti.
Adì 14 d.° [VI 1784] Pagaj il Caffè di Bologna Bajocchi novantotto per venti sorbetti consumati per Monsignor Vescovo, e tutta la Sua Corte […]
[8] Xbre 1784 Caffettiere Bologna.
Pagaj a Girolamo Bollini caffettiere della Fontana scudi tre per cibo somministrato al monastero in occasione che alloggiò da noi Monsignor Vicario Arcivescovile di Milano, come da lista.”

Era il momento in cui gli Agostiniani, così divisi al loro interno in gruppi di potere come abbiamo notato, stavano trasformando il loro convento duecentesco in un palazzo signorile, gli artisti che servivano i padri, e abitavano al momento dei lavori in convento, erano anch’essi gratificati con i prodotti del nostro Caffè. Com’è noto, la ricostruzione del convento venne iniziata dall’architetto cesenate Giuseppe Achilli di Cesena, allievo di Mauro Guidi, e il refettorio – che sorgeva dove attualmente è situato il Cinema Teatro Italia – fu dipinto dal pittore bolognese Pio Panfili.

Zuccaro, Cioccolato e Caffè per l’Architetto.
Adì 2 d.° [VII 1788] Pagaj a Frate Niccola Grossi Bajocchi novantanove per tanti spesi dal medesimo in due Libre di Cioccolata, in una libra di Caffè ed una Libra di Zuccaro il tutto servito per l’architetto Signor Giuseppe Achilli […]
Caffettiere Bologna lista saldata
Adì Primo Maggio 1791. Pagaj il Caffettiere Francesco Curti Scudi Sei e Bajocchi trentotto, e Denari Sei a saldo di una lista per Caffè, Zuccaro, Paste, Bibite il tutto servito per il Pittore Signor Pio Panfilli.”

Dal Caffè Bologna o della Fontana, gli Agostiniani acquistavano anche il famoso Vino di Cipro che Meldini, nel testo citato, descrive come specialità del locale “ottenuto da uva lasciata infradiciare e invecchiato in bottiglia, al buio, per almeno tre anni Di questo singolare vino, dal caratteristico ‘odore, o puzzore che dir vogliamo’, di teriaca, parla Giovanni Antonio Battarra nella Pratica argraria (1778)“.
Gli Agostiniani usano il vino di Cipro proprio come una “teriaca”, il farmaco miracoloso per tutti i mali, preparato in una cerimonia pubblica e solenne nei cortili delle università, la più vicina a Rimini era l’Archiginnasio di Bologna, che doveva essere in realtà un potente veleno, per curare la malattia e calmare l’agonia di uno dei loro priori.

Caffettiere Bologna Cipro per il Padre Priore Fedeli
Adì d.° [10 I 1788] Pagaj al negozio Bologna Scudi dieci per Cipro al padre Priore Fedeli Compresavi un’altra lista per robba servita per il padre generale come da lista, e Confesso. […]
Caffettiere Bologna Cipro per il Padre Fedeli
Adì 7 Marzo 1788 Pagaj al Caffettiere Bologna Scudi due e Bajocchi quindici a saldo di una sua lista per tanto Cipro, dato al Fu Padre Priore Fedeli come da suo Confesso.”

Ma il Caffè della Fontana non era stato probabilmente il primo ad aprire i suoi battenti a libretto, alla bolognese, in piazza della Fontana. Sotto il portico del palazzo che chiamiamo impropriamente Garampi – era chiamato Palazzo pubblico o palazzo del Governatore e della Comunità – i consiglieri nobili avevano, a pian terreno, uno spazio per conversazioni, giochi e ricreazione di loro esclusiva competenza, il Ridotto dei Nobili. Proprio mentre in Francia stava per scoppiare la Rivoluzione Francese, a Rimini il Consiglio Generale emetteva decreti di proibizione di matrimoni tra nobili e borghesi, che venivano bellamente ignorati perché si dava spesso il caso di un nobile spiantato che sposava una donna di una ricca famiglia borghese. Nello spazio privilegiato del portico comunale si affacciava a date precoci quello che verrà chiamato il Caffè dei Nobili, e che in seguito si sposterà in altri luoghi.
In occasione del passaggio dei nobili veneziani nipoti di papa Rezzonico – Clemente XIII 1758-1769 – la nobiltà riminese, il 25 novembre 1760, offrì agli illustri ospiti un ricevimento con bevande e cibi e giochi tipici di un caffè; lo ricorda il dottor Giovanni Bianchi, alias Jano o Giano Planco:

La sera furono alla pubblica conversazione fatta loro in questo nostro pubblico Palazzo, che è una fabbrica magnifica, che era tutto ben illuminato dentro, e fuori, e furono serviti d’ottimi rinfreschi di frutti gelati di varie sorti, e di copioso cioccolatte caldo, e gelato, e si fecero molti tavolini da gioco.” (7)

Il dottor Bianchi era goloso di cioccolata, che si faceva offrire dai suoi ospiti e che si concedeva nella propria casa di via Tempio Malatestiano, dove teneva aperti i suoi musei, però la bevanda americana gli procurava l’inconveniente del cagotto, per curare il quale prendeva una o due pillole di oppio.

Il Caffè dei Nobili riservato agli “Illustrissimi” e alle loro cigliose consorti, si sposterà nel Corso d’Augusto, ma perderà ogni privilegio sociale con l’arrivo delle truppe francesi di Napoleone nel 1796. I privilegi avevano in teoria stufato già l’abate erudito, idraulico, agronomo e botanico di fama, e pittore (8) Giovanni Antonio Battarra aveva criticato con molta ironia i privilegi e le manie nobiliari prossime a scomparire, almeno per un po’ di tempo:

Rimino 21 Aprile [1779?]
Sta qui in attenzione d’una Comedia intitolata il Caffè dei Nobili, e già se n’è penetrato l’Autore.
Rimino ha fra le due Piazze oltre il Caffè dei Nobili, il Caffè della Cittadinanza e Nobiltà, quello degli Artieri, e quello della Plebaia, oltre altri, e tutti probabilmente si vorranno divertire.” (9)

Il Caffè della Fontana in periodo repubblicano e imperial-regionapoleonico 1805-1815
La Rivoluzione Francese, com’è ben noto, inizia nel 1789 e attraversa diverse fasi di trasformazione costituzionale fino alla decapitazione del re Luigi XVI nel gennaio del 1793, con il governo dei Giacobini, e all’istituzione della repubblica. Con l’istituzione del Direttorio, un governo liberale moderato, l’ex giacobino generale Bonaparte nel 1796 entra in Italia e sconfigge gli eserciti piemontese, austriaco e pontificio. Nel 1799 i Francesi arrivano a Napoli. La Romagna e Rimini entrano a far parte della Repubblica Cisalpina. Rimini fa parte nel Dipartimento del Rubicone. I Francesi, pur essendo ormai in una fase post rivoluzionaria, eliminano ancora i privilegi della nobiltà e annientano il clero regolare, chiudendo monasteri e conventi, maschili e femminili, e incamerandone i ricchissimi beni mobili e immobili. I nobili che hanno perduto il titolo e molti borghesi si arricchiscono acquistando i beni delle congregazioni religiose soppresse. Ma il clero secolare non viene toccato e numerosi prelati si avvicinano a Napoleone che li protegge e li aiuta.
Intanto però tutti si fanno chiamare “cittadina” e “cittadino”. E le istituzioni politiche si ispirano a quelle dello stato francese.
Quando Napoleone si farà eleggere imperatore dei Francesi nel 1804 e l’anno dopo si incoronerà a Milano re d’Italia, la Repubblica Cisalpina farà parte del Regno d’Italia. Si salutano di nuovo i Signori e le Signore e non si dimenticano i titoli nobiliari. Si forma una nuova classe di nobili, anche se i privilegi dell’antico regime non vengono sostanzialmente ripristinati. A dominare in città ora e in seguito sarà la ricca borghesia, non aliena a mascherarsi con titoli nobiliari. C’è una breve parentesi di potere austriaco nel 1800, subito fatta finire dal ritorno dei Francesi.
Dal 1805 al 1815 Rimini fa parte del Regno d’Italia napoleonico.

Malgrado i costumi fossero diventati meno rigidi e formali, la frequentazione del caffè era proibita alle donne e ai preti:

“20 detto [febbraio 1810] Il Signor Don Antonio Bernardini ha avuto una bravata dal Vescovo, e proibita di andare più al Caffè, altrimenti agli esercizi.” (10)

Il vescovo puniva i suoi preti con multe e anche con periodi di confino, dieta e preghiera nel convento dei Cappuccini di Montefiore.
I Francesi oltre alle leggi rivoluzionarie introducono anche un gioco d’azzardo, che prende posto nei caffè, ma anche nelle case: la “Rolina”, cioè la ben nota roulette. Seguono quasi subito le prime proibizioni, come questa del vice prefetto Luigi Pani, un personaggio politico riminese molto importante dell’età napoleonica e poi della Restaurazione. Nicola Giangi lo registra nella sua cronaca; ma, si noti, insieme al brodo caldo proposto in tempo di neve al Caffè della Fontana:

15 detto [dicembre 1810] In questa sera si è incominciato a giocare nel caffè di Piazza della Fontana adobata magnificamente la Rolina, ma pochi giocatori si vedono.” (11)

17 d.°[gennaio 1811] Neve. Sono quattro giorni che fa neve, ma piccola; ora gelo. Nel caffè della Fontana la mattina si dà la Zuppa in Brodo in Tondini, e si spende una Bajocchetta. Il Vice Prefetto Panni [Luigi Pani] ha proibito si giochi la Rolina nel Caffè della Fontana.” (12)

La roulette proibita nel caffè era emigrata in una casa provata:

8 d. [febbraio] 1811. La Rolina si gioca in casa Casetti dandole per affitto di resi Annuo Scudi 150.

Nicola Giangi il 25 maggio 1811 è colpito da una paralisi; nella scrittura del diario lo sostituisce il figlio Filippo. Il nuovo cronista, che era anche cantante e maestro di canto, segnala un colpo apoplettico, ma più grave, capitato a Teresa Curti, proprietaria o gestrice del caffè:

25 7bre 1812 Morte della Curti. Alle ore 6 è parimenti morta la Signora Teresa Curti Caffettiera della Fontana di un colpo appoplettico nella propria Bottega sull’istante.” (13)

Il Caffè della Fontana durante la Restaurazione, locale in odore di Liberalismo 1815 -1859
Nel 1820 conosciamo il nome di uno dei gestori del caffè che precede il Caffè del Commercio, collocato proprio nella sede ottocentesca e novecentesca di quest’ultimo, in palazzo Galli, fino al secondo dopoguerra. Si chiama Antonio Contini. Il palazzo Galli di piazza della Fontana poi Cavour semidistrutto nell’ultima guerra, in parte è ancora esistente:

Il Caffettiere Antonio Contini, che ha la sua ben finita Botega in Piazza della Fontana sotto alla Casa del Signor Pietro del fu Francesco Galli Angelini, ha aperto vari Camerini attigui alla sudetta Botega con Bigliardo molto decente ed annesso bigliato con vero lusso e pulizia. Abbiamo sette botteghe di Caffè in Rimino, ma con 5 Bigliardi, ma questo di Contini anche per la situazione è il più frequentato.” (14)

Forse per i giochi d’azzardo proibiti, come ipotizza Meldini, o forse per la tolleranza di discorsi politici sovversivi, Antonio Contini, nell’estate del 1828 è posto agli arresti domiciliari.

Dopo la sconfitta di Napoleone, papa Pio VII nel 1815 è tornato nei suoi stati e, malgrado un primo momento di politica moderata gestito dal suo segretario cardinale Ercole Consalvi, i governi pontifici diventano sempre più reazionari, e cercano di ripristinare la vecchia società nobiliare e clericale. Soprattutto in Romagna vengono mandati prelati reazionari come Tiberio Pacca, che appena arrivato abolisce gli ingegneri comunali, affidandone il compito ad un corpo di ingegneri che devono operare a Forlì, probabilmente per un controllo maggiore delle spese comunali.
Subito, in Italia, in Europa e nelle Americhe i borghesi, gli ex ufficiali napoleonici, qualche nobile liberale formano i gruppi di resistenza liberali, nazionalisti, che dopo il il 1830 danno vita ai democratici, e dopo il 1848 ai radicali e ai socialisti e comunisti e ricominciano le rivoluzioni.

I primi moti del 1820-1821, sono anticipati a Rimini dalla manifestazione violenta di malumori borghesi antinobiliari, registrati da Filippo Giangi proprio nel Caffè della Fontana. Un pretesto piuttosto futile, due giovani nobili perdigiorno vogliono umiliare una cantante, la “Signora Anselmi”, non compiacente, facendola fischiare sulla scena. La cosa è risaputa e i borghesi prendono partito per la cantante.

1821 30 1.°. Nel foglio di Bologna evvi un Articolo Teatrale contro questo nostro spettacolo e specialmente contro dei Virtuosi e del Clarino Signor Corradi con de’ motteggi insolenti. Ma simile infamità succede a tutti generalmente, benché se ne conosca i fautori che sono quegli stessi dichiarati contrari alla prima attrice Anselmi in unione a certo Signor Majnardi di Argenta qui venuto in impiego precario, giovane poco conosciuto ed amante della della seconda donna Madametta Ruggieri.
Quest’articolo ha fatto nascere un mormorio generale in ogni adunanza ed una forte e lunga quistione nel pubblico Caffè della Piazza della Fontana fra il Signor Conte Luigi Ricciardelli (uno de’ fautori e capo del contrario partito) ed il basso Rajmondo Onesti provocata ed insolentita dal primo con modi trivialissimi ed ineducati (proprietà del provocante) di modo che riempito il Caffè di persone frementi contro il Ricciardelli, la Pulizia fece raddunar fuori varj suoi soldati Carabinieri coll’ufficiale dentro il caffè, per evitare a qualunque disordine; ma tale contesa ha continuato poi quasi due ore e terminato con le sole ingiurie giacchè furono raddoppiati i fraseggianti poi condotti altrove.”
In seguito alla lite si ebbero affissioni di “satire”: “nobili infami sarete tutti trucidati. Carabinieri attenti.” (15)

Il gestore del Caffè doveva fare i conti con la polizia che lo voleva come spia del governo e i clienti di orientamento liberale, per cui a volte veniva punito per qualche reticenza, oppure, forse, per aver evitato di denunciare i liberali.

5 luglio [1828] Improvvisamente alle 9 furono posti in arresto in casa per 24 ore Antonio Contini e L. Galvani Veronese qui da più anni ambo caffettieri e chiuse le rispettive botteghe fino a nuov’ordine.” (16)

Gli splendidi interni della Pasticceria Vecchi di fine ‘800. Foto Paritani, da “La fatica, la volontà e l’orgoglio: cent’anni di vetrine a Rimini”. Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga.

La nuova rivoluzione in Francia del 1831, che allontana dal trono gli eredi di Luigi XVI e affida lo stato a re Luigi Filippo di Orleans, ha ripercussioni anche da noi, nello stato pontificio. Un governo rivoluzionario autonomo emiliano romagnolo con sede a Bologna viene rovesciato dopo pochi mesi dalle truppe austriache, che inseguono l’esercito ribelle in ritirata verso Ancona. L’avanguardia austriaca e la retroguardia italiana si scontrano alle Celle. I “nostri”, guidati da ufficiali napoleonici, si comportano egregiamente. Ma gli Austriaci sono furiosi e vorrebbero mettere la città a ferro e fuoco. E’ la sera, o la notte, come scriverà Giuseppe Mazzini, del 25 maggio 1831.
Filippo Giangi, quasi conquistato dai liberali ribelli, dopo aver affidato al suo diario una soddisfatta descrizione dell’improvvisa rinascita della città che aveva abbandonato il governo pontificio, e trasmesso anche la successiva angoscia della popolazione in attesa dell’entrata delle truppe austriache, nota una novità proprio al Caffè della Fontana, che testimonia il perdurare dello spirito di ribellione se non rivoluzionario della gioventù liberale riminese – la frase traballa un poco -:

12 Giugno 1831 Ieri sera comparve al Caffè della Fontana una donnetta sola con una Chitarra Francese avendo chiesto il permesso alla Pulizia, come l’aveva ottenuto anche nelle altre città da Bologna fino qui, e si mise francamente a cantare una Canzonetta tutta di sentimenti liberali, piena di frasi eccitanti la gloria, la libertà, l’unione d’Italia, la morte ai patroni (termine esprimente quelli di massime contrarie al liberalismo) [‘padroni’ è un termine d’antico regime che indicava il papa e i prelati del governo pontificio] evviva la libertà e l’unione dei Bolognesi (abbenche questa unione intrisecamente di quelli non vi sia stata perchè pochi vicini corsero alle armi anzi in numero minore di tutte le altre città, e furono i scolari che tutti volontari, uno a due solamente nel numero di 600 si rifiutò, coperti di villanie e dispregi, da tutti gli altri, che fecero il maggior clamore e si recarono alle armi a difesa della oppinione libera che nelli passati mesi correva.

A questo canto mal eseguito si unì molta gente e mise dell’orgasmo nella gioventù, forsi prevenuta, che al fine fece echeggiar di gioia, d’ evviva, fu condotta subito agli altri Caffè e Boteghe di riunione, rimediandosi quantità di popolo, mentre tanti altri che erano fuori, come sera festiva, al sentir quelle frasi, chi paurosi, chi indispettiti si ritiravano prudentemente alle proprie abitazioni; finì bene la scena e da 18 a 20 giovani fu condotta questa donna a cena in un’Osteria ove furono consumate in canti d’allegria, varie altre ore.

Terminato il canto ai Caffè verso un’ora e mezzo di notte 10 o 12 Borghigiani di S. Bartolomeo del basso ceto vennero in città cantando le solite canzoni liberali (sairà [ça ira], Carmagnola, Chi per la patria more, bellissimo coro nella Donna Caritea di Mercadante) e unitosi con molti altri di città, fatti vari giri per la strada maestra e piazza, i portarono tutti uniti a solenizzare la pace stabilita all’Osteria fuori la porta S.Andrea. Anche quell’allegria terminò senz’alcun disordine, ma il timore nelle persone oneste e indifferenti non è lieve in questa città.” (17)

In agosto, il Giangi rivela una sorta di alleanza rivoluzionaria delle classi di età, nominando un certo Francesco Crespiani “vecchio podragoso di 74 anni che non si può movere e che fa conversazione sempre al Caffè della Fontana.” (18)

Ma la città è presidiata da truppe pontificie: Carabinieri, Svizzeri, Volontari, che hanno abbattuto l’Albero della libertà – una sorta di palo ricoperto di fasce tricolori con bandiere rivoluzionarie e un berretto frigio, simile al corno dogale, in cima – e al suo posto hanno posizionato due cannoni caricati e volti verso la popolazione. E vicino al Caffè del Contini, che verrà chiamato del Commercio, non per caso forse era stata posizionata anche la banca delle punizioni.
Non mancavano le manifestazioni tacite contro la repressione da parte della borghesia.

Sotto il 28 giugno 1831, il Giangi racconta lo sbarco da un brich, o barca a vela francese. I Francesi erano stati accolti con simpatia perché rappresentanti della nazione che aveva iniziato la rivoluzione:

Varie nostre donnette d’estrazione civile cioè due Brunelli, la signora Rosa Carlini, la Bornaccini, la Corsi tutte di fresca età e chiamate patriotte furono per tempo dopo le 4 ore a bordo del brich francese che furono bene accolte e a norma dell’uso francese anche bacciate. Ieri sera nel Caffè della Piazza Fontana [oggi Cavour] vi si fermarono vari nostri concittadini con le loro mogli e donne e si rinfrescarono con gelati unitamente dato trattamento dai primi ai secondi; i francesi generosissimamente concambiarono la gentilezza col fare pubblicamente il rinfresco a tutti i circostanti seduti dentro e fuori del Caffè, avendo fatto servizio di ponc, limonate, e gelati a tutti, che nel momento si presentavano in quel pubblico luogo.”

Ma il mese successivo nella piazza davanti al Caffè del Contini sotto la casa Galli verrano puniti sulla banca tre adulti e due ragazzi sorpresi dopo la mezzanotte del 12 luglio e arrestati:

tre bardassoni discoletti del volgo e due ragazzetti furono severamente scopolati.”

Non si punivano subito i giovani nobili, ma i giovani del popolo ad esempio dei primi.
Il 3 agosto 1831:

“Il Caffè del Contini sulla detta piazza sotto la Casa Galli dove dirimpetto è piantato il mobile destinato a sì barbara vendetta, fu chiuso all’Avemaria e nessuno si vide poco dopo a camminare per quella piazza, cosa che reca non live danno atutti gli abitanti bottegai in quella e vicina situazione.”

Nel 1845, a Rimini Pietro Renzi guida un moto rivoluzionario che rimane isolato e dura un paio di giorni, per poi rifugiarsi a San Marino e in Toscana.
Nello stesso anno al Caffè della Fontana era successo un grave incidente:

23 detto [marzo 1845] Bellissima giornata ma fresca assai. Irriflessivamente scherzando con un fucile da caccia a cui aveva levata la munizione il giovane Caffettiere della Fontana, che è un pesarese, tirò in viso all’altro giovane suo amico Angelini figlio di Domenico farmacista e lo colpì in un occhio con un pallino rimasto che restò cieco.” (19)

Il momento più esaltante delle rivoluzioni ottocentesche europee e italiane fu il 1848, prima con l’elezione di papa Pio IX nel 1846, e le sue riforme politiche presto insufficienti, di seguito con la Repubblica Romana, governata da Mazzini, con Garibaldi a capo dell’esercito. Poi la reazione riprese il sopravvento, questa volta con le truppe francesi, e il governo pontifico riprese possesso della città fino al 1859.
La società dirigente riminese della Restaurazione però non era stata inattiva, nel 1840 aveva eretto la Cassa di Risparmio, e nel 1842 era stato fondato lo Stabilimanto Bagni dal borghese Raffaele Tintori e dai conti Alessandro e Ruggero Baldini, che lo gestirono fino all’inizio degli anni ’70. Nel 1842 la progettazione del nuovo Teatro Comunale era stata affidata all’ultimo dei grandi architetti pontifici, il modenese Luigi Poletti che lo terminò nel 1857.

L’inventario del Caffè di Antonio Grandi in piazza Sant’Antonio sotto a casa Zandri 1851
Con un po’ di tempo e pazienza, nei regesti notarili si potranno trovare degli inventari settecenteschi ed ottocenteschi del Caffè della Fontana. Al momento nelle mie ricerche non sono riapparsi e ci si deve accontentare di un inventario del 1850 in un regesto dell’anno seguente, di un grande caffè di piazza S. Antonio o piazza grande, appartenuto al noto Antonio Grandi, e di una altro inventario, più tardo, del Caffè della Speranza.
Un inventario del Caffè della Fontana potrebbe essere simile a questo che segue. La lettura degli inventari è emozionante per chi ama la scrittura notarile – le emozioni delle sorprese a matrioska: nel palazzo c’è una stanza, dentro la quale si appoggia al muro un canterano, aperto il primo cassetto si trova una scatola, dentro ci sono i seguenti oggetti… – e apprezza quindi i romanzi di Georges Perec come La vita istruzioni per l’uso (1978).

L’inventario in formato pdf.

L’inventario del caffè della Speranza 1874
L’inventario del Caffè della Speranza del 4 giugno 1874 fa parte di un contratto di affitto, steso dal notaio Luigi Casaretto, interessante figura di agente per il progresso economico, tra il proprietario conte Carlo Graziani Cisterni – erede del conte Giovanni Cisterni, proprietario delle miniere di zolfo di Perticara e della fabbrica di acido solforico sul porto di Rimini – e il conduttore o locatore Andrea Balducci – Giuseppe Balducci e figli -. E’ certamente un caffè di lusso, con arredi e oggetti di servizio di prima qualità, le posate in gran parte sono d’argento.
Il Caffè era nel palazzo Tingoli di piazza Tre Martiri: “al piano terreno del palazzo di ragioni ereditarie Cisterni, e cioè tre N.° 3 Ambienti che hanno l’ingresso sulla Via Corso di Augusto, altra Camera a cui si accede dalla parte della Piazza S.Antonio o Giulio Cesare, più altri quattro ambienti nell’interno, comprensivamente a quello che ha la porta nel cortile maggiore del detto Palazzo. Inoltre un altro ambiente che è nell’interno del palazzo stesso, ad uso di magazzino”. (21)
Di grande interesse la “Macchina a vapore di rame per Caffè”, inventariata al n. 110. Siamo nel 1874, dieci anni prima del primo brevetto italiano per macchina a vapore per produrre caffè.

L’inventario in formato pdf.

1 – continua

NOTE

1) Archivio di Stato di Rimini [d’ora in poi ASR], Archivio Notarile [d’ora in poi AN], notaio Giambattista Urbani, Atti, n. 3988, cc.215 e ss.

2) Biblioteca Oliveriana di Pesaro, Archivio Storico Comunale di Pesaro, Congregazione affari pubblici, II c 6, cc. 262 v.-263.

3) ASR, AN, notaio Amadio Vincenzo Brilli, Atti, 4290.

4) ASR, Archivio Notarile [d’ora in poi AN], notaio Francesco Perazzini, Atti 1826 II, Inventario dell’eredità del Signor Canonico Luigi Borghesi, 10 IV 1826.

5) Da non confondere col “Caffè del Bolognese” situato in piazza Maggiore, attuale Tre Martiri, nella Cronaca riminese, di Luigi Tonini, Ghigi, Rimini 1979, p. 35.

6) ASR, Congregazioni Religiose Soppresse, Agostiniani [ARS,A], Esito del Deposito 1784-1795, AB 238, sotto le date.

7) Bibiloteca Alessandro Gambalunga di Rimini [d’ora in poi BAGR], Giano Planco, Minute di lettere dal 1731 al 1760, SC-MS 966, sotto il giorno 25 XI 1760.

8) Giovanni Rimondini, Falsari, imitatori e…”pittori di penna”, in “Ariminum”, a. XII n.6 XI-XII 2005.

9) Biblioteca Comunale di Forlì Aurelio Saffi, Raccolte Piancastelli, Carte Romagna, Giovanni Antonio Battarra, Lettera all’avv. Ludovico Cortellini di Cortona, 39-20.

10) BGR, Nicola Giangi, Cronaca riminese dal 1782 al 1846, II, SC-MS 341, c.2.

11) BGR, Ivi, c.8; Piero Meldini, cit.

12) Ivi, c.8 v.; Piero Meldini, cit.

13) Ivi; Meldini cit.

14) Ivi, c.192; Meldini cit.

15) Ivi, c.198

16) BGR, Filippo Giangi, Cronaca cit., III, SC-MS 342, c 76 c.; Meldini cit.

17) Ivi, cc. 181.181v.; Meldini cit.

18) Ivi, c.212.

19) Ivi, cc.120, 134.

20) vedi all’interno del primo inventario.

21) ASR, AN, notaio Luigi Casaretto, 1874, r.n. 5263 cc. 649 e ss.

Fotografia d’apertura: il Caffè Commercio e la pasticceria Vecchi in piazza della Fontana, oggi Cavour. Collezione di cartoline Mauri, archivio fotografico Biblioteca Gambalunga Rimini.

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