Il conte Alberto Mattioli, patrizio riminese

Il conte Alberto Mattioli, patrizio riminese

L'epigrafe funeraria nella chiesa di Sant'Agostino apre alla scoperta della storia di Rimini poco nota.

ALBERTO. NICOLAI. F(ILIO). MATTIOLIO. COM(TI)
DOMO. ARIMINO. PATRICIA. NOBILITATE
VIRO. IN. EXEMPLVM. INTEGRO
DIEM. SVVM. FVNCTO. NON(IS). FEBRVAR(IS). ANN(O). MDCCCLIII
AETAT(E). XLVII. MENS(VM). VIII
ITEM. EDVARDO. FILIO
IVVENI. INDOLIS. EGREGIAE
QVI. CVM. PISIS, STVDIIS. LITTERAR(IIS). INCVMBERET
IMMATVRO. FATO. EXCIDIT. X. KAL(ENDIS). AVG(VSTIS). EIVSD(EM). ANNI
AETATIS. SVAE. XVII. MENS(VM). IX
ALOISIA. LETIMI. VXOR. ET MATER. INFELIX
CVM. CONSTANTIA. BLANCA. ET. CLAVDIA
FILIABVS. MOESTISSIMIS. F(ACIENDVM). C(VRARVNT)

LUISA LETTIMI, MOGLIE E MADRE INFELICE, CON LE FIGLIE MESTISSIME COSTANZA, BIANCA E CLAUDIA ERESSERO QUESTO MONUMENTO AL CONTE ALBERTO FIGLIO DI NICOLA MATTIOLI, PATRIZIO DI RIMINI, UOMO NEI FATTI INTEGRO, MORTO IL 5 FEBBRAIO 1853. DI ANNI 47 E 8 MESI; E AL FIGLIO EDOARDO CHE MENTRE PERSEGUIVA STUDI LETTERARI A PISA, PER IMMATURO DESTINO MORI’ IL 10 AGOSTO DELLO STESSO ANNO, AVEVA 17 ANNI E 9 MESI

La chiesa di Sant’Agostino non finisce mai di meravigliare, ed è per questo che vale la pena di continuare a praticare il suo interno per scoprire inedite notizie della Rimini antica, pure perché quelle recenti sono abbastanza noiose e insipide. E ugualmente questa volta faremo una scoperta che si ricollega ad un altro importante monumento cittadino; ma non vogliamo svelare anticipatamente nulla, ci arriveremo per gradi.
Dopo una breve attesa ecco giungere Gianni Rimondini, che saluto come sempre, e che mi guida verso una nuova epigrafe che mi indica con la mano e subito esordisce: «Guarda Salvatore, quello è un cenotafio, ossia l’epigrafe funeraria onoraria senza il sepolcro, perché la tomba dei Mattioli era nel cimitero napoleonico di Rimini. Un ricordo di Alberto Mattioli, morto il 5 febbraio 1853 a Pisa dove stava vistando il figlio studente di lettere Edoardo, che – peraltro – morì anch’egli il 21 luglio dello stesso anno.»

Ebbero entrambi una triste sorte direi, quasi concomitante.
«Devi sapere che in una lettera dell’architetto Luigi Poletti, conservata in Gambalunga, a Maria Graziani Cisterni, parente dei Mattioli – le poche decine delle famiglie importanti di Rimini, che vivevano principalmente di rendita fondiaria, erano tutte imparentate – troviamo: “Anche il caso della Mattioli [Luisa Lettimi Mattioli vedova e madre] desta molta compassione. Poco fa perdette il marito e ora il figlio.” La famiglia Mattioli, scrive Luigi Pani del 1823, “alla metà del secolo scorso fu aggregata al Ceto Patrizio di Rimini.” Nel 1823 esistevano due rami: quello di Domenico nipote di Giacomo e quello di Alberto “in età minorile”. Il primo ramo “vive con lustro ed ha molti beni di fortuna”, il secondo “è fornito di mezzi”.»

Ascolto con attenzione, e mi rimane impresso nella mente il nome di un personaggio assai noto a Rimini, ma per ora proseguo, lo svelerò in seguito, e chiedo approfondimenti circa chi fosse Alberto Mattioli.
«Il conte Alberto Mattioli era un patrizio riminese. Come lo zio, che aveva fatto parte durante l’antico regime del Consiglio Generale di Rimini. Durante la Restaurazione lui era uno degli amministratori di Rimini, che facevano parte del Consiglio assieme ad una minoranza di consiglieri borghesi. A turno assumevano il compito di essere Gonfalonieri – sindaci – e Anziani – giunta – nominati e controllati da un Governatore a Rimini e dal Cardinale Legato a Forlì.
Ma i tempi politici nuovi si facevano sentire anche nelle classi alte di Rimini. Alcuni membri di esse si erano compromessi con le rivoluzioni degli anni ’20, ’30 e ’48. L’allora papa Pio IX, era fuggito a Gaeta e Mazzini, Armellini e Saffi avevano proclamato la Repubblica Romana, stroncata dai Francesi malgrado la resistenza armata di Garibaldi.
Non so dirti che posizione assunsero i Mattioli in quei frangenti, ma in ogni caso i parenti rivoluzionari come i Lettimi, quelli della moglie Luisa – sai nella società alta erano tutti imparentati – li avrebbero protetti, e i patrizi sanfedisti e papalini avrebbero protetto i parenti compromessi con la rivoluzione. Salvo il caso del marchese Gianmaria Belmonti portato dagli Austriaci nel carcere di Pest, morto poi suicida o suicidato; tanto per far sapere ai patrizi che certe scelte si pagavano.
Comunque sia anche nella Rimini nazionale, dopo il 1860 al governo amministrativo della città trovi le stesse famiglie o le famiglie che la hanno sostituite per esaurimenti e matrimoni, con i sindaci nominati dal prefetto di Forlì.»

Dopo avere conosciuto molto di più sui Mattioli e ciò che accadeva nella società di allora, che era coinvolta dai grandi travagli che poi culmineranno con l’unità d’Italia, ritorniamo sull’argomento. Gianni chi progettò il cenotafio?
«Il progetto dell’elegante cenotafio si deve al Poletti».

Al Poletti, interrompo, ecco il nome del personaggio che avevo colto in precedenza; colui che progettò il Teatro cittadino?
«Sì proprio lui, ultimo dei grandi architetti pontifici, che assegnò allo scultore suo amicissimo Pietro Tenerani la realizzazione del bel bassorilievo, che sembra romano antico. Osserva la composta scena: Luisa seduta su una sedia, circondata dalle tre figlie superstiti, serenamente piange. Nota pure come l’Angelo della Morte le fa segno di rassegnarsi, mentre i due defunti si avviano verso l’Ade, certamente interpretato come il Paradiso. Ma qualche prete deve avere storto il naso», conclude con l’abbozzo di un sorriso.

Ma Pietro Tenerani non è anche l’autore del grande busto del Poletti che orbava il teatro? E qui il doppio filo che lega i due grandi del passato, tra l’epigrafe e l’importante monumento.
«Sì e oggi non sappiamo che fine ha fatto questo busto a grandezza oltre il naturale. Si fa strada la solita impressione che i politici e i loro tecnici che hanno riempito il teatro di ciaffi come un gigantesco ippogrifo, non abbiano un minimo di cultura vera, storica, non superficialmente felliniana, da informarsi sul busto del Poletti e da capire il valore di una scultura del Tenerani».

Sai Gianni, a tal proposito vorrei entrare nell’argomento se mi permetti. Tempo fa una nota ditta operante nel campo alimentare della distribuzione, indisse un concorso col fine di recuperare un’opera d’arte. Ebbene tra le due in lizza, la statua del Poletti e il dipinto “Resurrezione di Lazzaro” del pittore Francesco Zaganelli, ospitato all’Istituto Biblioteca Classense, vinse quest’ultima; e forse anche meritatamente.
Ma il punto sta nel fatto che a Rimini sono piovuti fiumi di denaro spesi assai malamente per opere squallide, improbabili, e avvilenti la nostra cultura; penso al finto mesto rinoceronte, e non solo, tanto per capirci. E il fatto di non avere voluto destinare risorse ad un elemento così parte integrante del nostro Teatro, piuttosto che affidarlo ad una sorta di “lotteria”, porta diritto alla tua considerazione a riguardo della totale assenza di una basilare cultura, da parte di politici che invece si arrogano pure competenze peculiari di quel settore. Meglio confinarlo in qualche angusto anfratto classificato come “magazzino museale”, ove giacciono importanti testimonianze tante e tali da ampliare il nostro pur bel museo, che rimarranno per sempre oscurate alla vista ed al piacere dei veri estimatori.
Pensa che in un luogo come il Teatro Galli, nella bella sala finestrata al piano primo soverchiata dall’inquietante gigantesco ippogrifo, si servono aperitivi di quando in quando. Come dico sempre, e poi concludo, per fortuna che il Tempio Malatestiano non è di proprietà del Comune, se no oggi sarebbe l’ennesimo spritzificio; neologismo impuro, ma calzante della banalizzazione dei monumenti locali, ultima, e non solo, l’antica Pescheria avvilita a tavolata da mangiate fuori porta “de noantri”.
Ma dopo la divagazione torniamo al Mattioli.

Oltre alla villetta Mattioli a Riccione sulla quale hanno scritto i noti storici Fosco Rocchetta e Luigi Vendramin, esiste inoltre una villa Mattioli a Vergiano, già proprietà della Cassa di Risparmio di Rimini?
«È vero esiste ed è elegante e tribolato progetto di Luigi Poletti per il marchese Audiface Diotallevi, poi venduta ai Mattioli. Sula villetta Mattioli a Riccione, il dotto testo di Tosco Rocchetta e Luigi Vendramin, “Riccione nel Risorgimento, il villino Mattioli quartier generale dell’Armata Italiana a Riccione,” la Piazza ed., Misano Adriatico 2013.»

Gianni, ho letto notizie sull’ingegner Podestà Guido Mattioli, ma apparteneva alla stessa famiglia?
«Sì, Guido Mattioli, conte ingegnere e aviatore, fu podestà di Rimini dopo la podesteria di Pietro Palloni dal 1933 al 1939. A lui dobbiamo l’aeroporto di Rimini. Alessandro Catrani ha pubblicato da Panozzo nel 2014 “Il Conte che amava volare: la Rimini di Guido Mattioli.”»

Grandi personaggi che fecero cose veramente importanti per Rimini, ma che nessuno, o quasi, ricorda mai. Ma una ragione mi conforta: se costoro non hanno memoria per le grandi cose compiute da considerevoli personaggi, cosa resterà in futuro dei nostri attuali amministratori fautori di cosucce – ad essere benevoli – piuttosto mediocri? Lo dico a Gianni che annuisce sorridendo, e ci lasciamo con la promessa del prossimo proficuo appuntamento culturale.

In ultimo, cosa di non poco conto, debbo piacevolmente dare risalto al fatto che durante la visita ci hanno seguito due giovani, in composto silenzio ed assai interessati all’odierna “lectio magistralis”, e desideriamo sapere qualcosa che riguardi la loro presenza ed interesse.
Sono Claudio e Sara due studenti di un istituto superiore riminese. Affermano di essere usciti prima del tempo da scuola, per via dell’indisposizione di un docente dell’ultima ora e, avendo sentito parlare dei tesori che la chiesa in questione contiene, hanno approfittato dell’occasione per poterli vedere.
Si dicono molto interessati alle testimonianze artistiche presenti nella nostra città e, in questo caso, si sono uniti a noi. Sono soddisfatti di quanto ascoltato, perché risultato di alcune domande che loro stessi avrebbero voluto porre, ma proprio per questo non le hanno esplicitate.
Infine ringraziano per quest’opportunità; ma in realtà siamo noi, io e Gianni, a ringraziare loro per quella sensibilità dimostrata verso certi temi, e ci compiacciamo nel vedere che vi siano ancora ragazzi che invece perseguono certi veri valori, nonostante i falsi modelli propinati a iosa a cui sono sottoposti.
E a tal proposito Claudio e Sara ribattono che, a loro avviso, vi sia una mancanza da parte delle istituzioni tutte, preposte nel far sì che ciò avvenga.
Un piccolo episodio, ma che lascia ben sperare che le future generazioni imparino ad amare arte e cultura – vera – e non quella goffa paccottiglia spacciata per tale da improvvisati tuttologi. Grazie ancora a voi ragazzi, e speriamo che tanti altri vi seguano.

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