Ieri sera al Club Nautico ha svelato i segreti dei suoi trionfi: “famiglia, umiltà, obiettivi, allenamento, tenacia, rispetto”. Togliendosi alcune pietre dalle scarpe. E Il prossimo 24 settembre si tiene una regata in suo omaggio.
“Adesso bisogna vincerLa”: lo ha detto quasi sottovoce, con il suo fare sorprendentemente umile, chiudendo giovedì sera un entusiasmante incontro al Club Nautico, davanti a decine di giovanissimi velisti e ad altrettanti lupi di mare riminesi.
Parliamo di Massimiliano Sirena, Max per gli amici e per tutto il mondo, 46 anni dichiarati (ma li deve ancora compiere). E parliamo soprattutto di Lei, con la lettera iniziale maiuscola: la Coppa America, America’s Cup per chi l’ha (quasi) sempre detenuta, 166 anni e 35 edizioni.
Bisogna vincerLa. Lui l’ha vinta già due volte su sei partecipazioni, nel 2010 con Oracle e poche settimane fa con Team New Zealand. Oltre ad aver vinto con Luna Rossa una Louis Vuitton Cup, il trofeo che seleziona il challenger dell’America’s.
Adesso – cioè nel 2021, perché per i velisti autentici il tempo ha delle misure un po’ diverse da quelle dei comuni mortali – bisogna portarla in Italia. Farla vestire di tricolore.
Con Luna Rossa, che ha già lanciato la sfida a Team New Zealand: due punti nel mondo, praticamente l’uno agli antipodi dell’altro in ogni senso.
“Bisogna vincerLa”, ha detto Max giovedì sera dopo la proiezione di un emozionante filmato che raccontava il ritorno a casa del Team con la coppa, ed un’intera nazione in festa. “Parlavo con un amico e mi diceva: pensa che cosa succederebbe se la dovessimo portare in Italia…”: a quel punto Max si è lasciato sfuggire la frase fatale, un messaggio – perdonate il gioco di parole – da sirena incantatrice. Ma il fatto è che già ci si pensa, si accarezza l’idea, si cominciano già a stringere i primi nodi. Infatti Max ha parlato di “discorso interrotto a Cagliari”, dove Luna Rossa aveva il quartier generale quando ruppe non con la Cup ma con la cupola che l’ha governata negli ultimi anni. Un “discorso” che da un mese circa è già ripreso: pur essendo gli uni agli antipodi degli altri, i “defenders” neozelandesi e gli sfidanti italiani sono pronti a scrivere nuove regole, perché – ha detto Max – “dal 2010 ad oggi l’America’s Cup ha perso credibilità, perché Russel Coutts ha fatto scelte sbagliate, o per sbaglio o per presunzione…” Quali scelte? “Cambiare 23 volte il regolamento, le mosse a tavolino studiate per difendere il defender. Al decimo cambiamento Bertelli ha detto basta”. E adesso? “Il primo obiettivo è ridare credibilità al trofeo. La vittoria di Team New Zealand è il primo passo, il fatto che ci siano loro e come challenger Luna Rossa è una garanzia”. Quindi, nuove regole e probabilmente anche il ritorno ad un velismo più tradizionale, più di intelligenza e sudore, anziché sudore e velocità. Perché volare sull’acqua con i giganteschi trimarani che abbiamo visto a Bermuda, “è… una figata”, ammette Max, “ma la Coppa America aveva un format diverso, io sceglierei barche diverse da queste, se dipendesse da me…” Ed ecco che viene fuori la possibile soluzione, il ritorno ai monoscafi ma “performanti”, “senza la necessità di andare a 50 nodi a poppa e 35 di bolina”.
“Se dipendesse da me…”, ha detto Sirena come se non dipendesse (anche) da lui. E invece dobbiamo sapere che il futuro del trofeo più antico del mondo – nato quasi mezzo secolo prima delle Olimpiadi – dipende anche da lui, eccome. Perché a furia di sognare fin da piccolo (“dai tempi di Azzurra, ero un bambino, io volevo fare non il velista, io volevo fare la Coppa America”); a furia di sudare (“si comincia alle 6 del mattino con un’ora e mezza di palestra…”); a furia di provare, di allenarsi, di studiare, di osservare – persino dove vengono fabbricate le vele, studiando millimetricamente il loro taglio – a furia di regatare; e attenzione, “non ho mai avuto paura di fare anche lavori umili, quando mi chiamarono a Luna Rossa ed avevo già vinto un mondiale Match Race il primo giorno mi misi a spazzare con la scopa… poi ho fatto tutte le 14 regate della Coppa…”; quindi a furia di lavorare sodo, diciamolo pure, “farsi il sedere”, come ha raccomandato ai velisti in erba che lo guardavano estasiati; ecco, a furia di mettere assieme tutto questo, oggi Massimiliano Sirena da Rimini è uno dei pochissimi in grado di parlare con i più grandi designer del mondo, quelli che “disegnano” la velocità di una barca e che in genere parlano solo fra di loro in un linguaggio da iniziati. Max, da prodiere è diventato (anche) tecnico, top-manager, leader e sa parlare la lingua dei designer, con cognizione di causa.
Eppure, “nel mondo la fama dell’italiano è generalmente bassa, è visto come un burlone… io in 20 anni qualche sassolino dalla scarpa me lo sono tolto”. Infatti, Coutts l’ha voluto a Oracle, dove Max ha costruito con la famosa vela alare (o ala rigida) un trionfo di cui va orgoglioso; poi addirittura i “kiwi” l’hanno voluto, aprendo l’oblò del loro executive committee per la prima volta a un non-neozelandese.
Eppure ai tempi del Moro gli dicevano: “sei troppo piccolo, dove vuoi andare?”. “Basta volerle le cose”, spiega Max – ma poi torneremo sui segreti del suo successo.
Il nuovo corso dell’America’s Cup “è una promessa, e la promessa verrà mantenuta”; “l’obiettivo è di avere più partecipanti possibile, verranno fuori tanti nomi, più di quanti se ne possano aspettare”; “sto già parlando con tanti giovani, sicuramente ce ne saranno molti in un mio eventuale coinvolgimento per riprendere in mano il team” di Luna Rossa. E dàgli con la modestia…
Il 24 settembre prossimo il Club Nautico, in concordia con gli altri sodalizi velistici riminesi, promuove una regata in omaggio a Max Sirena: “sono onorato e vi ringrazio, basta che non lo chiamiate Memorial… Cerchiamo di fare del bene alla vela creando un collage fra le diverse realtà, più che una regata deve essere una festa del mare”.
Ci è rimasto in sospeso il discorso sui segreti del plurivincitore.
Sirena sorprende tirando in ballo anzitutto la famiglia: “i genitori devono avere voglia di tornare a fare i genitori, oggi invece «parcheggiano» i figli”. La sua esperienza è stata quella di avere avuto un padre severo ed esigente, ma che lo portava in giro per le regate, e l’aiuto anche della sorella. “Occorrono genitori che appoggino le scelte dei figli, anche se non sono precise ed esatte”: genitori che credano nei figli, diano motivazioni, sappiano correggere. Un ringraziamento anche “a mia moglie che mi ha sempre appoggiato e «tenuto in squadro»”. Gli amici e insegnanti, come Aldo Brunelli, che “mi hanno insegnato tanto”. “Il mio merito è la tenacia”; ma anche la competenza e il sapere tutto della vela, applicarsi a tutto, anche a ciò che apparentemente sembra secondario. “Non so se oggi un giovane sa mettere la scotta sul winch…”. Sapere essere curiosi di ogni tecnica, come l’impiombatura di una cima, ed avere la pazienza di imparare a farle, magari “in macchina sul sedile posteriore mentre mi portavano a una regata”. Sapere “cogliere ogni attimo di ogni regata per imparare qualcosa di nuovo, anche quando magari c’è bonaccia: ogni momento passato in acqua si può imparare”.
E soprattutto, “avere un obiettivo”: “se la coppa la faccio non per vincere, non la faccio”. Perché nell’America’s ci sono due certezze base: “il tempo non lo puoi comprare; se arrivi secondo sei ultimo”.
Con questo carico di conoscenze, esperienze, competenze, ha voglia Max Sirena di dire “diventare un bravo velista e un bravo tecnico lo può fare chiunque”. Ha voglia a dire “sono stato fortunato, mi sono trovato al posto giusto nel momento giusto, ma i treni passano poche volte e quelle poche volte bisogna prenderli”.
Sarà vero, ma a reggere la battaglia ci riescono in pochi – anche a causa “della molta invidia che c’è nella vela, a me hanno fatto di tutto per mettermi i bastoni fra le ruote”.
Ci riescono in pochi, come Max Sirena con il suo carico di forte umanità.
Umanità che non tutti i campioni hanno, anche se plurimedagliati come Ben Ainslie: “come persona vale meno di zero”.
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