Il Palazzo dei Baldini (già Garampi) di Rimini

Il Palazzo dei Baldini (già Garampi) di Rimini

Un approfondimento particolarmente interessante e che regala anche qualche novità importante, dedicato al palazzo della famiglia Garampi in piazza Grande o di S.Antonio, oggi Tre Martiri. Diventò famoso nel mondo degli ambienti scientifici e politici dell'Europa, delle colonie inglesi dell'America Settentrionale e delle colonie spagnole dell'America Meridionale dopo il 1752 e la pubblicazione del resoconto del calcolo del meridiano terrestre di Roma e del parallelo terrestre di Rimini. Pubblichiamo questo lavoro di Rimondini in un giorno particolare: oggi il professore compie 80 anni. Gli auguri di Rimini 2.0, che sono anche un sincero "grazie" per l'opera di studioso e appassionato ricercatore (oltreché per quella di insegnante), che conduce da tanti anni.

DEDICA

Dedico questo primo lavoro dei miei ottant’anni, dopo mezzo secolo che ho cominciato a incombere su Rimini, all’amico dottor Claudio Monti redattore capo di “Rimini 2.0”, e all’architetto Mauro Ioli Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, l’ente che ha a suo indiscusso merito un costante attivo interesse per Castel Sismondo, opera commissionata da Sigismondo Pandolfo Malatesta signore di Rimini a Filippo Brunelleschi, iniziata nel 1437, purtroppo al momento in cattive condizioni, ma in futuro è sicuro che sarà valorizzata da un sindaco illuminato come uno splendido monumento di prima grandezza del Rinascimento italiano, alla pari con il Tempio Malatestiano di Leon Battista Alberti. Castel Sismondo è l’unica opera ossidionale rimasta dell’immane architetto fiorentino con la novità assoluta di un fossato, “simile alle piramidi”, che anticipa di due secoli il fronte bastionato.

IL PALAZZO DELLA FAMIGLIA GARAMPI 1640–1817

IL CALCOLO DELL’ARCO DEL MERIDIANO DI ROMA – RIMINI DEI GESUITI RUGGIERO GIUSEPPE BOSCOVICH E CHRISTOPHER MAIRE (X 1750 – XI 1752)

Il palazzo della famiglia Garampi in piazza Grande o di S.Antonio – oggi Tre Martiri – diventò famoso nel mondo degli ambienti scientifici e politici dell’Europa, delle colonie inglesi dell’America Settentrionale e delle colonie spagnole dell’America Meridionale dopo il 1752 e la pubblicazione del resoconto del calcolo del meridiano terrestre di Roma e del parallelo terrestre di Rimini.
Palazzo Garampi era situato al punto esatto di incrocio del meridiano di Roma, un arco di meridiano che andava dalla Cupola di San Pietro alla foce dell’Ausa – O° 05′ -, e del parallelo di Rimini passante per il Palazzo Garampi, entrambi calcolati dai padri gesuiti Ruggero Giuseppe Boscovich e Christopher Maire tra l’ottobre del 1750 e il novembre 1752.

Pio Panfili, veduta della Piazza Grande o di S.Antonio di Rimini: alla sinistra della torre dell’orologio è visibile il palazzo Garampi nel 1790.

Il re di Portogallo Joao V per avere carte geografiche esatte al possibile del Brasile, si era rivolto al gesuita di origine ragusana Ruder Josip Boscovich (Ragusa Dubrovnik 1711 – Milano 1787) famoso matematico e scienziato. Ma il pontefice bolognese Benedetto XIV – Prospero Lambertini, papa dal 1740 al 1758 – affidò al Boscovich il compito di calcolare il meridiano di Roma con il collega gesuita irlandese Christopher Maire. L’operazione aveva tre obbiettivi: il calcolo geodetico del meridiano, la dimostrazione della forma della terra, se schiacciata ai poli, ipotesi di Isaac Newton, oppure rilevata ai poli, ipotesi dell’italiano Giovanni Domenico Cassini; e infine di preparare le coordinate geografiche della mappa dello Stato Pontificio.

Consiglio i ragazzi interessati per conoscere l’essenziale relativamente aggiornato dei personaggi storici italiani qui citati, la consultazione del Dizionario Biografico degli Italiani dalla Treccani on line.
Per esempio, BOSCOVICH, Ruggero Giuseppe di Paolo Casini in D.B.d.I. Vol. 13 (1971) on line.

Il palazzo Baldini ricostruito “com’era” dopo la guerra.

Le operazioni geodetiche servivano anche per disegnare le carte geografiche geometricamente precise. Dopo la pubblicazione della carta dello Stato Pontifico si ebbero analoghe misurazioni in Austria, Moravia, Ungheria, Piemonte e Pennsylvania.
Il metodo delle triangolazioni era stato inventato da Leon Battista Alberti per disegnare la pianta di Roma antica con strumenti visivi graduati per calcolare gli angoli e le misure di triangoli simili, collegati a diverse misurabili altezze, calcolando le misure incognite dei lati mediante il teorema di Talete.
Per calcoli di verifica venivano fatte osservazioni astronomiche, che non potrei nemmeno descrivere in questa sede, ammesso che le avessi capite, di parti ristrette del parallelo terrestre passante per un certo luogo. Analoghe operazioni erano già state condotte dalle principali accademie europee in diversi punti della terra, che alla fine portarono, come questa del Boscovich e Maire, alla conferma dell’ipotesi di Newton. Il meridiano di Roma partiva dalla cupola di San Pietro e il parallelo di Roma passava dal Collegio Romano della Compagnia di Gesù. A Rimini il meridiano terminava alla foce dell’Ausa, dove era stato posto un segno monumentale, mentre per calcolare il parallelo il Boscovich aveva scelto l’altana di palazzo Garampi, ospite del conte Francesco, fratello del futuro cardinale Giuseppe, alla presenza degli ‘scienziati’ e di cavalieri e dame di Rimini.

Il palazzo Baldini nell’immediato dopoguerra. La facciata con le finestre a edicola è rimasta in piedi e nell’ala a destra della torre è rimasto anche il cornicione.

In un Consiglio Comunale del 1874 – volume di quell’anno dei Consigli Comunali di Rimini in Archivio di Stato di Rimini, pagina 586 e seguenti – si discusse del rinvenimento “sotto la sabbia” della spiaggia, non meglio identificata, di due colonne, termini della misurazione del meridiano di Roma fatta dal Boscovich e dal Maire o sua “base trigonometrica”. Si trattava di due colonne di granito alte 5 metri. Le indagini erano state intraprese dagli ingegneri Davide Angeli e Giovanni Merloni su incarico di una “Deputazione Provinciale di Forlì”, come risulta da un allegato del 19 IX 1874, al fine di una compilazione di una carta topografica della Provincia. Su richiesta del prefetto, le due colonne, che erano state collocate in un magazzino comunale, vennero “affidate”, “offerte in dono” all’Ingegnere Provinciale. Non ho idea che fine abbaino fatto, ma non sarà difficile scoprirlo.
Con lo stato unitario nazionale il parallelo di Roma venne ricalcolato passando per Monte Mario.

I DUE PALAZZI GARAMPI DI RIMINI: IL PALAZZO GARAMPI SEDE DEL COMUNE E IL PALAZZO DEL CONTE FRANCESCO GARAMPI

I Garampi si erano inurbati provenendo da S.Lorenzo in Monte, come scrive l’attendibile Michel’Angelo Zanotti abituato ad usare i documenti. Il primo Francesco Garampi di Rimini ha dato il nome al palazzo comunale di Rimini, non perché fosse architetto o capomastro, ma assai probabilmente perché era il deputato comunale per la ricostruzione del cinquecentesco edifico danneggiato dal terremoto del 1672.
Il palazzo comunale di Rimini venne deciso già nel 1528, un prolungamento dell’Arengo fino alla Strada maestra – ossia il corso di Augusto -, il progetto prevedeva la distruzione di un intero isolato con la chiesa di San Silvestro, una spesa gravosissima decisa dai “gentil’huomini” a spese dei borghesi ricchi della città. Solo nel 1564 si videro i dodici pilastri della facciata alzati da terra; “fanno bellissimo effecto” disse l’architetto Francesco Laparelli di Cortona, che profetizzò “riuscirà bella Fabrica”. E aveva ragione. L’urbinate architetto Lodovico Carducci, a cui il Tonini e la Rosita Copioli attribuiscono l’opera, venne a Rimini solo nel 1587 per lavori sul porto, quando ormai il palazzo doveva essere finito. Vero è che il nostro palazzo venne costruito negli anni in cui Guidobaldo II della Rivere, duca di Urbino, faceva aprire piazze a Urbino e a Pesaro, e stimolava i suoi cortigiani a costruire palazzi. Altrove ho fatto il nome del bolognese ‘serliano’ e “vignolesco” Filippo Terzi regista delle operazioni roveresche per indicare se non un’autoria almeno una consonanza stilistica. Il grande portale del palazzo comunale, distrutto inopinatamente dall’architetto Rastelli, era la trascrizione di un disegno di portale solenne di Sebastiano Serlio per il palazzo del governatore – rimando per la documentazione al mio studio pubblicato nel III volume della Storia illustrata di Rimini, pp.952-956 -. Nessun architetto e nessun capomastro del tardo seicento hanno avuto a che fare con il palazzo comunale detto “palazzo Garampi”, la cui facciata è stata rifatta almeno tre volte, ma sempre con una straordinaria fedeltà all’originale, persino nell’ultimo dopoguerra si sono trovati ottimi lapicidi sanmarinesi per le parti in sasso di San Marino.

Michel’Angelo Zanotti, custode dell’archivio comunale e notarile, instancabile perlustratore e copiatore di atti relativi alla storia della sua città, afferma che il Francesco Garampi capostipite acquistò “un ampio casamento” per 3750 scudi dallo Spedale della Misericordia, che lo aveva adibito dapprima ad ospizio e poi ad osteria o “Locanda al segno dell’Angelo”.
Si veda in Gambalunga il ms SC.MS 187, Michel’Angelo Zanotti Genealogia di Famiglie Riminesi vol I carte 36 v. e ss.

Questo casamento fu certo trasformato e sistemato in forma di palazzo, come si vede nel disegno di Pio Panfili dato al 1790 – nel 1791 il Panfili dipinge il refettorio nel convento degli Agostiniani a Rimini, opera del cesenate Giuseppe Achilli -.
Il disegno del Panfili rappresenta la Piazza Grande o di S.Antonio di Rimini, con la torre dell’orologio – con disegnate tre strane arcate strette sul davanti dentro la base cinquecentesca della torre, un mistero, vedi sotto -, il palazzo Garampi appare solo nella facciata sulla piazza, ed è nascosta la sua prosecuzione fino alla via di San Michelino in Foro, non essendoci ovviamente ancora lo slargo di via IV Novembre che ha eliminato un intero casamento con la chiesa di S.Innocenza. Tuttavia appare l’altana delle osservazioni astronomiche del padre Boscovich.

La Finestra a edicola del Palazzo Comunale, rifatta perfettamente nel dopoguerra, l’originale della metà del ‘500.

La struttura di questo palazzo fabbricato da un Garampi in data a me sconosciuta è assai interessante e certamente ha influenzato la ristrutturazione dei Baldini nel 1818 e nel 1858.
Anzitutto è stato mantenuto il basso portico ‘veneziano’ degli edifici trecenteschi della piazza, oggi rimasto documentato solo in pochissimi palazzi. Sopra il portico c’è un “ammezzato”di quattro finestre incorniciate che andava affittato insieme alle botteghe, e poi c’è il piano nobile con quattro finestre a edicola e in alto ci sono le quattro camere della servitù o dei servizi. Due grandi camini, come si vede dalle canne fumarie sul tetto, dovevano riscaldare le due stanze grandi del piano nobile, ognuna dotata di un balconcino bombato. Alla destra della torre c’è una casa che non appartiene ai Garampi. La torre è isolata ai lati e si regge su quattro archi, e quasi sicuramente anche dietro – c’erano probabilmente orti e cortili -, dove sappiamo che un edificio contenente la scala a chiocciola era addossato alla torre per salirci dentro.
Le finestre dell’ammezzato, del piano nobile e delle soffitte sono decorate con cornici e cimase mistilinee ‘barocche’ , ma non siamo in grado distinguere le forme precise degli ornamenti e di attribuire una cronologia.

LA TORRE DELL’OROLOGIO

Com’è noto, è stata fondata dal Comune – quindi non è mai appartenuta ai Garampi o ai Baldini – “nel 1547 ove furon le antiche Beccherie”. Così Antonio Bianchi nella sua Storia di Rimini dalle origini al 1832, Ghigi, Rimini 1997, p.97. Scrive poi che nel 1753 “il Bonamici la costruì isolata dagli archi in su”. Vien da pensare ai tre archi che vediamo oggi in linea, ma il Panfili non li disegna perché ancora non c’erano, vedi sotto. I tre strani archi della base della torre disegnati dal Panfili potrebbero essere interpretabili come quelli della facciata e dei due lati contigui tutti insieme sul davanti come in una prospettiva infantile; non so che altro pensare. Vedremo poi che ci sono anche dei documenti che fanno pensare a questa situazione di isolamento della torre nel 1818. Interessante anche l’informazione del Bianchi che il sacerdote Domenico Carini – spero di avere trascritto bene, perché Luigi Tonini nella sua Guida scrive Caprini – che nel 1616 aggiunge il meccanismo del calendario lunare perpetuo. Sulla via delle Beccherie si veda Oreste Delucca, Toponomastica riminese, pp. 108-111. A p. 111 c’è la foto dell’epigrafe che parla del rinnovamento della torre nel 1753, anno preso dal Bianchi; ma il Tonini scrive giustamente “dopo il 1757”. Ora la torre dell’orologio è l’ultima opera di Giovanni Francesco Buonamici (1692-1759) con la chiesa di San Bernardino.
Nel Consiglio Generale del 19 marzo 1757 è compresa una lettera al Legato:

“Torre dell’Orologgio da ricostruirsi sopra gli Archi. La torre dell’Orologgio di questo Pubblico collocata sulla Piazza grande di questa Città, che sin dall’anno 1672 patì grande detrimento per il memorando terremoto, che notabilmente danneggiò tutto lo stato, incutendo ne mesi scorsi, non senza ragione, straordinari timore negli Adiacenti, su le case de quali sovrasta, e pende, e precisamente quella del Signor Conte Garampi, [che] ebbe questo motivo di esporre avanti di Noi la di lui Proteste d’antistazione da ogni danno, che dalla rovina della Torre potesse a lui derivare…” I consiglieri mandano l’architetto “Bonamici” – così lo chiamavano a Rimini, ma lui si firmava Buonamici – a esaminare la torre –. La sua Perizia conferma i timori del conte Garampi e il Consiglio decide di ricostruire la torre dando l’incarico allo stesso Buonamici e i lavori si concludono nel 1759, anno della morte dell’architetto.

PALAZZO BALDINI 1818 – 1946

ANTONIO BALDINI 1753 – 1823

Ad acquistare il palazzo Garampi nel 1817 da Lorenzo Garampi fu il nobile di Santarcangelo Antonio Baldini, che aveva un’antenata discendente da Paolo il Bello. Lorenzo figlio di Francesco ospite del Boscovich morto nel 1794, aveva avuto “dissensioni” col padre, e forse anche con i figli Francesco, Giuseppe e Violante, che capitolano sui beni da vendere – forse c’era stato un tracollo finanziario – con decreto del Presidente del Tribunale di Prima Istanza di Forlì il 19 settembre 1817. Lorenzo Garampi muore nel febbraio del 1818, il figlio Giuseppe sposa una nobildonna di Recanati e si trasferisce nelle Marche; la famiglia finisce in donne ma esiste ancora la discendenza femminile e la residenza dei Garampi a Filottranto.

Antonio si è imparentato con i Garampi attraverso i Belmonti, suo figlio Pio ha sposato nel 1809 la marchesa Maria Belmonte Cima (1792-1869), figlia di Alessandro Belmonti, per Rosita Copioli la matriarca dei Baldini promotrice dello Stabilimento Balneario attraverso i figli Alessandro e Ruggero. Un aneddoto di Filippo Giangi getta una luce inquietante sulla marchesa, che aveva contrastata la prima società balneare, progettata da Raffaele Tintori, a detta di quest’ultimo, e poi estesa ai Baldini, che la realizzarono. Dopo un anno, per mancanza di fondi, il Tintori dovette lasciare l’impresa. L’amante della marchesa, scrive Filippo Giangi, sparò al Tintori un colpo di pistola ma solo con la stoppa, senza il piombo.
Comunque sia, Maria Baldini perse il marito nel 1835 e morì in tempo per non vedere il tracollo delle finanze della sua casa, uno dei misteri della storia economica di Rimini nell’800.
Si disse che i Baldini avessero perso tutte le loro rendite per avere “gettato i loro soldi nella sabbia”, ma il notaio Luigi Casaretto, grande figura economica dalle numerose iniziative, che gli aveva fatto i conti in tasca, assicura che i Baldini non soffrirono perdite per lo Stabilimento Balneare e che non ebbero perdite nemmeno negli anni del colera. Allora cosa pensare? Donne, gioco? Ma sia Alessandro che Ruggero furono figure esemplari… Il mistero rimane.

I LAVORI DI ANTONIO BALDINI AL PALAZZO NEGLI ANNI 1818 E IMMEDIATAMENTE SEGUENTI

Antonio acquistò il palazzo e iniziò a intraprendere dei lavori di nuova strutturazione. Ringrazio l’amico Luca Barducci per avermi segnalato nella cronaca dello Zanotti i lavori del 1818, che ho riscontrato anche in atti notarili.
Già alla fine del 1817 si possono immaginare gli inizi della progettazione dei mutamenti. E’ essenziale una obbligazione imposta dalla Commissione dell’Ornato composta dai signori Paolo Garattoni, Domenico Bottini, Nicolò Morandi e Antonio Baldini – non so se questo Antonio Baldini sia un’omonimo della famiglia Baldini riminese oppure lo stesso Baldini di Santarcangelo che ha discusso con i commissari dell’ornato -. Il documento si trova negli Atti 1816-1832 di Michelangelo Zanotti, nell’Archivio Notarile presso l’Archivio di Stato di Rimini regesto n.° 4373 cc.135 e ss.

C’è anzitutto una richiesta di inglobare nel nuovo palazzo che si appoggia alla torre da dietro, dove c’era la scala a chiocciola per salire dentro la torre, una parte della scala stessa, concedendo all’orologiaio di poter entrare dalla casa. In cambio il conte si obbliga di assecondare le richieste della Commisisone dell’Ornato in tema di “regole d’arte”.

Gli chiedono quindi di eliminare gli ornamenti barocchi di palazzo Garampi, e di seguire le regole del neoclassico più severo:
per prima cosa dovrà “riformare il Cornicione che corona il nuovo – come vedremo Antonio Baldini ha acquistato la casa a destra della torre -, e vecchio Fabbricato. Segue un preciso elenco di dettagli di come dev’essere un cornicione, prezioso per noi perché ci introduce nello spirito classico ella costruzione:

“…ritenendo però la sua altezza in complesso, inalzando (sic, ma da estendere a tutti quelli che per noi sono strafalcioni, e per favore non attribuiteli a me, come tempo fa ha fatto una signora lettrice, che non si è convinta alle mie spiegazioni che i testi vanno riprodotti tra virgolette come sono; no, lei pensa ancora che io non sappia scrivere in modo corretto e mi ha rimproverato aspramente) il gocciolatojo, diminuendo la gola diritta, e ricavando fra essa e il detto gocciolatoio un listello, ed una gola rovescia; riduurrà poi tutto il dentello, e sotto si eseguirà un listello, un ovolo con secondo listello, ed un corretto (?). Tutte queste membrature si mettino tanto per le altezze, come per i loro oggetti nelle proporzioni del cornicione jonico, dessunta sempre dall’attuale sua altezza e non più.”

Fermiamoci un momento. I cornicioni aulici dei palazzi di Rimini verranno ope legis riformati negli anni dopo il 1860, quando il Comune farà le prime fogne coperte, prima c’era un fosso all’aperto al centro delle strade. Ma l’operazione di correzione delle forme barocche è già cominciata con la Restaurazione. Se si vogliono conoscere i significati dei singoli elementi notati: gocciolatoi, gola diritta e roversa, ovoli, listelli con le figure si cerchi su google. Si tratta di elementi seriali orizzontali che definiscono la conclusione delle facciate in alto, come se si trattasse di un tempio antico, e in questo caso di un tempio “ionico”, dedicato ad una divinità femminile. Ma ecco il punto centrale:

“Gli ornamenti esterni delle Porte, Fenestre della nuova Fabbrica, che appoggia alla Torre da farsi di buon gusto, ed in analogia all’esposto “disegno” – c’era ovviamente un disegno, ma ahimè non si dice di chi – dovranno farsi dal Conte Baldini in Pietra d’Istria – costosa, importata da Venezia – o almeno siano rassomiglianti alla medesima tirati ad arte, onde accompagnarsi all’ornato della Torre. In avvertenza che il il sesto del Frontone della Porta…è troppo andante…”
Certamente ci intriga il “disegno” e pensiamo a chi poteva essere l’architetto che l’aveva prodotto. Non l’ultimo che aveva operato a Rimini, il cesenate Giuseppe Achilli era morto nel 1810; Maurizio Brighenti, con la fama di bambino prodigio, aveva 21 anni; l’ingegnere distrettuale Guido Romiti, a Rimini tra il 1815 e il 1818, avrebbe fatto in tempo a intervenire. Ma non abbiamo nessun indizio per formulare una congettura. Come vedremo questo “disegno” invecchiò e sicuramente nel 1858 Giovanni Benedettini dovette aggiornarlo, ma intanto la previsione della modifica degli ornamenti barocchi di porte e finestre lascia pensare che la struttura esterna del palazzo Garampi non doveva essere modificata. E fu rispettata anche dal Benedettini nel 1858.
Seguono indicazioni tecniche: “armare le teste degli arcali al lato della torre con chiavi di ferro coll’avvertenza di porle a tutta presa di muro, e a regola d’arte.”

Impariamo così che erano previsti ai lati della torre i due terrazzi con sotto gli archi, lo spazio inferiore proprietà del comune, ma con il diritto di passaggio dei Baldini che vi avrebbero aperta la porta grande della casa, e la parte superiore dei Baldini, ma con una finestrella per illuminare la scala a chiocciola della torre. Poi i Baldini avrebbero dovuto voltare la scala a chiocciola e, come già osservato, “..dare per casa propria il passaggio, perché passino l’orologiaro ed altri inservienti il Pubblico.”
Inoltre le balaustre delle due terrazze erano di spettanza del Conte Antonio:

“Le Balaustre da farsi di marmo d’Istria di Buon gusto dovranno far ordine particolare e separato e le piane loro superiori dovranno rimanere a livello del poggiolo delle Fenestrate del fabbricato Baldini. Tali Balaustrate rimarranno ristrette tra i piedritti dell’attico della Torre, e di due metri, che dovranno coistruirsi ai lati opposti di modello uniforme col suo sottoposto piedritto. Le Cornici, che si torviranno (?) presso la Torre ed i loro sottopiedritti dovranno sagomarsi le prime, e allinearsi al vivo della Torre i secondi.”

L’ultima parte del discorso non mi sembra comprensibile, se non grosso modo come a) l’ordine delle balaustre dei corpi laterali sarà ispirato a quello delle balaustre della parte alta della torre, i piedritti e i sottopiedritti non credo che si possano capire se non con il disegno perduto. Ma rimane chiaro che le ali della torre con gli archi e i terrazzi non esistevano, come si vede nel disegno del Panfili. Segue un’informazione sull’acquisto della casa alla destra della torre. Ancora qualche prescrizione sui coperti e poco d’altro.

I COLORI DEL PALAZZO BALDINI

Non crederete che il conte Antonio si sia preoccupato di ubbidire subito a questi minuziosi precetti. Ha preso tempo, come hanno fatto i suoi eredi dopo la sua morte nel 1823. Vedremo quando i lavori anticipati dalla Commissione dell’Ornato verranno effettivamente eseguiti, ma certo in forme rinnovate, alla fine del dominio pontificio. Nel frattempo i motivi per fermare i lavori non erano certo mancati: i moti del 1821, quelli del 1831 con la battaglia delle Celle e la minaccia austriaca di mettere a sacco Rimini, i moti del Renzi, quelli del 1848 e l’ultimo periodo di dominio di papa Pio IX. Ma prima di morire, nel 1819, il conte Antonio aveva ordinato di colorare di bianco la facciata provocando le proteste della Commissione dell’ornato. Lui si giustificava di aver voluto adattare il palazzo alla Torre dell’orologio, o viceversa; i Commissari dell’Ornato opponevano che il bianco offende la vista, lo si potrà dare, scriveranno nel regolamento edilizio, solo nei vicoli stretti e bui per avere un poco di luce. Gli altri colori dovevano essere mimetici, imitare il rosso e il giallo dei mattoni e il giallo del calcare di San Marino o l’arenaria del Covignano. Ma sempre tenendo i colori tenui e accordati. E così si è fatto per secoli, da quando erano andati fuori moda i colori araldici, che ancora nel ‘600 erano usati: la torre dell’Arengo era colorata di bianco e di rosso i colori araldici del Comune di Rimini tuttora vivi nella squadra di calcio. Oggi si cominciano a vedere case colorate di color blu cobalto forte, che non stonerebbero nel Borgo di San Giuliano, per il suo carattere veneziano. Nelle isole della laguna infatti vanno da sempre i colori forti per le case, perché riescono a vincere le nebbie se non sono molto dense.

Ma se l’esterno del palazzo già Garampi e ora Baldini dovette aspettare fino agli anni ’50, l’interno invece fu subito compiuto. Scrive Michel’Angelo Zanotti che Antonio Baldini aveva ridotto

“in decorosa abitazione della sua Famiglia notabilmente da lui restaurato e nobilmente ornato di pitture per mano dell’esimio nostro Dipintore Marco Capizucchi.”

Marco Capizucchi (1784-1844) pittore riminese che si era formato nell’Accademia di Brera a Milano e aveva vinto un premio nel 1803.
Per Pio Baldini nel novembre del 1823 e mesi seguenti il capo mastro muratore Onofrio Meluzzi eseguiva il “lavoro della rata in faccia al Portone d’ingresso del suo Palazzo…per renderla più dolce al passaggio delle Carrozze…” – Archivio Comunale di Rimini carteggio b.504 -.

GLI INTERVENTI DI GIOVANNI BENEDETTINI NEGLI ANNI ’50 DELL’800 CHE LO FANNO RITENERE L’AUTORE DELL’ULTIMA RISTRUTTURAZIONE DI PALAZZO BALDINI 1845 – 1859

Giovanni Benedettini (1814-1875) si era formato a Roma negli anni 1834-1836 nell’Università e nell’Accademia di San Luca. L’architetto Luigi Valadier (1762-1836), che a Rimini aveva progettato il palazzo Valloni dopo il terremoto del 1786, aveva scelto il tema di concorso vinto dal giovane riminese, uno studio del cornicione di palazzo Farnese; vedremo che i cornicioni, come i capitelli corinzi e le finestre e porte ad edicola, i ‘punti’ principali dei ‘corpi’ architettonici classici saranno oggetto di grande cura nella sua progettazione. A Roma doveva avere visto il palazzo Ceccopieri di Luigi Poletti (1792-1869) che poi diventerà il modello dei suoi palazzi riminesi più belli.

GiovanniI Benedettini, Palazzo Zollio 1848, il Cornicione a modiglioni.

A Rimini l’esordio di progettazione era avvenuto con il palazzo Battaglini – distrutto nel dopoguerra – nel corso, sulla linea della chiesa di Santa Maria dei Servi, e aveva preparato un progetto per il rinnovo del teatro comunale, che poi gli procurerà il lavoro come controllore dell’esecuzione del progetto di Luigi Poletti nel 1842.
Intanto completato un biennio di studi a Bologna, era stato insignito del titolo di ingegnere.
Nel 1848 sul corso era inaugurata la facciata del palazzo Zollio.

Giovanni Benedettini, Palazzo Ghetti 1855, una Finestra del tipo a edicola con le due mensole sotto la cornice.

Altri tre palazzi cittadini, oltre a palazzo Baldini, erano stati il palazzo Ghetti nel 1855 – si veda il mio studio Il palazzo e il suo architetto Giovanni Benedettini in Piero Meldini (a cura di) Il Palazzo dei Fiammiferi, Banca Malatestiana, Pazzini, Verucchio 2013 – la villetta Ugolini, vicino al castello, e il palazzo della Gomma del 1864. Progettò anche un edificio religioso importante, la chiesa di S.Chiara, che presentava il motivo interno delle colonne libere, un omaggio ad un tema bolognese costante dal ‘500 all’800, già usato dallo Stegani nella chiesa dei Carmelitani di Rimini.

Giovanni Benedettini, Palazzo della Gomma, Particola del Cornicione.

Mentre nei due principali palazzi Ghetti e della Gomma, o della Casa di Risparmio di Rimini, e nel palazzo comunale di Santarcangelo ci emozionano i temi della poetica romana del Poletti, ispirata al “Purismo”, una sorte di classicismo di eleganze concentrate, con decorazioni greche e capitelli corinzi variati ma senza uscire dalle “regole”.

PALAZZO BALDINI 1858 – 1859

Il contatto con la marchesa Maria Belmonte Baldini avvenne nel 1845 per una modifica strutturale della casa di affitto di proprietà della marchesa nella piazzetta di Santa Innocenza.
Il 31 maggio 1858 per conto dei Baldini, Giovanni Benedettini presentava una domanda con pianta per modificare la linea della casa alla destra della torre che veniva ricostruita dalla base e adattata alla facciata del corpo principale – ASR, ASCR, Carteggio B. 831 p. 53 e ss. -. Quello che era stato previsto nel 1818 dalla Commissione dell’Ornato veniva realizzato dal Benedettini quarant’anni dopo, con un disegno certamente nuovo.
Il cornicione del corpo separato e quello della facciata sono una variante abbastanza tipica della poetica “purista” del Benedettini, con una sorta di allungamento dei mensoloni in senso orizzontale, che era apparso anche in palazzo Ghetti.
Gli possiamo attribuire anche gli ornamenti delle finestre classiche ad edicola o a tabernacolo – vedi sotto – e delle porte finestre con i due balconi del piano nobile.

Nel 1859 il nostro architetto intervenne nella costruzione della “cappellina” di palazzo Baldini che fu celebrata da una pubblicazione dell’arciprete Giovanni Trebbi. La poetica del Benedettini veniva ricondotta al purismo letterario di Orazio, nella ricerca dell’eleganza dominata dal principio del simplex et unum. Con una frase che ricorda i motivi cari all’architetto della “tradizione” Pier Carlo Bontempi, che per Francesco Maria Ricci ha disegnato il Labirinto della Masone, il Trebbi faceva notare la tenuta millenaria di temi artistici che erano condensazioni delle “più belle decorazioni” greche, romane, rinascimentali.

LE FINESTRE A EDICOLA UNA COSTANTE DAI TEMPI DELL’ELLENISMO

L’edicola del ponte di Augusto e Tiberio – 14 -21 a. C. – punto di partenza per le finestre del tipo edicola.

E proprio questa “tenuta” viene in mente quando si considera il motivo delle finestre a edicola o a tabernacolo, la cui partenza con due paraste su cui è posta una trabeazione e un timpano è visibile nel ponte romano di Rimini, negli otto tempietti che Tiberio, nei primi momenti di umori repubblicani, non volle riempire con le statue degli dei cari ad Augusto.
Il motivo usato per porte e finestre si forma nelle città orientali dell’Ellenismo dai tempi di Alessandro Magno (356 – 323 avanti Cristo) e poi dilaga nei secoli fino a noi. Il frontone triangolare più spesso scompare e la trabeazione si modifica: l’architrave si trasforma in cornice nel senso moderno di cornice di un quadro, scende in basso fino al davanzale o alla soglia, mentre la vera cornice in alto si allarga per essere sorretta da due mensole a volute poste ai lati.
Questa metamoprfosi del tipo di finestra è visibile nelle finestre dei tre piani di palazzo
Gambalunga, che ho attribuito a Giovanni Laurentini Arrigoni (c.1559-1633). Le finestre del piano
terreno nobile conservano il timpano o triangolo sommitale; quelle del secondo piano l’hanno
perduto, e le ultime sono puramente incorniciate. Le prime finestre a tabernacolo che abbiamo a
Rimini sono quelle del Palazzo Comunale, rifatte per due volte ma sempre con fedeltà al disegno
originario. Ma poi, guardiamoci intorno, di finestre col timpano le troviamo in palazzo Buonadrata,
e senza le troviamo dappertuttoo, là dove palazzi e case auliche sono sopravvissuti alla guerra, ai
costruttori e ai sindaci “riminizzatori”. Emozionano perché sono nel nostro dna estetico, direbbe
l’architetto Bontempi. Sono costanti formali che si portano dietro innumerevoli fantasmi
dell’immaginario architettonico e ci fanno capire un processo di selezione ed evoluzione di forme le
più belle, greche, romane e rinascimentali millenarie, se interrogate rivelano una ricchezza e una
continuità storica avvertibile e godibile.

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