Il Pd riminese fra protagonismo gnassiano e “gentismo”

Il Pd riminese fra protagonismo gnassiano e “gentismo”

Cosa insegnano le dimissioni di Stefano Giannini? Che il Pd non esiste più, in forza della prevaricazione del livello amministrativo, cioè del dominus di palazzo Garampi, sul partito. Ma la soluzione per rimediare al totalitarismo strisciante non è stare con la gente e diventare "democratici".

Qualche giorno fa Riccardo Fabbri, una delle teste fini del Pd locale, ha rilasciato un’intervista sulle improvvise dimissioni del suo segretario provinciale Stefano Giannini.
Nell’intervista Fabbri riconosce che il partito non esiste più, in forza della prevaricazione del livello amministrativo (leggi: il protagonismo Gnassiano) sul partito stesso, prevaricazione che ha svuotato il Pd d’ogni residuo ruolo d’interlocuzione politica con l’amministrazione.
Cioè col sindaco Gnassi, col quale evidentemente (come diceva il Duce a proposito degli italiani) non solo è impossibile, è inutile parlare.

Con un andazzo ribadito dall’articolo de La Stampa sulla gestione dirigista e personalista d’una IEG che dovrebbe esser pubblica e invece no.
Per rimediare al totalitarismo strisciante di questa situazione, Fabbri ripete la solita litania del “gentismo”: bisogna stare con la gente, parlare ai e con i Riminesi dei problemi della città, diventare insomma “democratici” come se il Pd non fosse già “democratico” di suo.
Ma basta spalancare le porte delle sezioni perché il popolo torni a frequentarle?
Evidentemente no, e qui casca l’asino democrat.
Perché il problema vero è che il Pd, a Rimini come altrove, grazie soprattutto alla gestione nazionale di Matteo Renzi, non ha più cultura di governo, cioè non è più niente: partito Comunista? Socialdemocratico? Liberal? Cattolico-popolare?
Non si sa.

E non si sa perché, invece di far evolvere a suo tempo l’ideologia di fondo, quella Marx-Leninista in salsa Gramsciana, l’ha rottamata pensando bastasse far finta di niente, senza preoccuparsi di costruirsi un’anima alternativa.
E un partito senz’anima, cioè senza ideologia, cioè senza volto, precipita inevitabilmente nel “gentismo”, ovvero in una sorta di populismo dolce che non sarà come quello virulento e programmatico dei Paentastellati ma quasi.
Detto in altre parole: personalmente sarei anche disposto ad andare in una sezione del Pd se sapessi di potermi confrontare con un’ipotesi di fondo, sennò cosa vado a fare, a farmi imbonire da fantasmagorie Gnassiane oltretutto incontrovertibili?

Il problema è che il Pd, anche a livello nazionale, è nelle stesse condizioni: si veda il dibattito a encefalogramma piatto in preparazione del Congresso.
Causa un deficit culturale che ha fatto dell’ex partitone della sinistra unida no sarò mas vencida il rappresentante di qual benpensantismo nazionale, in forma di voto moderato, che è perdente per il semplice motivo che la classe media, falcidiata dalla crisi, non c’è più.
O è talmente incazzata che preferisce votare 5 Stelle e Lega piuttosto che Pd.
O Forza Italia, che è lo stesso.
Ma la freudiana nonché suicida coazione a ripetere, per l’imbecillitas dei protagonisti (nel senso etimologico del termine), è tale che i leader continuano a ragionare (si fa per dire) come prima quando pensavano (si fa per dire) che “si vince al centro”.
Il risultato è che, a Rimini come in Regione, nei sondaggi il Pd è largamente terzo dietro Lega e 5 Stelle.
Che facciamo, li perdoniamo perché non sanno quel che fanno?
Purtroppo in politica non funziona così.

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