Se una città francese avesse l'Arco di Augusto nel suo "patrimoine", l'avrebbe mantenuto in un contesto urbano e storico assai vasto, comprendente l'area della porta medievale, le mura malatestiane e il torrente Ausa, sul quale c'era un ponte romano probabilmente di origine augustea.
In Francia chiamiamo le Patrimoine quelli che per noi sono i beni culturali, il Patrimonio della Nazione che loro curano, valorizzano, studiano e presentano con fierezza al proprio pubblico su Internet e a un turismo internazionale di gran lunga superiore al nostro.
Se una città francese avesse l’Arco di Augusto nel suo Patrimoine, l’avrebbe mantenuto in un contesto urbano e storico assai vasto, comprendente l’area della porta medievale e le mura malatestiane, e il torrente Ausa, il cui percorso fin sotto San Marino, dove nasce, è un ambiente naturale di grande bellezza e di grande interesse naturalistico. E c’era sull’Ausa un ponte romano, probabilmente di origine augustea, aggiustato in età tardoantica, medievale e infine nel ‘600 e nel ‘700, davanti all’Arco.
Invece chez nous cosa è successo – per limitarci al dopoguerra -: dopo gli sventramenti di Mussolini e della guerra? L’Arco è stato ristretto al centro di un cerchio d’asfalto, le mura malatestiane sono state decurtate sempre per ragioni di traffico e, la cosa più terrificante, l’Ausa da ambiente fluviale, con il suo corso di foce, la sua flora e fauna tipica, è stata trasformata in fogna, per condurre in mare la merda di indigeni e dei turisti sempre in aumento. Si è trattato di un gesto pubblico materiale e simbolico che ha rivelato la totale mancanza di interesse per le Patrimoine e anche l’infimo livello politico culturale delle così dette elette colte cittadine – gli uomini e le donne “di cultura”, una perdurante minoranza silenziosa -.
Negli anni ’70 il ponte romano è scomparso, nell’indifferenza generale, per dare spazio a un sottopassaggio. Malgrado l’unico fatto positivo della precedente amministrazione comunale: le aiuole estese intorno all’Arco e l’allontanamento del traffico, anche la sistemazione dell’area dell’Arco testimonia la perdurante mancanza totale di rispetto per il Patrimoine di Rimini di cui sono responsabili tutte le amministrazioni del dopoguerra, compresa l’attuale, ma anche le curie vescovili, la doppia istituzione di governo politico e spirituale che tuttora non ha imparato lezione culturale e storica alcuna. Il mare dopo ogni acquazzone si riempie di merda, stagione o non stagione, impianti di depurazione o non impianti, e il Tempio Malatestiano è diventato il cimitero dei vescovi e l’affresco di Piero della Francesca è stato spostato dalla luce dove l’aveva commissionato Sigismondo Pandolfo Malatesta e dipinto Piero al buio di una cappella dove l’avrebbe voluto dipingere il tale che s’è incaponito a farlo spostare. Per non parlare dei ciaffi felliniani che stanno per nascondere l’interno di Castel Sismondo, il palatium magnum di Malatesta da Verucchio (1212 – 1312) e gli equilibrati spazi di Filippo Brunelleschi.
Da tempo le Soprintendenze archeologiche non conducono più scavi direttamente, si affidano a cooperative di archeologi. E va bene. Ma sono diversi decenni che i risultati degli scavi non vengono pubblicati, le foto, i reperti, le documentazioni che sono portati in luce vengono nuovamente sepolti negli archivi delle Soprintendenze. Nell’area recintata dell’inizio della Flaminia nel Borgo San Giovanni, si vedono archeologi che cincischiano su un muro, che sarà antico, a sinistra della strada. Avvisare la popolazione di quello che si sta facendo non sarebbe democratico ed educativo?
Di quest’area com’era nel ‘700 abbiamo un’incisione fatta su disegno di Francesco Chamant, allievo di Francesco Galli Bibiena, di una delle due vignette del libro Delle antichità di Rimino di Tommaso Temanza – 1741 -.
La vignetta mostra la porta malatestiana ancora esistente davanti all’Arco di Augusto – 27 avanti Cristo -, di cui certamente esistono le fondamenta che rimesse in luce darebbero al monumento romano uno stacco storico. Adesso, verso la città, è situato a ridosso di edifici moderni.
In due foto della fine dell’800 si vede com’era il ponte davanti all’Arco di Augusto: molto in basso si vede il troncone di un grosso arco romano in mattoni manubriati e un troncone del montante o pilastro in mezzo la corrente, che riceveva il primo arco e da cui partiva un secondo arco.
Sopra ci sono due archi più volte rifatti, forse tardo antichi, ma più volte rifatti, come sappiamo, da ultimo nel ‘600 e nel ‘700.
Quello che ci colpisce è la profondità delle strutture più antiche, rispetto al piano, come se, anche qui, come nel caso del ponte di Augusto e Tiberio sul Marecchia, nell’area dell’Ausa si sia verificato un fenomeno di subsidenza. Bisognerà tentare di misurare questa profondità, che doveva far sorgere l’Arco come su una collinetta.
Nella foto qui sopra si vedono delle donne, dalla parte del Borgo San Giovanni, che lavano i panni e i lenzuoli sporchi. Tale uso millenario è durato, e pare ben strano a pensarci, fino al secondo dopoguerra, quando è cominciata la diffusione delle lavatrici meccaniche.
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