Il suggesto di Cesare e il coup de theatre per passare il Rubicone

Il suggesto di Cesare e il coup de theatre per passare il Rubicone

Il cippo lapideo di piazza Tre Martiri ci spalanca un mondo di enorme fascino e di grande storia legata a Rimini. Ne abbiamo parlato con il prof. Rimondini.

Percorsi pochi passi dal Tempietto di S. Antonio, mi imbatto nel cippo lapideo posto nel mezzo della via Dante all’ingresso dell’attuale Piazza tre Martiri. Si trova più o meno dove si trovava prima che aprissero quella strada negli anni ’20 per farci passare il tram, e lo spostarono verso la cappellina. Quale occasione migliore quindi per rivolgermi all’amico Gianni Rimondini per sapere, come sempre, qualcosa di più? E Gianni, insieme alle traduzioni, mi manda una veduta di piazza di S. Antonio di Pio Panfili del 1790 con un ingrandimento dello zoccolo del ‘500 con sopra il suggesto, o quanto ne rimane, della “reliquia” come l’ha definita Cristina Ravara Montebelli; poi ci diamo un appuntamento per trovarci sul posto.

Veduta della Piazza della città di Rimino detta di S. Antonio, Pio Panfili (1790) e, sotto, il particolare del suggesto cerchiato in rosso.

C(AIVS).CAESAR
DICT(ATOR)
RVBICONE
SVPERATO
CIVILI BEL(LO)
COMMILITO(NES)
SVOS HIC
IN FORO AR(IMINI)
ADLOCVT(VS)

“Giulio Cesare dittatore, superato il Rubicone, persuase alla guerra civile i suoi commilitoni qui nel foro di Rimini”.

SVGGESTVM
HVNC
VETVSTATE
COLLAPSVM
CO(N)S (VLE)S.ARIM(INI)
MENSIVM
NOVEMBRIS
ET DECEMB(RIS).
M. D. LV
RESTITV(ERE)

“I consoli di Rimini dei mesi di novembre e dicembre 1555 ricostruirono questo suggesto crollato per vecchiaia”.

Suggesto Tumulo, luogo elevato del Campo Marzio in Roma da cui i magistrati arringavano il popolo, o su cui facevano salire le persone denunciate ai cittadini come colpevoli. (Enciclopedia online Treccani)

In seguito ci vediamo sul luogo ed inizio ad interrogare il sapiente amico.
Gianni, sai dirmi qualcosa d’altro di questo piccolo monumento?
«Cominciamo da un’epigrafe scomparsa. Nella “Nuova guida del forestiere nella città di Rimini” del Tonini, del 1879, a pagina 94 è citata un’altra epigrafe a partire da un manoscritto di Michelangelo Zanotti, relativo ad un restauro del 1818 dello zoccolo cinquecentesco: EX CO(N)S(VLIBV)S. PROCVRANTI / CAMILLO PASSARELLO (per cura di Camillo Passarelli uno dei quattro consoli). Comunque sia, i consoli di novembre e dicembre del 1555 erano Terenzio Terenzi, Tomaso Ricciardelli, Francesco Diotallevi Camillo Passarelli, come risulta dai verbali del Consiglio generale di quell’anno.»

Chi erano e che funzione avevano i consoli?
«I Consoli, sorteggiati per due mesi, insieme ai Dodici erano l’esecutivo amministrativo sotto la sorveglianza di un governatore pontificio. Capi di un Consiglio Generale formato da un centinaio di patrizi, o nobili di Rimini, i resti della nobiltà locale malatestiana, che vantavano il potere di nobilitare con il patriziato i personaggi importanti come i cardinali legati, i prelati governatori, e i ricchi borghesi cittadini che appartenevano in numero minore all’ala cittadina del Consiglio Generale. Camillo Passarelli era membro di una famiglia originaria di Verucchio, che prendeva o dava il nome al castello [paese fortificato] con la rocca del Passarello, unito al castello con la rocca del Sasso, che con l’intermedia sella erano stati uniti da mura e torri da Sigsmondo Pandolfo Malatesta nel 1449.»

Prima del 1555 cosa c’era?
«Per risponderti sfrutto le Carte di Augusto Campana, conservate in Gambalunga. Abbiamo solo due testimonianze: Francesco Petrarca (1304-1374) in due sue opere racconta una sua visita a Rimini. Nell’Historia Julii Caesaris scrive “Lapis me puero ostendebatur fori medio, ubi Caesar concionatus ferebatur”, e nel Proemio degli Excerpta: “Et quando, io garzone, me fo mostrato quella pietra in mezzo la piazza dove se dice che Cesare arringò”. Petrarca studiò diritto a Bologna dal 1320, a 16 anni. Nel 1321 un movimento degli studenti bolognesi forse lo portò a Imola e poi ad Avignone; tornò a Bologna l’anno successivo e vi rimase fino al 1326. In questi anni gli fu facile scendere a Rimini ed essere avvicinato nella piazza del Foro da qualcuno che gli mostrò “la pietra” “in mezzo la piazza”. Una sorta di guida trecentesca della città d’arte e di storia.
La seconda testimonianza risale al 1475, anno delle nozze di Roberto il Magnifico con Elisabetta figlia di Federico da Montefeltro a Rimini; ce la fornisce Gaspare Broglio (1407-1483) capitano e biografo di Sigismondo Pandolfo Malatesta, che ricorda “el petrone nel quale (Cesare) montò a fare la diceria”. La “pietra” del Petrarca e il “petrone” del Broglio non ci illuminano molto su quello che c’era nel foro di Rimini: un piccolo sopralzo di pietra?
Sul pianale dello zoccolo, in due pezzi, del 1555, Salvatore puoi vedere una spranga di ferro saldata con piombo allo zoccolo poco dopo l’orlo verso il mare e dall’altra parte la traccia di un altro simile sostegno. Due indizi che ci attestano l’esistenza di un pietrone di forma cubica o parallelepipeda di base quadrata, piuttosto modesto se pensiamo ai rostri del foro romano. Comunque sia, questo “suggestum Caesaris” è scomparso e non sappiamo nemmeno quando.»

Erano scolpite sul suggesto le lettere del Passarello?
«A proposito del Campana, ora mi viene in mente ciò che ho letto nelle sue carte, che conservo tra i miei appunti, lette prima di incontrarti. Sulle righe, che io non vedo, “ex coss.procvran, camillo passarello” quanto segue:
“Fascia a monte E/// ///C/// SS, / fascia ad arcum /// /// OC///R/// /// delle V una traccia leggerissima / fascia a mare CA///IL//////) FASCIA AD PONTEM ///PAS/////////REL”.
Augusto Campana negli anni prima della guerra aveva letto le poche lettere che restavano della frase “EX CO(N)S(VLIBV)S / PROCVRANTI / CAMILLO / PASSARELLO” [a cura di Camillo Passarelli uno dei consoli] nella fascia della base a contatto col terreno. Oggi si intravvedono o ci si immagina di intravvedere dei resti di lettere ma solo nella fascia verso il mare. In realtà la scritta non esiste più.»

Quindi fascia, non gocciolatoio, ma comunque strettissima e oggi tutto cancellato?
«Sai Salvatore, dentro la cappellina di S. Antonio, sotto l’altare ci dovrebbe essere il suggesto del Santo che predicava in piazza del Foro. Andiamolo a vedere caso mai il suggesto di Cesare fosse stato messo lì. C’è il suggesto del Santo, un capitello del ‘200 con i resti di una raffigurazione del miracolo della mula di epoca trecentesca. Sotto c’è un rocco di colonna cilindrica. Tutta roba sua.»

Saluto Gianni sempre disponibile e prezioso, e si scioglie anche il piccolo capannello di curiosi che si era radunato per ascoltare quella storia. Ma prima del congedo Gianni mi invita a leggere Giulio Cesare il dittatore democratico di Luciano Canfora editore Laterza, Bari 2006.
Mi procuro quella pubblicazione e per completare l’evento, riporto una sintesi di ciò che si legge in proposito dei giorni che segnarono gli importanti fatti storici collegati al suggesto.
Ma letta la narrazione, interpello nuovamente Gianni per alcune interpretazioni del caso.

“7 gennaio 49 (non corrispondente ai nostri giorni)
Seduta del Senato con la rottura definitiva dei rapporti con Cesare e messa a tacere dei tribuni della plebe Marco Antonio e Quinto Cassio Longino che volevano mettere il veto alla condanna di Cesare. La sera i due tribuni partono per Rimini; il 10 Cesare è al corrente dei fatti e l’11 li incontra a Rimini.
[Gianni: Ci volevano 3-4 giorni di galoppo veloce da Ravenna o Rimini a Roma e viceversa, con cambio di cavalli ai corrieri di Cesare e del Senato].

9 gennaio 49
Cesare manda le quattro coorti al Rubicone.

Notte tra il 10 e l’11 gennaio 49
Di nascosto Cesare raggiunge le quattro coorti, travestito con pochi al seguito.
[Gianni: non vuole farsi riconoscere mentre si dirige al confine per guadagnare tempo anche solo poche ore pur di mandare i suoi corrieri a Roma prima della partenza dei corrieri del Senato, forse sa già che il suo collaboratore, il suo braccio destro Tito Labieno è un seguace di Pompeo. I suoi corrieri giunti prima riescono ad avvisare i seguaci di Cesare perché si nascondano o fuggano da Roma sfuggendo alle grinfie del Senato. Si dice che Cesare si sia perduto nei boschi prima di arrivare alle rive del Rubicone. Dov’erano questi boschi, dato che tutto il territorio tra Ravenna e Rimini era centuriato e coltivato? I boschi potevano essere solo tra la costa e la via Popilia – pinete e querceti, ma tieni presente che la pineta di Ravenna-Cervia è situata dove al tempo di Cesare c’era il mare; il mare cominciava poco distante dalla attuale ferrovia Ravenna-Rimini].

Al Rubicone, [Gianni: all’altezza di Bellaria se il Rubicone è l’Uso, ma è meglio lasciar perdere la questione quale dei tre torrenti Pisciatello, Fiumicino e Uso o Luso sia il Rubicone, è una questione intricata ancora sub iudice] Cesare finge di essere perplesso e poi ha inventato, dice Canfora ‘un coup de theatre’: ha messo un gigante, forse un Gallo, nudo a suonare il flauto sulla riva del Rubicone; all’improvviso mentre Cesare è pensieroso, il gigante si alza velocissimo afferra una tromba da un trombettiere e suona l’attacco. Allora Cesare afferma: “Andiamo dove ci chiamano i prodigi degli Dei e l’ingiustizia degli avversari, si getti il dado” (Plutarco).

Questa ricostruzione a cui segue, secondo Svetonio e Plutarco, l’occupazione di Rimini con le quattro coorti della XIII Legio, e il discorso alle truppe nel foro di Rimini, è una semplificazione che credo la maggior parte degli storici accetti, ma non tutti.
Cesare nei Commentarii o De bello Civili, afferma di avere fatto il discorso alle truppe a Ravenna prima di spedirle al Rubicone. La ragione? Ecco cosa scrive Canfora:

“La ragione della “falsificazione” cesariana è evidente. Secondo il racconto dei Commentarii è con l’assenso preventivo e incondizionato delle truppe che avviene il passaggio del Rubicone. Al contrario tutta l’operazione fu condotta in modo tale da mettere le truppe di fronte al fatto compito. Furono mandate al fiume senza spiegazioni, ma forse non del tutto ignare di quanto stava per accadere. Cesare volle giungerci non visto e dovette ricorrere ad un estremo stratagemma [il gigante Gallo] per trascinare al passo illegale le pur fedelissime coorti della XIII legione.”

Il passaggio del Rubicone compiuto da Giulio Cesare fu un altro grande avvenimento storico che, assieme ai molti altri, testimoniano l’importanza che Rimini ebbe in passato. Ma il suggesto non fu il solo a ricordare tale importante evento. Vi è anche il sipario originale del Teatro Galli che giace nell’oblio, da restaurare si dice; ma anche la copia bronzea del grande condottiero romano sito in una mesta defilata posizione della piazza Tre Martiri, mentre l’originale giace tra l’incuria e l’abbandono nella ex caserma d’artiglieria.
Sarebbe buona cosa riportare quella statua in quella piazza, magari in un posto più degno e visibile, come pure restituire al Teatro il suo sipario. Ma purtroppo scontiamo decisioni di chi non ha la capacità di scindere la storia dalle ideologie, supposto inoltre, cosa di non poco conto, che costoro poi conoscano ed amino la storia.
E da qui la differenza tra gli amministratori di ieri e di oggi. In passato si valorizzavano i fatti storici salienti cui la nostra città era stata protagonista; in pratica un orgoglioso vanto. Oggi avviene il contrario, e la conseguente perdita di identità comunitaria a causa di falsi modelli imposti con bizzarria, inseguendo peraltro l’irrealizzabile ambizione di fare di un paesone di provincia un faro internazionale.
Ciò nonostante i fiumi di denaro piovuti in città, che i nostrani amministratori hanno sciupato in pozzanghere davanti al castello di Sigismondo Malatesta, in mesti allestimenti circensi o in finti tristi rinoceronti; ma la lista sarebbe troppo lunga, a proposito di falsi modelli…

COMMENTI

DISQUS: 0