Grandi riminesi dimenticati: Alessandro Tosi, «monuments men»

Grandi riminesi dimenticati: Alessandro Tosi, «monuments men»

Augusto Campana l'ha definito «una delle più nobili figure» che la città di Rimini abbia avuto. Eppure oggi è pressoché sconosciuto. Ma la sua opera di tutela del patrimonio archeologico, artistico e monumentale è stata straordinaria nel periodo tra le due guerre. Nel 1949 la giunta comunale deliberò che il nome di Tosi venisse inciso nella «lapide dei Benemeriti» esposta nella biblioteca Gambalunga. Chi l'ha vista? Uno studio del prof. Giulio Zavatta.

Chi fu Alessandro Tosi? Molte volte ne ha fatto cenno su questo giornale il prof. Giovanni Rimondini a proposito della chiesa di Sant’Agostino, dell’Anfiteatro romano e delle tombe etrusche di Verucchio, definendolo uno che si è battuto come un leone, insieme a pochi altri, per difendere e accrescere il patrimonio culturale di Rimini. Ma, alla ricerca di una risposta esaustiva, provate a digitare Alessandro Tosi Rimini sulla enciclopedia a strascico che si chiama Google e che con la sua rete tira su di tutto, ciò che interessa e anche e soprattutto ciò che va subito rigettato in mare. Scoprirete che quest’uomo risulta poco più che un fantasma, dimenticato nella sua città da chi tiene in mano le redini della cultura. Eppure se ci fosse stato ai suoi tempi il “Premio Rotondi”, è a lui che con pieno merito e con tutti gli onori avrebbero dovuto assegnarlo. E un riconoscimento postumo come salvatore della nostra arte, Rimini dovrebbe comunque attribuirglielo, cominciando col conoscerlo e farlo conoscere.
Perché si parla di lui, allora, in questo balenare di 2023? Perché c’è qualcuno che non segue le mode e studia chi merita attenzione. In questo caso si tratta del prof. Giulio Zavatta, che su Romagna arte e storia si è occupato di Alessandro Tosi «benemerito della cultura per Rimini messo ai margini dal fascismo».
Alessandro Tosi vive tra il 1865 e il 1949. Incrocia sul proprio cammino Augusto Campana, Vittorio Belli, Salvatore Aurigemma, Alfredo Panzini, Carlo Lucchesi ed altri. Sono anni nei quali le “pietre di Rimini” vengono considerate come reliquie anche se non mancano le polemiche, nemmeno allora, sulla tutela dei beni culturali. Succede, ad esempio, negli anni Venti, quando l’amministrazione comunale decide di togliere di mezzo il cippo collocato nel punto in cui Cesare avrebbe arringato i suoi soldati prima di passare il Rubicone, per far posto al passaggio del “metromare” del tempo, cioè alla linea tranviaria. Tra i favorevoli e i contrari divampa lo scontro, che accende anche le pagine dei giornali locali e nazionali. Lo scrittore Alfredo Panzini se ne occupa nientemeno che sul Corriere della Sera, dove collabora alla terza pagina e si schiera per il ritorno in piazza, com’era e dov’era, del «secolare suggesto di Cesare». Stupenda in quell’elzeviro la descrizione della vecchia Rimini che scompare per far posto alla nuova: «Antiche case furono abbattute, stretti e pittoreschi angiporti, dai nomi storici e strani oramai, cedettero il posto a spaziose vie scintillanti di nuovi negozi. Ville e villette, civettuole e galanti, si distesero sino a danzare in ampio coro sulla riva del mare. Per andare al mare usavano una volta sconquassati tranvai, tirati da macilenti cavalli in berretta bianca per difesa dal sole nelle lunghe fermate. Ora corrono lucidissimi tranvai elettrici. Ai buoni pizzardoni abituati all’arte del lasciar fare, ecco sostituiti i metropolitani con l’elmo e l’austera divisa nera, i quali col bianco bastone scettrato regolano il passaggio, proprio come a Milano e a Roma. Ma la velocità è la divinità del nostro tempo, e così velocità include viabilità. Fu per tale ragione che il secolare suggesto di Cesare parve dare impaccio alla viabilità». In questa vicenda ebbe un ruolo anche Alessandro Tosi ma non è questo il luogo per approfondire l’argomento, peraltro oggetto di una bella mostra allestita nel 2010 presso l’Archivio di Stato di Rimini e la Biblioteca Gambalunga, curata dall’archeologa Cristina Ravara Montebelli, che poi curò anche la pubblicazione del volume con l’identico titolo della esposizione (editore “Il Ponte Vecchio”): “Alea iacta est. Giulio Cesare in Archivio”. E però la tentazione è forte per aggiungere un altro piccolo tassello che illumina qualcosa della storia di una città: quando il cippo con il suo suggestum viene confinato nel Museo, prima di fare ritorno in piazza, la Soprintendenza interviene duramente e tiene la barra dritta, pretendendo che torni al proprio posto per far sì che non venga distrutto «un ricordo storico, o leggendario che sia, indiscutibilmente legato ad uno dei più belli e gloriosi episodi di nostra gente». Altri tempi, altre soprintendenze. E a quel punto il sindaco, che in quegli anni è il medico Antonio Del Piano, prende carta e penna per rivendicare di avere la coscienza a posto per «aver provveduto durante il mio sindacato con quel sentimento quasi religioso di conservazione al quale obbedisce istintivamente ogni spirito coltivato». Al di là delle sfumature e degli episodi, fu questo sentimento quasi religioso a muovere l’azione di amministratori pubblici, soprintendenti e ispettori onorari, come fu Alessandro Tosi.
Scrive Zavatta: «Tosi fu indubbiamente il più schivo e modesto dei grandi uomini di cultura del Novecento e per questo motivo, pur essendogli stati riconosciuti molti crediti nell’ambito degli studi, non sono mai stati considerati i suoi grandi meriti civici, che lo configurano come monuments men in entrambi i conflitti bellici». Secondo Augusto Campana è stato «una delle più nobili figure» che la città di Rimini abbia avuto. Non una sola competenza accentrata in una sola persona, com’era non inusuale in quel periodo, fu medico, naturalista, cultore di scienze e di archeologia, di memorie riminesi anche malatestiane. Un altro ritratto, questa volta di Nevio Matteini, lo descrive come dotato di «grande modestia».
Dove «Sandrino» (così lo evoca Augusto Campana) lasciò il segno fu senza dubbio nel campo della «tutela del patrimonio archeologico, artistico e monumentale di Rimini» e dunque tanto più in questa fase storica il suo insegnamento diventa prezioso. Oltre alla relazione sul riordinamento degli oggetti della raccolta paletnologica del “Museo Tonini” risalente al 1930, con tanto di inventario, Alessandro Tosi insieme a padre Gregorio Giovanardi ha anche riordinato, per volere degli eredi, il Fondo Tonini donato alla città. L’incarico di ispettore onorario per la Soprintendenza lo svolse a partire dal 3 settembre 1915, quando l’Italia era già entrata nella prima guerra mondiale e a poca distanza dal «terremoto che colpì Rimini nel 1916». È in questo momento che emerge la sua capillare attività «di difesa e sorveglianza del patrimonio artistico, tale da coinvolgere il monumento o il singolo capolavoro ma anche semplici oggetti liturgici delle chiese o i reperti anche minimi che emergevano dagli scavi», legata soprattutto a «tre grandi imprese condotte in collaborazione (un tratto costante dell’operatività di Tosi) ovvero il restauro degli affreschi del Trecento rinvenuti da Vittorio Belli dopo il terremoto, difendendo il valente – e ancora misconosciuto – restauratore Giovanni Nave, la creazione del museo della città nel convento di San Francesco, con il sostegno di Francesco Malaguzzi Valeri e la tutela e il progetto di scavo dell’anfiteatro romano in stretto contatto con Salvatore Aurigemma (qui e qui), che affidò a Tosi anche il riordino del materiale paletnologico in museo».
Ci sono da difendere i monumenti dalle bombe e le opere d’arte da trasferire «nei depositi della Cassa di risparmio e in altri rifugi». E non meno lavoro gli sarà richiesto in occasione del terremoto che fece tremare la terra da Rimini a Pesaro nell’estate del 1916 (con una magnitudo di poco inferiore alle scosse devastanti (5.7) del 1875), provocando danni enormi alle abitazioni, ai monumenti – compreso il teatro e il castello – e a numerose chiese.
Siccome il «mondo è rotondo», il tempo è ciclico e la natura umana abbastanza prevedibile e ripetitiva, anche in quei primi anni del 900 si verificarono episodi che ritroveremo ancora a Rimini, ad esempio quando, dopo il secondo conflitto mondiale, ci fu da ricostruire il Tempio Malatestiano e gli amministratori comunisti pensarono di farlo a pezzi per venderlo agli americani (secondo la testimonianza di Bernard Berenson). Rivela il prof. Zavatta citando le lettere che intercorsero, che se si fosse assecondato il volere del parroco di Scolca, Carlo Ghigi, la pala del Vasari sarebbe stata messa in vendita seppure non per «poco amore per le cose d’arte» ma per «dura necessità», come si giustificò il religioso. Evitò anche questo sacrilegio Alessandro Tosi, che, fa notare Zavatta, «operò ai primordi delle moderne leggi di tutela, con tutte le difficoltà di farle intendere e, a Rimini, in un contesto di diffusa distruzione». Difficoltà ancora ben vive, però, anche senza bombe e terremoti.
Anche sugli affreschi di Sant’Agostino «esumati dalle nude pareti e restaurati» dal prof. Giovanni Nave, come scriverà nei suoi appunti Alessandro Tosi, saranno anni di grandi imprese. Ma non mancarono le sorprese quando i lavori furono affidati «ad alcuni pittori riminesi che, talvolta spalleggiati dalla soprintendenza di Ravenna, reclamavano di poter eseguire restauri e strappi a costi minori», e così una Crocifissione che si trovava in Sant’Agnese andò in frantumi, facendo disperare Vittorio Belli, Tosi e Francesco Malaguzzi Valeri, che tra le altre cose fu direttore della Pinacoteca Nazionale di Bologna e soprintendente alle Gallerie di Bologna e della Romagna.
Per assicurare una «conveniente sede» ai «molti quadri delle soppresse chiese, e strappi di affreschi recentemente scoperti e posti su tela sparsi in diversi luoghi, privi di sorveglianza e soggetti sempre a subire danni irreparabili», Tosi mise tutto il suo impegno anche per istituire un museo nel convento di San Francesco che fu inaugurato ma affidato alla direzione di Aldo Massera e non a Vittorio Belli come avrebbe voluto l’ispettore onorario.
Non meno prolifico di risultati il «sodalizio con l’archeologo Salvatore Aurigemma, che dal 1924 aveva preso la direzione della neoistituita soprintendenza archeologica dell’Emilia Romagna», sia per quanto riguarda il riordino della collezione paletnologica che per l’anfiteatro romano, in quest’ultimo caso arrivando ad istituire «una zona di rispetto archeologico sul sito dell’antico monumento», minacciato «da un progetto di edilizia popolare». Ma gli anni dal dopoguerra ad oggi hanno visto prevalere altri interessi su quelli della tutela del patrimonio archeologico, se è vero come è vero che l’anfiteatro, alla faccia dei vincoli che avrebbero dovuto tutelarlo, è ancora occupato da un asilo.
Nel 1929, dopo quattordici anni di servizio gratuito ed anzi spesso impegnato in «azioni di tutela finanziate da lui stesso», a Tosi venne dato il benservito, senza nemmeno un cenno di ringraziamento, facendogli così pagare quel suo essere socialista cattolico che «non volle mai aderire al fascismo». Alle lettere del soprintendente Luigi Corsini che gli comunicava la sostituzione e lo invitava a raccogliere «tutti gli atti e documenti che Vossignoria detiene riferentisi alle sue funzioni di R. Ispettore Onorario», non rispose. «Fu forse la prima volta che non tenne fede al proprio ruolo negando un riscontro», scrive Zavatta, «non protestò, non rivendicò nulla e oppose semplicemente il suo indignato silenzio. Ben presto, tuttavia, dovette prendere atto della situazione». A succedergli fu Gino Ravaioli, braccio destro di Lucchesi, ma Tosi continuò ad interessarsi alla «ripresa dello scavo dell’anfiteatro» ed alla «sistemazione definitiva del Museo» e ad essere un punto di riferimento anche per Salvatore Aurigemma. Consegnò la relazione sui materiali paletnologici, «nella sua prima versione – poi costantemente aggiornata – nel 1930, più di un anno dopo essere decaduto dalla carica». Un uomo totalmente dedito all’interesse generale e alla missione di tutelare il patrimonio archeologico, artistico e monumentale di Rimini.
Quando cadde il regime, «l’anziano medico, ormai ottantenne, riuscì a ottenere nuovamente un incarico: il 15 marzo 1944 ebbe il permesso di recarsi tra le macerie del museo al fine di recuperare e catalogare il materiale paletnologico. Un’immagine quasi commovente di una persona che aveva dedicato tante delle sue energie al museo, alla sua nascita e al suo ordinamento, per vederlo inesorabilmente distrutto dopo appena vent’anni. Nonostante più di un decennio di emarginazione per motivi politici il minuto e anziano dottor Tosi tornò comunque a chinarsi sui suoi oggetti, a salvare il salvabile, a catalogare, senza rassegnazione, senza spirito di rivalsa. Dopo la guerra, il 21 settembre 1946, donò tutti i suoi libri e due vetrine alla biblioteca di Rimini e questo sembra essere l’ultimo – e assai significativo – atto pubblico in favore della città di Rimini».
Dopo la morte di Alessandro Tosi, l’11 novembre 1949, Carlo Lucchesi formalizzò alla giunta (siamo più o meno nel periodo del passaggio dal sindaco Walter Ceccaroni al prosindaco Gomberto Bordoni che rimase in sella poco più di due mesi) la preghiera di riconoscere le benemerenze di colui che per una vita pensò solo al miglior bene degli «Istituti Culturali di Rimini», come si può leggere nella delibera degli amministratori comunali. Stabilirono, con atto deliberativo, appunto, «che il nome del compianto dott. Alessandro Tosi venga inciso nella lapide dei Benemeriti, che trovasi esposta al pubblico in una Sala della Civica Biblioteca Gambalunga». Ma esiste la lapide dei Benemeriti? No. «A ricordare Alessandro Tosi restava dunque a Rimini solo un nome inciso in una lista su una lapide in biblioteca, oggi non più esistente». E comunque «alla prova della storia, e del tempo che inesorabilmente cancella la memoria personale dei testimoni con il passare delle generazioni, quel piccolo omaggio oggi non risulta più sufficiente segno dei grandi meriti umani e scientifici di Alessandro Tosi». È la considerazione finale che il prof. Zavatta consegna alla città, e che non dovrebbe fare la fine della lapide dei Benemeriti.

Giulio Zavatta, «“Valentissimo e modestissimo”: Alessandro Tosi (1865-1949) benemerito della cultura per Rimini messo ai margini dal fascismo», Romagna arte e storia, Anno XLII, numero 121, gennaio-aprile 2022.

Fotografia: particolare di una delle rarissime immagini di Alessandro Tosi, forse l’unica reperibile, scattata davanti all’Arco d’Augusto, che reca sovrascritto in basso: “Dott. Alessandro Tosi, Ispettore onorario ai monumenti di Rimini, cittadino onorario della Repubblica di San Marino”, con le date di nascita e morte.

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