In attesa che la Soprintendenza si esprima sul monumento dello spritz

In attesa che la Soprintendenza si esprima sul monumento dello spritz

Da una parte c'è il Codice dei beni culturali e del paesaggio, che parla chiaro. Dall'altra c'è la volontà del Comune di "tutelare" i locali della zona, che utilizzano i banchi in marmo della antica pescheria come "prolungamento" dei loro spazi commerciali. Spetta alla longa manus del ministero della cultura sbrogliare la matassa. Senza mettere in secondo piano il nostro patrimonio storico ed artistico.

L’Antica Pescheria è stata da tempo alla ribalta delle cronache. Non per la sua bellezza monumentale e la sua storia, ma per fatti occorsi spesso disdicevoli di cui essa e la zona in genere ne sono stati protagonisti.
Per tutto quel vissuto e le indignazioni di circostanza che si manifestano in quelle tristi occasioni, ci si sarebbe atteso che la recente rottura accidentale del banco lapideo potesse costituire comunque un vero e profondo momento di riflessione circa l’improprio utilizzo del monumento, e non solo.
Invece su quei banchi sono continuate le sedute e le apparecchiate, tollerate come se nulla fosse accaduto; sono pure spariti i timidi cartelli “dissuasori” appiccicati alla bell’e meglio dall’amministrazione cittadina, all’indomani del cedimento del famoso banco per scoraggiarne l’uso non consono; tanti quelli elencati ma non quelli conviviali sebbene della stessa natura. In pratica un cortocircuito.

Il divieto è durato pochissimo. Sono già spariti i cartelli “dissuasori” che avrebbero dovuto scoraggiare “ogni tipo di attività non appropriata sui banchi di marmo” di “questo monumento della città”.

Poi, dopo lo specifico annuncio, è avvenuto l’incontro dell’assessorato competente con i gestori delle attività che si affacciano in quel monumento, ovviamente tutte di mescita e ristorazione. Ma non con i residenti e semmai con gli esperti di storia locale, e questo la dice molto lunga su due aspetti.
Il primo è che esistono discriminazioni tra gli stessi cittadini, gestori, e residenti che evidentemente non contano nulla; il secondo è che si continuano ad ignorare eminenti esperti storici locali, dimostrando così la considerazione di oggetto di consumo di quello che in realtà è bene monumentale.
Rammento, per coloro semmai di memoria corta, che l’attuale amministrazione in campagna elettorale aveva sparso e professato ai quattro venti parole come “interpello dei cittadini su importanti temi”, “scelte condivise”, ed altre ammiccanti amenità del genere.
Ebbene dato che questo argomento risulta di non poco conto, e che interessa e coinvolge tutta la città, poteva già di per sé costituire un banco di prova, ovvero una dimostrazione di quegli atti di fede; ma come è stato dimostrato, tutto procede con le stesse modalità di prima, con la conseguente disillusione di coloro che in questo hanno sperato, e l’amara riprova per chi non ci aveva creduto.
Ma torniamo al punto, che esula da qualsiasi ideologia politica o di schieramento in quanto tale. Durante il predetto incontro è stato espresso il concetto di “trovare un equilibrio tra l’intrattenimento legato alla presenza delle diverse attività che esercitano nell’area e la tutela di un bene storico, architettonico e identitario come la vecchia pescheria”, e di arrivare all’elaborazione di una serie di regole condivise con gli operatori per una più funzionale fruizione dell’area della vecchia Pescheria, che possa non solo garantire la valorizzazione del monumento, ma allo stesso tempo offrire maggiori garanzie alle stesse attività di poter lavorare con maggior tranquillità e certezze. Ma come si coniuga la valorizzazione di un bene architettonico, adoperandolo come un mero oggetto di consumo? Ed inoltre: quale azione possono esercitare i gestori delle attività in proposito, e a quale titolo? Domande di difficile risposta, appoggiate su presupposti che aleggiano nel vago, se non nelle tristi artificiali nebbie gnassiane che si materializzano poco distante da quel luogo.
Vi è da dire che il Codice dei beni culturali e del paesaggio, legge 6 luglio 2001, n. 137 (Decreto Legislativo 22 Gennaio 2004, n. 42), contiene due specifici articoli che parlano chiaro a proposito della conservazione ed utilizzo dei monumenti storici; l’art. 20 comma 1, e 30 comma 1.
Il primo (Articolo 20 – Interventi vietati) recita: «I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione».
Il secondo (Articolo 30 – Obblighi conservativi): «Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pubblico hanno l’obbligo di garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di loro appartenenza».
Alla luce di questi precetti non sembra proprio che l’Antica Pescheria sia soggetta a riguardo, conservazione e ad uso opportuno alla sua natura.
Proseguendo appare fin troppo ovvia la scontata replica circa l’apprezzamento unanime dei gestori per la volontà di affrontare in maniera condivisa questo percorso; e tra le priorità manifestate, la necessità di implementare la sicurezza dell’area.
Tutta la città di Rimini da nord a sud ha la necessità di implementare la sicurezza, anzi magari solo di averla; lo chiede invano da tempo immemore, e lo dicono pure le tristi classifiche in proposito che ci vedono sempre protagonisti. È un aspetto importante, mai risolto, frutto della mancanza di coraggio di attuare alcune scelte incisive, ma anche di impreparazione.
Tutte le sere in Centro e, specie in Piazza Cavour adiacente l’Antica Pescheria e la Piazzetta San Gregorio e aree limitrofe, stazionano più pattuglie delle forze dell’ordine, perché evidentemente la zona ha da più di un decennio delle importanti problematicità. Esse vengono sottratte ad altri compiti ben più importanti, ove mancano quelle risorse che invece occorrerebbero, oltre ad essere un costo – improprio – per la collettività a causa di una minoranza.
La sicurezza, specie, in Centro è sempre figlia di scelte politiche, di una classe rappresentativa che ha travisato la funzione naturale e la vivibilità di una città che la nostra cultura ci ha consegnato, evitando scelte sociali e commerciali tradizionali e consolidate nel tempo, incentivando attività notturne che involontariamente poi producono atti fuori controllo da parte di molti loro avventori.
Poi il finale del resoconto dell’incontro, ove in qualche quotidiano si legge che “tutto dipenderà dalle valutazioni che la Soprintendenza sta svolgendo sulla struttura”; mentre in un altro che “In questo senso gli uffici del Comune, sulla scorta delle indicazioni che si attendono dalla competente Soprintendenza sull’utilizzo dei banchi marmorei, elaborerà una sorta di regolamento che sarà sottoposto agli operatori, per avviare insieme un confronto e arrivare ad una sintesi”.

Monumento o locale di “ampliamento” dei locali? Si attende che la Soprintendenza si pronunci alla luce del Codice dei beni culturali.

Quale significato hanno queste affermazioni, peraltro diverse tra loro? La Soprintendenza si esprimerà imponendo a tutti – come giusto che sia – un uso consono e rispettoso del monumento giusti i citati articoli del Codice dei beni culturali, oppure autorizzerà l’uso improprio in contrasto con gli stessi?
È impossibile che tra i due aspetti possa esservi una sintesi proprio per peculiarità diametralmente opposte, e sarebbe ormai ora che quell’ente deputato a tutelare il nostro patrimonio storico ed artistico, lo facesse davvero intervenendo in maniera decisiva per riportare il rispetto che merita e che gli è dovuto anche se spesso è stato oltraggiato oltremodo.
Ma nel frattempo, comunque, si continua a consentire l’uso inadeguato della Antica Pescheria, con la sottintesa difficoltà di contraddire e scontentare una categoria commerciale evidentemente importante per la trascorsa ed attuale amministrazione.
Il quadro generale però trae origine dalla tradizionale indifferenza e scarsa attenzione, manifestata dalla maggior parte dei riminesi verso il proprio patrimonio culturale e dei propri luoghi identitari. È un fenomeno che viene da lontano, per via di una classe politica che attratta da falsi modelli, in seguito dimostratisi tutti perdenti, non si è formata una cultura basata sui quei temi, e di conseguenza non ha neppure saputo educare a tal fine i propri amministrati. Anzi specie in quest’ultimo decennio, si è conclusa questa apoteosi dell’effimero, del pacchiano e del nulla, attuato da coloro che hanno imposto il concetto che ciò che è avvenuto al Ponte Tiberio, piuttosto che al Castello Sigismondo ed oltre, debba essere considerato riqualificazione e valorizzazione (!).
A parte poi qualche intervento del momento, questa vicenda vede anche la completa assenza sia delle opposizioni che delle associazioni culturali cittadine; nessuna azione concreta, e neppure l’onore di uno di quei banchetti per la raccolta di firme, sempre pronti invece per altre iniziative. Silenzio completo. Sono invece convinto che iniziative del genere avrebbero un importante seguito, che potrebbe far capire che a Rimini ancora tante persone dissentono da certe scelte unilaterali.
Quindi cari concittadini dimenticatevi quella preziosa area, conservate semmai il ricordo di ciò che in passato fu, e pensate che non appartiene più alla collettività da tempo, ma solo appannaggio di una ristretta categoria commerciale e relativa clientela. Comprendo chi, come il sottoscritto, evita di transitarvi, perché avverte di essere stato scippato di un meraviglioso luogo identitario in cui oggi siamo estranei perché ieri storia, cultura e vera socialità, oggi tempio del vacuo e del nulla, e che nel vederlo banalizzato in tal modo provoca solo amarezza e dispiacere.
Poi, infine, anche il pretesto della pandemia ha indotto l’occasione per diffondere altrove quella linea di pensiero; ma questa, sebbene organica ad una “visione” generale, è un’altra storia che affronteremo in seguito.

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