Industriale o artigianale la piadina romagnola va prodotta in Romagna

Industriale o artigianale la piadina romagnola va prodotta in Romagna

Il Tribunale UE oggi ha respinto il ricorso del colosso modenese Crm ma ha mosso alla Commissione europea una serie di rimproveri. Ed ha ribadito che "il consumatore associa l’immagine della piadina romagnola, a prescindere dalle modalità artigianali o industriali di realizzazione, al territorio della Romagna".

Attorno al riconoscimento della denominazione Igp per la piadina romagnola è in atto da anni una guerra a suon di carte bollate perché, di fatto, gli scontenti sono più d’uno.
Oggi si è pronunciato anche il Tribunale UE ed ha respinto il ricorso del colosso modenese Crm ma ha mosso alla Commissione europea una serie di rimproveri.

La Crm Srl è un’azienda leader della produzione di piadine, più in generale di prodotti da forno, per la grande distribuzione organizzata, che ha chiesto l’annullamento del regolamento di esecuzione della Commissione europea, (risale al 24 ottobre 2014), relativo alla iscrizione della Piadina Romagnola/Piada Romagnola Igp nel registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette. Crm non gradisce che l’uso della denominazione «romagnola» sia riservato solo alle piadine prodotte nell’area geografica protetta perché il proprio stabilimento di produzione si trova in Emilia.

La domanda di registrazione della Igp «piadina romagnola» è stata proposta alle autorità italiane, nel 2011, dal Consorzio di promozione e tutela della piadina romagnola (che mette insieme aziende romagnole artigianali ma anche industriali e in parte piccole realtà ambulanti) e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 28 gennaio 2012. Sono scattate varie opposizioni a partire da quella dei produttori artigianali di piadine vendute nei chioschi, capitanati da Confesercenti e Slow food, che hanno contestato l’equiparazione delle piadine prodotte industrialmente a quelle di fabbricazione artigianale vendute, appunto, nei chioschi. Ma le autorità italiane hanno tirato dritto, depositando alla Commissione europea la dichiarazione di registrazione della Igp e il disciplinare di produzione.

La Crm ha impugnato il disciplinare davanti al Tar del Lazio che nel maggio del 2014 ha accolto il ricorso e imposto alle autorità italiane (Regione Emilia Romagna e ministero delle politiche agricole) di riformularlo. Di fatto la sentenza fece esultare il colosso modenese ma anche coloro che rivendicavano una tutela artigianale per la piadina romagnola. “Il disciplinare bocciato dal Tar era paradossale, fuori da ogni logica e privo buon senso, avrebbe infatti permesso che la denominazione “piadina romagnola” diventasse patrimonio dei grandi produttori industriali, mentre gli artigiani avrebbero perso il diritto di usarla perché avrebbero dovuto sottostare a ingredienti e regole pensate per macchinari industriali che producono e mettono nelle buste di plastica migliaia di piadine al giorno”, commentò entusiasta Confesercenti.

Ma il 13 maggio 2015, il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza del Tar del Lazio e la Crml ha proposto ricorso al Tribunale UE. Oggi la sentenza. Il Tribunale ha respinto il ricorso della Crm, con una serie di puntualizzazioni. Anzitutto ha rilevato che la Commissione non ha commesso errori di diritto “ritenendo che sussista un legame tra la reputazione del prodotto, anche industriale, e la sua origine geografica. Il Tribunale sottolinea, a questo proposito, che tale legame esiste in ragione di fattori umani. Infatti, grazie alle tecniche di fabbricazione della piadina, trasmesse in Romagna di generazione in generazione, inizialmente per il consumo immediato e poi per la consumazione differita, e grazie agli eventi socio-culturali organizzati dalla popolazione romagnola, il consumatore associa l’immagine della piadina romagnola, a prescindere dalle modalità artigianali o industriali di realizzazione, al territorio della Romagna”.

Ma il Tribunale sostiene anche che la Commissione, “non avendo tenuto in considerazione l’avvenuto annullamento del disciplinare di produzione da parte del Tar del Lazio, ha svolto un’istruttoria incompleta e violato il principio di buona amministrazione”. Tuttavia, poiché la sentenza del Tar del Lazio è stata annullata dal Consiglio di Stato, i profili di illegittimità restano, per così dire, “virtuali”, il Tribunale conclude che essi non possono condurre all’annullamento della decisione della Commissione.

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