La chiesa dei gesuiti e la Rimini cristiana solo in apparenza

La chiesa dei gesuiti e la Rimini cristiana solo in apparenza

Intitolata a San Francesco Saverio, chiamata del Suffragio, è «uno dei luoghi più densi di storia internazionale di tutta Rimini», grazie alla presenza della Compagnia di Gesù, ci spiega Rimondini. I padri evangelizzatori dovettero impegnarsi non poco perché trovarono scandali nei conventi, parroci dediti a tutt'altro che alla predicazione del vangelo, e molta ipocrisia.

È un giorno di novembre quando invito Gianni a prendere un caffè insieme. Ci vediamo e nell’occasione parliamo di vari argomenti che attengono i monumenti riminesi, e di ciò che, grazie a lui, ho scoperto nella chiesa cosiddetta di Sant’Agostino.
Ad un certo punto Gianni mi inizia a raccontare una delle peculiarità presenti nella chiesa intitolata a San Francesco Saverio, altrimenti chiamata correntemente del Suffragio, e mi esorta ad andare a vedere due importanti epigrafi al suo interno che si ricollegano ai Gesuiti che fondarono quell’edificio religioso con annesso collegio; ci lasciamo con l’impegno di rivederci per raccontare la storia legata ad esse.
Entro in seguito in quella chiesa approfittando della sua apertura dopo la funzione religiosa, e chiedo al sacerdote di indicarmi quelle epigrafi che, dopo avermele mostrate, fotografo; poi invio quelle immagini a Gianni. È un’occasione, perché quel bellissimo edificio religioso è sempre chiuso, tranne per quei momenti quotidiani dedicati alla celebrazione delle messe.
Torniamo sul posto alla prima occasione, e il vecchio amico mi rende subito una traduzione che poi si ricollegherà ad una storia più ampia.
Chiesa di San Francesco Saverio o del Suffragio. Sopra il finestrone della controfacciata:

CAESARI GALLO
TEMPLI HVIVS FVNDATORI
A(NNO) R(EPARATAE) S(ALVTIS)
MDCCXXI

[A Cesare Galli fondatore di questa chiesa, anno della recuperata salvezza 1721]

Nell’atrio della prima porta laterale:

CAESAR GALLVS
MORTE PERENCTVS
VIVIT IN HAC SIBI
MOLE SVPERSTES

[Cesare Galli portato via dalla morte vive in questa mole a sé superstite.]

Inizio quindi ad interrogare Gianni.

Sai chi era Cesare Galli e perché gli viene attribuita l’esistenza di questa chiesa?
«Cesare Galli, cittadino di Rimini, dottore in diritto canonico e civile, protonotario apostolico e sacerdote, che era stato vicario dei vescovi di Parma e Piacenza, il 15 maggio 1655 per mano del notaio Simone Ugolini fece testamento e lasciò il suo patrimonio – i poderi Palazzina e Casino oltre il mulino da grano Radiconi sul fiume Conca presso Misano – ai Gesuiti del Collegio di Rimini perché costruissero la chiesa nel cantone del loro isolato tra le vie che oggi chiamiamo Giovanni XXIII e Luigi Tonini. Il capitale del Galli non era cospicuo e si dovettero aspettare diversi anni perché si accumulassero i redditi necessari per iniziare la costruzione della chiesa. Aperta in un locale provvisorio nel 1631 e dedicata a San Francesco Saverio, il compagno di Ignazio da Loyola che lungo le rotte portoghesi aprì ai missionari le vie dell’India, Cina, Australia e Giappone, canonizzato nel 1622.
La prima pietra della chiesa venne benedetta dal padre rettore Pierantonio Maffei il 21 maggio 1718. A tal fine vennero demolite le case che occupavano il sito e, lentamente, in diverse fasi la chiesa venne costruita fino agli anni 1739 e 1740.»

Come fai a conoscere tutte queste notizie?
«Da giovane mi sono dedicato allo studio dei Gesuiti Riminesi e mi sono recato diverse volte a Roma nell’archivio della Compagnia di Gesù, dove è conservato quel che rimane degli atti del Collegio di Rimini. Ho portato con me le due pubblicazioni dedicate ai Gesuiti: “La chiesa nuova dei Gesuiti a Rimini” oggetto di un articolo su “Romagna arte e storia” a.2. n.5, 1982, e “I Gesuiti a Rimini, 1622-1773” catalogo della mostra nel museo del 1992.»

Sai anche chi ha progettato la chiesa?
«A Roma ci sono i documenti per ricostruire la lunga e complicata vicenda progettuale del Collegium Ariminense e della chiesa. Per cominciare ogni progetto doveva essere esaminato dal matematico del Collegio Romano e approvato dal padre generale; poi non è facile trovare un solo progettista o una sola progettazione. Nei mesi precedenti la fondazione della chiesa di San Francesco Saverio è documentata in un disegno aulico, lussuoso e costoso, dell’architetto romano Ludovico Rusconi-Sassi, e in uno meno bello ma anche meno costoso adattato dal capomastro Domenico Trifogli, un ticinese che stava a Imola con una squadra di muratori e di stuccatori. Ma per le decorazioni dell’interno i Padri vollero che intervenisse un architetto di maggior valore del Trifogli. Negli anni ’30 del ‘700 a Rimini sostavano per la costruzione e decorazione del teatro arcadico, Francesco Galli Bibbiena col suo scolaro lorenese Francesco Chamant. L’interno della chiesa sembra infatti una sontuosa e teatrale “aula regia”.»

Quando erano arrivati i Gesuiti a Rimini?
«Nel 1610 il patrizio riminese Francesco Rigazzi consegnò al notaio Antonio Maria Bartolini il suo testamento, nel quale diseredava il figlio naturale Antonio, per gravi dissensi, e destinava i suoi beni alla erezione a Rimini di un collegio nella sua casa, che esiste tuttora. Il vescovo Angelo Cesi appoggiò la decisione e nel 1627 il Rigazzi ottantenne con una donatio inter vivos, decise di ospitare in parte della sua casetta i primi Gesuiti. Due anni dopo arrivarono i padri Ludovico Busti “schiavone”, che sarà il primo rettore del collegio e Domenico Grassetti con un fratello laico.
Nel 1631 poco prima di morire, Francesco Rigazzi offrì ai padri un suo “granaro” per l’apertura della chiesa di San Francesco Saverio. Sull’altare maggiore i Gesuiti fecero dipingere a Guido Cagnacci una tela con i tre martiri gesuiti del Giappne – tuttora esistente in chiesa -. Dopo la morte del “fondatore” e il ritiro in convento della vedova, i Gesuiti aprirono le prime due scuole di Grammatica e di Umanità e Retorica. Nel 1650 i padri erano sei.»

Come li accolsero i Riminesi?
«Una parte di giovani nobili, del ceto medio o dei comuni cittadini si lasciò coinvolgere nel duro lavoro della vita cristiana autentica, aderendo ai programmi di educazione religiosa nei due oratori dei nobili e degli orefici, che esistono tuttora; quello dei nobili è opera, a mio avviso, di Francesco Galli Bibbiena o di Francesco Chamant, che si era fermato a Rimini per qualche tempo, prima che lo chiamasse il Granduca di Toscana. Ha perduto purtroppo in tempi non lontanissimi gli stalli lussuosi che ne adornavano le pareti.
Ma gli altri, che volevano un cristianesimo comodo da subito li odiarono, li contrastarono e li sottoposero anche a offese fisiche.»

L’ingresso degli oratori con sopra il portale l’addentellato, i mattoni sporgenti, come nella facciata della chiesa, come morse per ricevere gli ornamenti di pietra d’Istria.

Come mai?
«I Gesuiti erano una macchina da guerra per la diffusione della fede, e Rimini era cristiana solo in apparenza. Basti leggere le relazioni dei vescovi, dopo il Concilio di Trento (1565-1563) in visita pastorale a Rimini e nel riminese; preti assenti e spesso coinvolti in relazioni immorali, chiese abbandonate, mancanti dei paramenti sacri e a volte persino dei battenti delle porte. I parroci che preferivano la caccia alla educazione cristiana dei loro fedeli, numerosi scandali nei conventi, e molta ipocrisia; la situazione della religione cattolica a Rimini era compromessa anche un secolo dopo. I Gesuiti si misero all’opera per educare i giovani destinati agli studi superiori, a confessare i notabili disposti e trattarono Rimini e il suo territorio come terra di missione, con “esercizi” spirituali, prediche nelle piazze, azioni teatrali finalizzate alla diffusione delle verità cristiane e dei riti.»

Ma tutto ciò ha un nesso con le altre missioni che la Compagnia di Gesù svolse nel mondo?
«Salvatore, siamo in uno dei luoghi più densi di storia internazionale di tutta Rimini, che partecipa alla grande espansione mondiale delle missioni dei Gesuiti, un fenomeno di dimensioni mai più tentate, una riscossa della chiesa romana contro le derive ereticali luterane e calviniste dei paesi tedeschi e in parte della Francia.
Nella loro formidabile diaspora missionaria, i Gesuiti, tutti coltissimi e bravi strateghi religiosi, nell’Europa rimasta cattolica riuscirono a farsi assumere come i confessori dei re. Ritenevano che bisognasse convertire il capo e i notabili di uno stato e poi tutti i sudditi li avrebbero seguiti.
Ebbero il permesso di aprire un’università scientifica a Pechino presso la Città Proibita, e convertirono un’intera società feudale giapponese col suo duca che stava per raggiungere il controllo dello shogunato, il vero governatore militare del paese sotto un imperatore del tutto privo di potere. Purtroppo poi la gens cristiana con i suoi nobili convertiti perdette la guerra civile e lo shogun vincitore Tokugawa eliminò tutti i cristiani e chiuse il paese ai contatti con gli stranieri. Il suo nome venne dato al periodo di storia giapponese dal 1603 al 1868.
Nelle Americhe invece si erano diffusi presso le tribù dei nativi Uroni, alleati dei Francesi – contro gli Irochesi e altre tribù alleate degli Olandesi. Hai visto l’emozionante film Manto nero di Bruce Beresford del 1991? Nell’America del sud, i Gesuiti fondarono collegi in California, in Messico, Perù, Cile, Brasile, Argentina. Si misero dalla parte dei nativi, combattendo contro i mercanti di schiavi portoghesi e spagnoli, contribuirono alla fondazione dello stato del Paraguay aiutando gli indigeni contro il Portogallo e la Spagna. Scelta politica che pagarono cara. Hai visto il film Mission di Roland Joffé del 1986?»

Ho visto solo il secondo tanto tempo fa ma, credimi, lo ricordo ancora per la sua intensità drammatica e quanto erano attivi nella loro missione animata dal loro spirito cristiano, a difesa degli ultimi della terra. Ma come si conobbero poi le loro gesta.
«Le notizie sulle missioni gesuitiche in Paraguay diffuse da Ludovico Antonio Muratori nella sua opera Il Cristianesimo felice nelle Missioni dei padri della Compagnia di Gesù, 1752, si basavano sulle informazioni delle lettere del missionario gesuita riminese Carlo Gervasoni, rettore del Collegio di Tucuman, al fratello, missive che sono conservate nella Biblioteca Alessandro Gambalunga.»

E poi come andò a finire?
«Nel ‘700 i sovrani europei portoghesi e francesi, premuti dalle loro lobbies commerciali, finanziarie e sociali borghesi, e non sopportando più di avere sempre sul collo il fiato dei Gesuiti padri confessori, si convinsero a distruggere la Compagnia. Dapprima i Braganza di Portogallo e poi tutti gli stati Borbonici – Francia, Spagna, Napoli, Parma – dal 1759 al 1767 espulsero i Gesuiti dalle colonie americane; li caricarono sulle navi e li sbarcarono sulle coste dello stato pontificio; anche a Rimini ne arrivarono a decine.
Poi il Papa francescano santarcangiolese Clemente XIV, al secolo Lorenzo Ganganelli, che era stato educato da bambino proprio in questo collegio di Rimini, con il breve Dominus ac Redemptor del 1773 li soppresse e ne incamerò gli immensi beni.»

Sorte singolare, soppressi da chi era stato da loro educato; irriconoscenza come minimo direi. E in seguito?
«In seguito Papa Pio VII li ripristinò, e l’attuale papa Francesco è un Gesuita.»

Rimane qualche altra testimonianza lapidea del benefattore principale di quest’ordine religioso?
«Nel Collegio, al primo piano a sinistra delle scale esiste ancora il locale della Biblioteca dove un’epigrafe ringrazia Cesare Galli anche per i capitali forniti per la Biblioteca»:

CAESARE GALLO P(ATRITIO) ARIMINENSI
I(VRIS) V(TRIVSQVE) D(OCTORI) PROTONOT(ARIO) APOST(OLICO)
OB BIBLIOTHECAM HANC EXAEDIFICATAM
LIBRORVMQVE SUPPELLECTILI AVCTAM
COLLEGIVM ARIMINENSE P.P, (PATRES).S(OCIETATIS).I(IESV).
B(ENE).M(ERENTI).P(OSVERVNT).C(HRISTI).ANNO MDCCLII

[Al benemerente Cesare Galli patrizio riminese dottore nell’uno e nell’altro diritto civile ed ecclesiastico, protonotario apostolico, per l’edificazione di questa biblioteca aumentata con suppellettile di libri, i Padri Gesuiti del Collegio Riminese posero nell’anno di Cristo 1752.]

E qualcos’altro che ricordi uno dei due personaggi che favorirono l’insediamento dei Gesuiti?
«Seguimi Salvatore, andiamo in Via Cavalieri. Guarda la parte di fabbrica che inizia dalla colonna sinistra dell’accesso alla lavanderia dell’ex ospedale Infermi, fino ad incontrare quella ben più alta, era la casa di quel Francesco Rigazzi di cui ti ho già narrato le vicende. Il prospetto che vedi fu modificato dopo il 1773 da Gaetano Stegani per il Seminario – quei grandi e bei raccordi curvi -; poi l’edificio per pochi mesi diventò il convento dei Domenicani e nel 1805 fu trasformato in ospedale civile. La casa del Rigazzi fu ancora modificata nel 1925 con l’aumento delle finestre. Devi sapere che per quest’ultima trasformazione, esiste un progetto ora conservato presso l’Archivio di Stato di Rimini, nella sezione “Archivio Storico Comunale di Rimini sezione moderna, 16.0013, ultimo fascicolo, prime carte”.»

La casa di Francesco Rigazzi, compresa tra la colonna sinistra del cancello e tutta la parte più bassa del fabbricato verso Corso Giovanni XXIII.

Come spesso accade si scopre che la nostra città in passato fu parte protagonista della storia, ed anche oggi Gianni ce lo ha piacevolmente raccontato e ricordato, e lo ringrazio come al solito. Un ordine religioso con vocazione internazionale, ma in questo caso saldamente radicato in loco.
Rimini un tempo città di cultura piena di testimonianze storiche e artistiche, che nonostante le distruzioni belliche ed in seguito quelle operate dai cosiddetti “modernisti” locali, conserva ancora ricchi spunti di cultura spesso ignoti o celati nell’oblio.
Non ci resta che sperare nelle nuove generazioni, che si distinguano dalle precedenti, appassionandosi di quelli che sono i nostri veri valori. Noi continuiamo ciascuno per le proprie capacità e competenze nella nostra missione; ben diversa ovviamente da quelle compiute dai Gesuiti, ma comunque utili ad informare e a cercare di creare un interesse per cose appartenenti al vero aspetto storico locale, oscurato e sostituito da banalità propinate alla bell’e meglio.

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