La “coppia d’Arimino” fra vita poetica e storia

La “coppia d’Arimino” fra vita poetica e storia

Sulla veridicità storica dell'episodio di Paolo e Francesca. E sul perché sia meglio sospendere il giudizio. Due novità sulla morte dei cognati innamorati.

DUE NOVITÀ SULLA MORTE DEI DUE COGNATI FRANCESCA DA POLENTA IN GIOVANNI “ZOTTO” MALATESTA E PAOLO MALATESTA

La mia precedente ricerca sulla morte di Francesca da Polenta Malatesta e Paolo Malatesta pubblicata sul sito Rimini 2.0 è stata una provocazione, con l’intenzione di buttare un sasso nella piccionaia coltissima dei tubanti dantisti, in relazione con il problema tuttora non affrontato della credibilità storica del nostro sommo poeta Dante Alighieri. I piccioni non si sono turbati né mossi né hanno tubato. Tra i pochissimi a rispondermi, da me provocato, è stato Alessandro Barbero, un vero signore, considerando la mia bassa posizione nell’ordine della beccata degli storici, che ha voluto conoscere il documento pubblicato da Luigi Tonini, il rescritto pontificio del 1288, sulla base del quale, calcolando l’età di Tino figlio di Zambrasina seconda moglie di Giovanni Malatesta ero arrivato alla conclusione che Francesca poteva essere morta qualche anno prima di Paolo.

Come vestiva Francesca da Polenta. Pietro da Rimini e bottega, Cappellone di S. Nicola a Tolentino, la Fede veste l’abito di corte delle donne dei Malatesta, di foggia attestata anche a Venezia nei dipinti di Paolo Veneziano. Delle tre parti – veste, sopraveste, mantello – vediamo la veste rossa e la sopravveste bianca. Notevole la cintura sotto il seno, di origine greco-bizantina, da donna incinta, che permette lunghe pieghe fluenti, e la passamaneria bizantina.

“LO DOLCE PIANO CHE DA VERCELLI A MARCABO’ DICHINA”

Barbero non si è pronunciato, si è solo indignato quando gli ho scritto di un’ipotesi di Jacopo Zennari, padre della nostra indimenticata Maria Luisa, sull’identificazione del toponimo Vercelli. Dato che esistono numerosi toponimi celtici Vercelli – indicanti terreni sabbiosi, o relitti fluviali ricchi di metalli -, il Vercelli dei versi 73-75 del XXVIII dell’Inferno, dove Pier da Medicina dice a Dante: “Rimembriti di Pier da Medicina, se mai torni a veder lo dolce piano che da Vercelli a Marcabò dichina”, non sia Vercelli città piemontese – dove Alessandro Barbero insegna medievistica nella locale università del Piemonte orientale -, ma la località Voghenza vicino a Ferrara – attestata da un’epigrafe romana rinvenuta in situ con l’indicazione dell’ager ossia del territorio Vercellensium Ravennatium [di Vercelli Ravennate] e da altri documenti – e che lo “dolce piano” non sia allora la vasta pianura padana, come da sempre ammesso da tutti i dantisti, ma la bassa bolognese, ferrarese e ravennate. Ipotesi da me considerata accettabile, dato che Vercelli del Piemonte è troppo distante, non è in piano e nemmeno sul Po da poter segnare la valle padana. E poi la “valle padana” non sembra essere una partizione territoriale dei tempi di Dante, che non comprendevano un territorio politico unito di Lombardia, Veneto e Romagna. Marcabò era un castello di barche veneziano alla foce del Po di Primaro distrutto nel 1309. Questa Vercelli dantesca è una località di stato e valore pari a Marcabò vicino a Voghenza-Ferrara, adatta per indicare il contesto di Medicina, la patria originaria di Piero da Medicina, o anche di Bologna, la sua patria effettiva. Medicina è ubicata all’incrocio della bassa bolognese, ferrarese e ravennate. E così mi rendo ancora una volta nemico dei tradizionalisti danteschi nonché di Alessandro Barbero e dovrò sopportare nuovi silenzi. Peccato perché ho delle novità che rafforzano, senza essere decisive, l’ipotesi della sospensione del giudizio sulla veridicità storica dell’episodio di Paolo e Francesca.

NUOVA LETTURA DEL DOCUMENTO PAPALE DI NICCOLO’ IV DEL 1288

Stando così le cose, ho provveduto io stesso ad affrontare in modo critico il mio scritto, ampliando la ricerca e arrivando ad alcune nuove conclusioni, mantenendo essenziale la sospensione del giudizio sulla morte dei due cognati. Non che le formali età per contrarre un matrimonio dei 7 e 14 anni non siano in sé punti formalmente accettabili, o che non ci fosse bisogno per questi matrimoni di stato del permesso pontificio per celebrare un matrimonio con i promessi sposi in età inferiore ai 7 anni, e in effetti, come vedremo, Agnese poteva avere 7 anni e anche Tino, ma questo documento del 1288 è speciale e va considerato in sé. Ho cercato tutto quello che esisteva nella Gambalunga, in questi tempi di pandemia, e ho trovato una novità che credo sia importante contenuta nel documento del 1288 e alcuni dati utili che espongo a cominciare dalla vita del padre di Agnesina, Corrado conte di Montefeltro e di Urbino. Insomma l’impianto del giudizio sull’età mi sembra ulteriormente rafforzato.

Come vestiva Francesca. La Charitas di Tolentino porta una sopravveste verde chiarissima, con la passamaneria bizantina e la cintura alta greca.

CORRADO CONTE DI MONTEFELTRO E URBINO 1260 – 1298

Corrado di Montefeltro (1260-1298) è un personaggio storico abbastanza definito da alcune fondamentali date certe. E’ figlio di Taddeo di Pietrarubbia (1220?-1282) il capo dei guelfi romagnoli insieme a Malatesta da Verucchio, che appartiene al ramo guelfo della grande famiglia fondamentalmente ghibellina dei conti di Montefeltro e di Urbino. Nemico del ‘cugino’ Guido da Montefeltro, uno dei capi dei ghibellini italiani, Taddeo morì appunto nella città di Forlì per mano delle truppe ghibelline di Guido il 1 maggio 1282 – “il sanguinoso mucchio” -.
Corrado eredita il titolo e la parte politica paterna, ma odia Malatesta di Verucchio perché ha approfittato dell’amicizia col padre Taddeo e gli ha sottratto terre e castelli. Il suo scudiero Fraudolente e il fratellastro Filippuccio, nel 1285 preparano un agguato a Malatesta da Verucchio a Cesena presso la chiesa degli Agostiniani e il Malatesta si salva solo perché trova una porta del convento aperta.
Le promesse nozze del 1288 sono quindi un tentativo di fare la pace tra Corrado e Malatesta da Verucchio.

TINO MALATESTA E AGNESE CONTESSINA DI MONTEFELTRO E DI URBINO SONO PRIMI CUGINI

Il papa Niccolò IV nel documento del 1288 dà al vescovo di Pesaro l’incarico di sanare l’impedimento del quarto grado di parentela; il che significa che Tino e Agnesina sono primi cugini e che hanno uno zio o una zia in comune. Ora, non c’è che una possibilità per precisare questa parentela, ed è che la moglie di Pandolfo I Malatesta l’ultimo figlio di Malatesta da Verucchio e di Margherita Paltonieri di Monselice, chiamata dagli storici solo col nome Taddea, sia una figlia di Taddeo di Pietrarubbia e sorella di Corrado. Così risulterebbe zia carnale di Agnesina e zia acquisita di Tino, dato che Giovanni “zotto” il padre di Tino è appunto fratello di Pandolfo I. Ecco una novità che spiacerà al mainstream degli storici malatestiani e feretrani, che, come mi è già successo più volte, mi sarà sottratta da qualche furbetta o furbetto, che troppi ce ne sono anche in ambiti così poveri come le ricerche storiche malatestiane.

Come vestiva Francesca. Giotto, Padova Cappella degli Scrovegni. Le Nozze di Cana, la Sposa. Giotto che aveva dipinto le donne ad Assisi con la cintura sui fianchi adotta qui a Padova l’abito di corte delle Malatesta o delle donne venete. Sostituisce la passamaneria bizantina con un ricamo nero gotico e ‘ghibellino’.

LA TRAGICA FINE DI CORRADO CONTE DI MONTEFELTRO 1 APRILE 1298

Corrado però non si rappacificò col Malatesta, le nozze non ebbero effetto. Agnese, la primogenita di Corrado scompare dalla storia successiva e non viene ricordata nemmeno nelle tavole genealogiche dei Montefeltro. Sappiamo che nel 1280 Corrado si era sposato con Costanza Ravegnani, la primogenita Agnese nel 1288 poteva avere 7 anni o anche 6 con l’arrotondamento; era quindi considerata in possesso della ragione per potere capire i suoi interesssi se pure non deciderli.
Corrado, dopo le mancate nozze, prese la città di Urbino che era presidiata da truppe malatestiane per il papa, coi parenti Guido e Galasso, ristabilendo così l’unità politica ghibellina della famiglia. Poi rientrò nelle grazie pontificie. Un episodio di estrema crudeltà, tipico di questi secoli, mostra il conte di Montefeltro e Urbino Galasso ghibellino che reprime ferocemente, con impalamenti scrivono i cronisti cesenati che datano l’episodio al 29 maggio 1299, gli homines del castello di Piega, della famiglia Olivieri, suoi capitali nemici. Il castello di Piega era dall’altra parte del Marecchia di fronte a Secchiano. E’ stata avanzata l’ipotesi che con Galasso ci fosse Corrado e che tra le vittime ci fossero dei congiunti degli homines del castello di Petrarubbia, residenza di Corrado e dei suoi famigliari. Il 1 aprile del 1298 – o il 7 aprile 1299 -, gli homines di Petrarubbia si ribellano al loro signore con straordinario furore e crudeltà, trucidano tutti i maschi e le femmine di sangue dei Montefeltro: Corrado, un suo figlio, il fratello Filippo e la sorella Giovanna. E’ risparmiata solo Costanza Ravegnani, la moglie di Corrado, ma tenuta prigioniera per accertare che non sia in stato di gravidanza. Terrificante e barbarico medioevo.

COSA SAPPIAMO DI TINO DI GIOVANNI “ZOTTO” MALATESTA

Ipotesi inziale: doveva avere anche lui 7 anni se non di più, per le ragioni già affrontate. Lo troviamo citato ancora due volte nel 1307 quando viene emancipato dal nonno Malatesta da Verucchio. Il vecchione non aveva ancora emancipato figli e nipoti, il che significa che controllava i loro patrimoni e le doti delle mogli. Nel 1307 sono emancipati Tino e il fratello terzogenito Ramberto. Luigi Tonini ritiene che per gli statuti di Rimini i giovani non potessero essere emancipati prima dei 18 anni. Ramberto è il terzogenito di Giovanni “zotto” e Zambrasina, seconda moglie; secondogenito, vedremo tra poco, è Guido arciprete di Santa Paola. Quindi tra la sua nascita e quella di Tino, afferma il Tonini, dovevano esserci almeno tre anni: 18 più 3 meno 1307 fa 1286, molto a ridosso dell’ultima data nota che ci mostra Paolo Malatesta vivo, il 1283. Se tra i tre figli maschi messi in fila uno dopo l’altro si infilasse un anno di pausa o una o due figlie – Margherita e Rengarduccia – per non contare eventuali figli morti subito dopo il parto, si arriva per la nascita del primogenito Tino al tempo di Paolo vivo.

Particolare della Sposa. Nelle pitture dei Riminesi e di Giotto, tutte le donne sono bionde con le trecce sistemate sulla testa, dove la mancanza di un velo o di un cappellino indica lo stato di ragazze non sposate.

GUIDO ARCIPRETE DI SANTA PAOLA

C’è anche un documento che riguarda il secondogenito Guido, secondo maschio di Giovanni “zotto” e di Zambrasina, ed è una bolla di papa Bonifacio VIII del luglio del 1298. Era morto lo zio Ramberto arciprete di Santa Paola, e arcivescovo eletto ma non insediato di Ravenna, e il papa assegna l’arcipretura di Santa Paola a Guido. Ma scrive che il Malatesta non può entrare subito in carica perché ha meno di 25 anni; dovrà quindi governare la parrocchia tramite un vicario in attesa di ricevere gli ordini religiosi e di raggiungere i 25 anni.
A quale età si ricevevano gli ordini religiosi? Non è chiarissimo. Il Tonini avanza una congettura:

“…nei motivi della concessione si trovano i meriti personali del beneficiato [Guido] ricordandosi precisamente il morum decor, che mostra come costui fosse in età da aver potuto dar saggio d’indole considerevole. L’altra particolarità è che nel fargli dispensa dal difetto degli Ordini e dell’età è detto lui essere infra vicesimum quintum etatis annum [era sotto i 25 anni] locuzione, che quanto ci parrebbe poco acconcia per fanciullo non uscito d’infanzia quale sarebbe se nato dopo il 1291, altrettanto, unita a quella di sopra, bene sta per giovanetto sui 12 o sui 13 anni. Sicché messo che costui fosse nato circa il 1285, essendo nato secondo, le nozze della madre sua dovrebbero rimontare al 1283 o al 1284.”

Sempre che le nascite della seconda moglie avvenissero, come già si è notato, in stretta fila e senza pause o incidenti; nelle congetture del Tonini c’è della fretta: ritorno di Paolo da Firenze nel marzo del 1283, quanti giorni per la seduzione? Pochi, è un coup de foudre. Ammazzamento di Francesca e Paolo fine 1283. Di seguito, nozze di Giovanni con Zambrasina, subito ingravidata. Fine 1284 nascita di Tino; fine 1285 nascita di Guido; fine 1286 nascita di Ramberto, i tre maschi, e poi le due femmine, senza anni di riposo e senza figli morti dopo la nascita, che era il caso più comune per quelle povere donne che dai 14 anni ogni anno dovevano partorire un bambino.
Secondo questa ricostruzione, nel 1288 Tino avrebbe tre anni; pochi per la finzione del documento pontificio che i due promessi sposi scrivano al papa per chiedere la dispensa perché sono cugini.
Non è più convincente che nel 1288 entrambi i promessi sposi che scrivono al papa abbiano sette anni?
Ma sì, sono solo ragionevoli congetture.

Come vestiva Francesca. Giotto, Scrovegni, Incontro di Gioacchino e Anna alla porta Aurea. Si noti la damigella vestita con i tre abiti di rosso e la passamaneria dorata. Giotto ha studiato con il realismo di un sarto o meglio di un couturier, l’abito di corte delle Malatesta che aveva visto a Rimini, intorno agli inizi del ‘300, dove dipingeva la chiesa di San Francesco e quella dei Domenicani probabilmente, come afferma il Vasari, su committenza malatestiana.

COSA SAPPIAMO DI PAOLO MALATESTA MARITO DI ORABILE BEATRICE E PADRE DI UMBERTO CONTE DI GHIAGGIOLO E DI MARGHERITA

Sappiamo poco. Ci sono pochi documenti connessi da congetture molto fragili. Certamente figlio di Malatesta da Verucchio e della prima moglie Concordia. Data di nascita per congettura 1250-52 –. Capitano del Popolo a Firenze nel 1282, doveva avere almeno 30 anni, quindi nato del 1252 o poco prima -.
Nel novembre 1263 Paolottus riceve col fratello Giovanni dal pontefice Urbano IV un beneficio in quanto entrambi sono scolares. Luigi Tonini pensa che fossero studenti di circa 12 anni, e che il denaro fosse una specie di borsa di studio. Ma scolares è un termine militare che indica giovani guerrieri e il denaro regalato dal papa può essere quello necessario per armare un cavaliere – corazza, armi, cavallo -. Altra più sensata congettura: Paolotto ha circa 18 anni e quindi sarebbe nato nel 1242, così nel 1282 a Firenze avrebbe avuto 40 anni. Tornato a Rimini nel 1283 – sempre che la ferita di balestra, di cui parlerebbero fonti duecentesche, citate da Anna Falcioni nella biografia di Paolo Treccani on line, non l’avesse ucciso -. Paolo era marito e padre di due figli, e se aveva 40 anni sembra proprio che gli si possa attribuire un giudizio del Tonini: “…prossimo ai quaranta, se non varcati. Età non più consona ad amore sì inconsiderato e focoso.”
Insomma era un padre di famiglia con prole, molto diverso dal giovane biondo tipo Romeo che passa per la comune.

COSA SAPPIAMO DI FRANCESCA DA POLENTA

Ancor meno di Paolo. E quasi niente dallo stesso Dante. Il poeta le fa dire a proposito della sua città natale:
“Siede la terra dove nata fui / su la marina dove ‘l Po discende / per avere pace co’ seguaci sui”. Sono stati i commentatori a nominare Ravenna e a dare a Francesca e a Paolo un cognome.
Un altro simile pasticcio storico riguarda il delitto al “vento di Focara” con “a’ due miglior di Fano messer Guido e anco ad Angiolello” e il “tiranno fello” “il traditor che vede pur con l’uno”, i nomi, i cognomi, la data del fattaccio sono opera dei commentatori antichi e moderni. Nessuna fonte contemporanea. Solo un ammasso di congetture gratuite. Per Piero da Medicina rimando ai diversi scritti di Aldo Adversi.

Pietro da Rimini e bottega, Santa Martire. Indossa una veste rossa, visibile nelle maniche sopra i polsi; un soprabito rosso e un mantello bianco, il tutto con orli e passamaneria.

SOSPENDERE IL GIUDIZIO

Sull’affidabilità assai scarsa di Dante come storico oggettivo e dei suoi commentatori in caduta libera, e non per colpa di Dante ma per costume dell’epoca, rimando a quanto ha scritto la mia maestra Gina Fasoli, riportato nel mio primo contributo in Rimini 2.0. Certamente mi turba non poco definire Dante “fazioso”; preferisco pensare ad una personalità, magari stizzosa – se penso a come tratta Filippo Argenti -, ma integra eticamente e persino politicamente, purtroppo imbrattata dall’immaginario guelfo prima e ghibellino poi. A proposito della paternità beccaia guelfa dell’imperatore Federico II, che fa da contraltare all’origine beccaia ghibellina dantesca dei Capetingi, il frate francescano Salimbene de Adam che la riporta non scrive che Federico fosse figlio di un beccaio di Iesi, ma che correvano voci nella gente di Iesi su questa paternità, giustificate dall’età avanzata di Costanza d’Altavilla madre dell’imperatore.
L’immaginario ghibellino antimalatestiano è accettato dal poeta intorno a personaggi e ad avvenimenti che lui credeva veri ma che veri non erano. Rimane anche assicurata la vita poetica della “coppia d’Arimino”, perché le figure della poesia e della musica hanno una vita ben più forte e densa di quella dei personaggi storici reali.

Credit
Immagini: 1, 2 e 6 (dall’alto): Il Cappellone di San Nicola a Tolentino, Silvana Editoriale, 1992.
Immagini 3, 4, 5: Giuseppe Basile, Giotto. Gli affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova, SKIRA 2004.

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