No alla scuola a distanza, sì al ritorno in aula dal 7 aprile. Le richieste e i contenuti della manifestazione, che ha potuto rilanciare i messaggi ricevuti da due competenti nomi di spicco in fatto di educazione.
Sono le mamme che danno l’allarme: la chiusura delle scuole, se si volesse fare una classifica delle scelte più sbagliate nel combattere il virus, vince la classifica della più grossa topica presa dai responsabili politici del nostro Paese. A Rimini piazza Cavour è tornata, dopo la manifestazione del gennaio scorso, a riempirsi (sempre cercando di rispettare le norme di sicurezza) per protestare contro la scuola a distanza e per la ripresa, dopo le vacanze pasquali in presenza dal 7 aprile. Stessi manifestanti, stessi striscioni, stessi zaini messi a terra. Purtroppo stesse promesse non mantenute. Ma questa chiusura delle scuole causa danni incalcolabili non tanto e non solo all’istruzione ma al complesso dell’educazione degli studenti. Lo hanno rilevato ieri gli organizzatori della manifestazione. Ma è stato l’ex coordinatore del Cts (Comitato nazionale tecnico scientifico) Agostino Miozzo a dirlo al quotidiano la Repubblica: “Il ministero non ha dati, non sa quanti docenti si stiano vaccinando, non conosce i contagi all’interno della scuola”. Alla manifestazione, tra gli altri, ha parlato Stefania Montebelli che ha svelato una serie di numeri, dai quali l’Italia emerge con una pessima figura anche nel settore della scuola a paragone con i provvedimenti di altri Paesi europei per non parlare dell’America. In particolare, si legge sul sito dell’Asl regionale un dato sui focolai dei contagi che in Emilia Romagna in un anno sono stati 6.318. Di questi nelle scuole sono stati 180, nei luoghi di lavoro 416 e tutte il resto in famiglia. Ora si dice che la variante inglese colpisca la fascia di popolazione più giovane. Ma in Gran Bretagna le scuole non sono state chiuse subito ma si sono attesi i dati di mesi dell’andamento della curva del contagio. E così nel confronto, l’Italia a paragone di altri Paesi ha una percentuale di chiusura delle scuole che figura nel podio. Ha detto dal palco Stefania Montebelli: «le scuole francesi contano due terzi in meno di chiusura rispetto all’Italia. Le scuole tedesche invece ci distanziano per tre quarti di giorni di scuola in presenza».
Ma sono le conseguenze sulla mente e la psiche degli studenti che allarmano. Potremmo definirli effetti collaterali di queste chiusure: i numeri di intervento dei pronto soccorso psichiatrici e delle depressioni a cui si aggiungono l’enorme crescita dei disturbi alimentari. E’ vero che la manifestazione di ieri non ha voluto distinguersi per obiettivi politici ma certo è difficile non rilevarvi una pesantissima critica per la scelta di chiudere le scuole. Perché in realtà si è trattato di una scelta, presentata come d’obbligo (tanto poi c’è la DAD, si dice nella sostanza) ma che d’obbligo poteva non essere. Perché da un anno a questa parte che interventi sono stati adottati, solo per fare un esempio, nel piano dei trasporti? E quale coinvolgimento con l’associazionismo e il volontariato del territorio. O quale confronto per la ricerca di coinvolgimenti nell’individuazione di nuovi spazi dove svolgere l’attività didattica? Non è certo un caso che ieri non s’è visto nessun amministratore comunale, che invece aveva fatto capolino nella manifestazione di gennaio promettendo solidarietà e interventi risolutivi.
Ma sentite un po’ qua: da una rilevazione dell’Unesco oggi le scuole sono aperte in Francia, Spagna, Svizzera, Austria, Croazia, Finlandia, Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Romania. Sono parzialmente aperte in Gran Bretagna, nei Paesi Bassi, Polonia, Grecia, Ungheria, Albania. Hanno chiuso meno di noi quasi tutti i paesi. In Svizzera 6 settimane, in Francia 9 settimane in Spagna 15 settimane. In Italia 29 settimane.
Insomma anche ieri in piazza Cavour la protesta delle tante mamme presenti ha detto che questo stato di cose sta facendo diventare pesantissime le conseguenze della pandemia del Covid trasformandola in “pandemia educativa” ed è stata chiesta la riapertura di tutte le scuole in presenza dal 7 aprile dopo le vacanze pasquali. Fra l’altro mentre la manifestazione di gennaio ha avuto a Rimini una caratteristica di singolarità, tra sabato 20 e domenica 21 marzo manifestazioni analoghe si stanno svolgendo in 33 citta di tutta Italia. C’è stato anche un messaggio di richiesta di cambiamento diretto al mondo politico, dal governo nazionale agli amministratori regionali e comunali. Vedremo cosa farà Draghi, che recentemente nella giornata dedicata alle vittime della pandemia a Bergamo ha promesso di volersi impegnare fortemente nella riapertura a partire dalle scuole. Gli organizzatori riminesi hanno anche raccolto l’appoggio di personalità culturali e professionali nazionali come quella di Massimo Cacciari e Paolo Crepet («mai più fuori da una scuola»). Di quest’ultimo è stato trasmesso un importante saluto di appoggio.
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