La speranza nata nel fango

La speranza nata nel fango

In mezzo alla distruzione causata dall'alluvione è venuta a galla una solidarietà inimmaginabile. Da questa esperienza, vissuta in prima persona, l'artista forlivese Franco Vignazia ha realizzato il dipinto che racconta, attraverso grandi occhi e mani che abbracciano, un'amicizia imprevista. Intervista.

Come un gioiello visto a malapena e di sfuggita, poi dimenticato in mezzo all’enorme disastro causato dall’alluvione, vorremmo parlare di un quadro che un artista contemporaneo, Franco Vignazia di Forlì, ha realizzato proprio in mezzo alla melma e ai detriti. Si tratta di un’immagine che continua a diffondersi, tra le chat e il passaparola delle persone che hanno perso tutto e dei tantissimi accorsi in loro aiuto. Il quadro s’intitola La Madonna del Fango ed è davvero una delle cose belle che pure l’alluvione non ha cancellato.
Nella casa forlivese di Franco Vignazia l’acqua non è entrata, nonostante si trovi a un centinaio di metri dal fiume Montone esondato. Invece veramente devastata è stata la casa di campagna del suocero (che ora viene utilizzata per le vacanze dalle famiglie di figli e nipoti), in via Argine Montone tra Forlì e Faenza. Vignazia e la moglie sono così andati, come tanti altri, a dare una mano a ripulire. Sono mille, ciascuna diversa, le storie di paura e speranza, solidarietà e generosità, che si possono raccontare di quei momenti. Giovani e anziani si sono rimboccati le maniche.
La Madonna del Fango è stata ideata da Vignazia dopo i primi due giorni di lavoro dell’artista per ripulire la casa di amici completamente invasa dall’acqua e dalla melma. Sentiamo come lo stesso artista racconta l’episodio: «Guardandomi attorno, vedevo l’acqua che aveva un colore “non colore”, grigiastro e, a seconda delle zone, con sfumature più o meno scure. Insomma, facendo un paragone letterario, si direbbe fatto di “cinquanta sfumature di grigio”. Nonostante questa landa di desolazione, il fango e la disperazione non erano quello che stava vincendo ma, al contrario, stava vincendo questa amicizia che portava davvero tanta speranza tra le persone. Un’amicizia che andava oltre ai pensieri e alle diversità di giovani e adulti e portava “a galla”, in questo caso non è un modo di dire, il desiderio di bene che c’è in ciascuno di noi. Per me, questa cosa si è trasformata nel volto della mamma del Signore che in qualche modo si faceva presente in questo immane disastro».

Ci sono segni ed esempi nei quali hai visto questo volto?
«Te ne faccio due tra i tantissimi che potrei raccontare. Mia figlia a casa mi ha raccontato di una giovane madre che in un ufficio, completamente sconvolto e travolto dal fango, cercando di raccattare i documenti sparpagliati in terra e a bagno nell’acqua e nella poltiglia di fango, ha trovato una scatola di cartone ormai impregnato d’acqua e da buttare, ma dentro quel cartone c’era un involucro nel quale erano contenute, asciutte, alcune immaginette intatte della Madonna del fuoco, la patrona cittadina, venerata come protettrice dalla calamità naturali e dalla guerra. L’altra cosa che volevo raccontarti è quella di un’anziana signora nostra amica che abita in campagna e che ci ha raccontato dell’edicola della Madonna che sorgeva vicino a casa sua, rimasta intatta e in piedi, nonostante che la desolazione e distruzione la circondasse intorno. Questa signora, semplice contadina coi “piedi per terra”, d’acchito ha detto: “Non riesco a capire come certe persone, vedendo un segno come questo, con la statua della Madonna e le rose bianche rimaste al loro posto nonostante lo sfacelo più totale attorno, come fa a dire che non esiste niente!”. Vicino c’era il figlio adulto che, a mo’ di battuta ironica, ha detto: “Ohi però, Maria avrebbe fatto bene a dare un’occhiata anche alle nostre case!”. Per tutta risposta la madre, mollandogli una sorta di scappellotto, gli ha detto in dialetto: “Ma non capisci niente? Maria così ci ha detto che vicino a Lei c’è la salvezza. Se noi ci stringiamo a Lei veniamo salvati».

Quel dipinto insomma è una sorta di tua riflessione su tutta questa vicenda?
«Certamente, io sono stato sollecitato fin da piccolo e per tutta la vita non solo a capire quanto accade tra noi, quotidianamente o straordinariamente, ma a cercare di giudicare e comprendere il perché accade tutto questo. Il disegno è per me un altro modo per esprimere quanto vivo. Capisco me stesso e la realtà che mi circonda più che a parole con le immagini e così, un giorno tornando a casa dopo una intensa giornata, ho realizzato un bozzetto a matita di questa Madonna poi ho chiesto a mia moglie se avessi dovuto colorare il disegno. Lei mi ha consigliato di colorarlo. Così ho fatto ma i colori che mi venivano erano le varie sfumature del fango: marroncino, ocra, verde. In questi colori del fango c’è Maria, attorniata da una famiglia che potrebbe essere la mia famiglia o anche quella di amici, che insieme ad altre figure che rappresentano un po’ tutti gli alluvionati, si stringe attorno alla Madonna che viene riconosciuta come un punto di speranza e salvezza. Maria tiene tutti con un braccio, l’altro braccio l’allunga quasi fuori dal quadro per chiedere a suo Figlio protezione. Appoggiati alle spalle di questo gruppo di persone spuntano gli attrezzi che sono diventati il simbolo di questo evento: la pala, quella specie di spatola che serve quasi da scopa per ripulire e mandare fuori dalle case l’acqua, per la verità manca solo l’idropulitrice. Attrezzi, in particolare lo “spingi acqua”, che pochi conoscevano ma che sono diventati simbolo di solidarietà, amicizia e compagnia che ti viene regalata. Questo disegno, come da sempre avviene, diviene un messaggio, per me prima che per altri: cioè la possibilità che il Signore si manifesti e si faccia compagnia a tutti, potrà passare attraverso di noi. Non perché io mi sia dato questo programma di vita, ma perché ho accettato e vivo questa amicizia in me stesso, anche solo semplicemente sapendola chiedere. Maria, che certamente è molto più saggia di me, l’avevo dipinta in un primo momento con gli occhi rivolti in basso verso le persone che abbracciava; poi ho cambiato e ho disegnato i suoi occhi rivolti verso l’alto, perché in quell’abbraccio ci consegna a suo Figlio. Perché è Lui la salvezza per tutti. Negli occhi di Maria restano le lacrime del pianto e della condivisione del dolore, poi però le labbra, non sono né tristi né sorridenti; si tratta bensì di labbra socchiuse che pregano. L’unico particolare che ho fatto brillare di più rispetto ai colori “fangosi” del resto è l’aureola di Maria, che rappresenta la speranza della nostra vita».

Raccontaci un po’ la tua storia…
«Sono nato in Liguria perché il buon Dio ha voluto così, ma sono un “romagnolo” a tutto tondo, anche se è vero che i miei genitori che ora non ci sono più sono uno (mio padre) di origine piemontese, l’altra (mia madre) croata. La loro storia sarebbe lunga da raccontare, un romanzo. Ma dalla fuga per le persecuzioni titine in quella terra di confine si sono trovati a Bogliasco (Genova), dove sono nato. Quando io avevo 4-5 anni, ci siamo trasferiti in Romagna».

Quando è nata la tua passione per la pittura?
«Ora sono in pensione ma ho insegnato educazione artistica alle medie un po’ in tutta la Romagna (fra l’altro a Castrocaro, Bagno di Romagna, Cesena) e anche a Rimini, dove ho insegnato alle Grazie a Covignano e alla Marvelli. A Rimini ho un sacco di amici. Tuttavia la mia passione per la pittura comincia ancora prima di andare alle elementari. Da allora non ho mai smesso di dipingere. I miei genitori hanno sempre assecondato questa mia passione e ho fatto anche il liceo artistico».

Anche tuo padre era pittore?
«Lui è stato un promettente pittore e scultore nel periodo del secondo futurismo (il primo era nato nel 1911) che a un certo punto della sua vita “rinchiuse” il suo talento nel privato, per così dire. Certo, non solo non ostacolò ma fu davvero felice che io facessi il pittore».

È vero che nella tua formazione umana e artistica ebbe molto influsso don Francesco Ricci, il sacerdote morto il 30 maggio 1991?
«Fu don Francesco Ricci che fece la prima recensione di una mia mostra che se non ricordo male si chiamava “Il Volto della vita”, dove esponevo sia opere religiose che momenti di vita quotidiana. Era una recensione piena di stima e amicizia nei miei confronti. Fu un grande amico e un padre, ancorché piuttosto severo e simpatico. Non era certo un “tenero” e chiamava le cose col loro nome. Il suo modo di stare davanti alla realtà della vita mi ha certamente preso. Affrontava tutto senza censure e, insieme, con grande capacità di giudizio. Aveva una fortissima passione per la bellezza. Non fine a sé stessa. L’estetica era per lui l’espressione più profonda e illuminante del vero. E non c’era nessuno, anche più formalmente titolato di lui nel settore, che poteva impedirgli di “mettere il naso” e confrontarsi con lui nelle questioni estetiche. Con la sua creatività, lui mi ha spinto ad approfondire la mia creatività artistica».

Come è avvenuto l’incontro con l’artista brasiliano Claudio Pastro, il cui stile assomiglia molto al tuo?
«Anche qui c’è di mezzo don Francesco Ricci. Chiamò alcuni amici, tra cui la mia famiglia a cui chiese la disponibilità ad ospitare in casa questo suo amico brasiliano artista a cui voleva far conoscere la cultura italiana ed europea in genere. Così Pastro stette in casa nostra per sei mesi. Un periodo intervallato da parecchi viaggi in altri paesi europei. Don Francesco intuì e aiuto Pastro a far conoscere e lanciare il grande talento che aveva. Nacque in questo modo la nostra grande amicizia. Ci colpì entrambi il fatto che avevamo nella nostra pittura cose molto simili (occhi e mani delle figure umane), con uno stile figurativo semplice e riconoscibile ma con la realtà nella quale traspare il segno di qualcosa che va al di là della “pura” rappresentazione e che va oltre a quello che si vede. A grande distanza, l’uno a San Paolo e l’altro a Forlì, la nostra arte respirava la “stessa aria”: direi, volendo spiegare meglio, che ci fu uno stupore reciproco nella nostra arte che esprimeva il riconoscimento di far parte di un popolo».

Madòna de’ fang

di Fabio Turchi

Se t’at sluntan da ca’
e tvé vers a Sc-iavanì
l’aqua l’à lassè una melma grisa
cla sguella da tot i cant
e int’e’ badil un gn’armesta gnit
e iccié tot impaciarè e cioss
cme e’ bachet de’ pulèr
a T’incuntrén in chèv a la strè
tr’al mocci ‘d materess e armeri sc-anté.
T’as aspett, t’as abrèzz e t’as bès
cme ‘na mama cun i su fiul
e scrichè a te at cunsignèn al fadighi de’ dé:
dla vcina cla pienz cun i occ smarì,
da cl’umon grand cun i occ sbaré
che e zira in tond e zerca la ca’ cl’an gnè piò
da cla sgnora che insdè int la porta ‘d ca’
cun al man ciossi tra i cavell bianc…
la pienz!
Gniquell l’è int’al Tu man
Gniquell l’è pardunè
Ogni miseria ad stè dé la jé int’al Tu brazi!
Tci la mama de’ mi Signor!

Madonna del fango

Se ti allontani da casa
e vai verso Schiavonia
l’acqua ha lasciato una melma grigia
che scivola da tutte le parti
e nel badile non ne rimane nulla
e così tutti infangati e sporchi,
come il bacchetto del pollaio,
Ti incontriamo in cima alla strada
tra le macerie di materassi e armadi rotti…
ci aspetti, ci abbracci e ci baci
come una mamma con i suoi figli
e noi stretti a Te ti consegniamo
le fatiche del giorno:
della vecchina che piange con gli occhi smarriti,
di quell’uomo grande con gli occhi sbarrati
che gira in cerchio e cerca la sua casa che non c’è più,
di quella signora che seduta davanti la porta di casa
con le mani sporche tra i capelli bianchi…
piange!
Tutto è nelle Tue mani,
tutto è perdonato
ogni miseria di questo giorno
è già nelle Tue braccia!
Sei la mamma del mio Signore!

Fotografia: Franco Vignazia pochi giorni fa in una scuola forlivese dell’infanzia, “La Nave” (dalla cui pagina Facebook l’immagine è tratta), dove ha parlato della “Madonna del Fango”.

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