La vera, magnifica, storia della “Ferrania” e del suo geniale creatore

La vera, magnifica, storia della “Ferrania” e del suo geniale creatore

Da circa settant'anni è un simbolo di Rimini. Sul modello della "Ferrania" Galileo Condor II, Elio Guerra realizza a due passi dal Grand Hotel la grande macchina fotografica che si affaccia sulla rotonda. Chissà quanti vacanzieri si sono immortalati al suo cospetto. Nel centenario della nascita dell'inventore di quella che è diventata una forma di promozione turistica a tutti gli effetti e che ha anticipato la "pop art", ricostruiamo una vicenda appassionante e in parte inedita. Anche con la speranza che chi di dovere valorizzi finalmente questo monumento, che versa in uno stato pietoso e reclama un restauro filologico.

Non è uno dei cognomi più conosciuti dai riminesi e seppur omonimo del celebre Tonino, non ne è parente, come mi ha detto una nipote dello sceneggiatore di Santarcangelo, colui che definì Pennabilli il suo “paradiso perduto e poi ritrovato”. Quello di Guerra (Elio, da Pennabilli) è tuttavia un cognome legato a uno dei simboli di Rimini che tutti gli abitanti conoscono e davanti al quale sono passati almeno una volta: “la Ferrania della rotonda”, come denominata in loco.

Così si presenta oggi. Molto diversa dall’originale e in stato di abbandono.

Prima che il 2021 si dissolva definitivamente nel nuovo anno, è probabile che sarà solo Rimini 2.0 a ricordare il centenario della nascita di Elio Guerra (1921 – 2003) e tracciarne un breve e inedito profilo, per ovvi motivi forse sintetico quanto le caricature che il fotografo-disegnatore eseguiva ai turisti a fianco della gigantesca fotocamera di sua creazione. Questo per rammentare, a quanti se ne fossero colpevolmente dimenticati, il valore e l’importanza del segno espressivamente artistico e comunicativo che Guerra ha calcato nella storia turistica del secondo dopoguerra riminese. Di Elio Guerra ci sono solo notizie frammentarie, talvolta anche inesatte. Vero è che frugare nel tempo difficilmente porta a verità assolute, ma si può tentare di farlo. Ed è possibile che questo succeda se le informazioni arrivano testimoniate da chi lo ha conosciuto e frequentato. Domandando a persone e indagando, può perfino capitare di vederle scritte dal protagonista stesso, come è accaduto a me quando ho trovato persone gentili e disposte ad aiutarmi.
Acquaviva Picena che prende nome dalla famiglia Acquaviva, una delle sette grandi casate del Regno di Napoli, è un attraente borgo medievale a 359 metri di altitudine. Protetta alle spalle da Sibillini, Gran Sasso e Maiella, dall’alto mastio cilindrico dell’imponente rocca trecentesca (semidistrutta nella prima metà del ‘400, ma riedificata alla fine dello stesso secolo), la cittadina marchigiana traguarda il mare di San Benedetto del Tronto, distante appena una folata di chilometri. Ad Acquaviva Picena, Elio Guerra ha trascorso gli ultimi 25 anni di vita. Il fotografo, come accennato nativo di Pennabilli, è lo stravagante realizzatore della grande macchina fotografica che da una settantina di anni si affaccia sulla rotonda, a pochi metri dal Grand Hotel di Rimini, al limitare nord di parco Federico Fellini. L’imponente fotocamera sembra quasi fotografare a sua volta i turisti che la ritraggono, innescando una sorta di fenomeno “metafotografico”. Diciamo che comunque per la nostra città il singolare rilievo delle proporzioni dell’opera dotata d’innegabile artistica fisicità, nel tempo ha giocato a favore di una valida forma di promozione turistica, praticamente a costo zero.

Com’era. In questa foto, gentilmente concessa dalla signora Laura Renzi Rastelli, che compare a sinistra nell’immagine, si vede anche, all’estrema destra, Elio Guerra che poco tempo dopo partirà per Roma.

Ma ora vorrei raccontare ai lettori ciò che ho scovato sull’autore e sul suo mega apparecchio fotografico che Massimo Pulini, artista ed ex assessore alla cultura del Comune di Rimini, anni fa ha definito «[…] una vera e propria “architettura – scultura”, uno dei primi oggetti “POP” che siano mai stati eseguiti, precursore di quel movimento artistico che prenderà corpo solo nella seconda metà degli anni ’50 in Gran Bretagna e negli Stati Uniti».” Se è del tutto condivisibile quanto affermato da Pulini ed è doveroso essere grati, seppur a posteriori, al gesto artisticamente anticipatore di Elio Guerra, non mi trovo in linea con quanto scritto sul totem di piazzale Fellini e riportato a mo’ di carta carbone in alcuni articoli.

La grande macchina fotografica non è nata nel 1948, come si legge invece nelle notizie informative a fianco di “Fellinia”, ma non prima del 1953.

La creazione di Elio non venne affatto alla luce nel ’48. Temo che in quella data la Condor II fosse ancora tra la grafite imprigionata nella matita del disegnatore. Il lavoro di Guerra non può essere avvenuto prima del ’53, anno in cui la “Condor II” fu presentata dall’azienda fiorentina Officine Galileo e commercializzata da Ferrania (pellicole).

Il modello della “Condor II” che Elio Guerra replicò, in scala maxi (immagine gentilmente concessa dall’utente eBay Matteo Sauli).

In un articolo del 2002 lo asserisce su Nadirmagazine l’architetto Danilo Cecchi, quotato storico e cultore della fotografia, considerato un’autorità assoluta in materia. Contattato via e–mail, mi ha confermato la data di cui sopra. A prescindere dall’anno, quella di Elio Guerra è una mossa imprenditoriale che prende vita sulla scia del conflitto mondiale da poco terminato, periodo di alacre ricostruzione, di sovente affiancata da ottime idee e grande intraprendenza, entrambe gradualmente affievolitesi con l’avanzare del benessere. È evidente che la panza piena intorpidisce il germe della creatività. Luigi e Vincenzina Torquati, proprietari dell’hotel Il Grillo di Acquaviva Picena, sono le persone che Elio Guerra ha frequentato assiduamente durante gli ultimi ventidue anni di vita.

Signor Torquati, come e quando ha conosciuto Elio Guerra?
«Elio proveniva da Roma, dove abitava e lavorava come ritrattista caricaturista alle fiere, nelle piazze o dove ci fosse un qualche evento che richiamasse pubblico. Era bravo. Negli anni ’60 e ’70 non erano in molti a fare quell’attività per cui lavorava e guadagnava discretamente bene. Seguendo la scia delle manifestazioni che richiamavano un cospicuo numero di persone, si spostava di frequente. Questo lo portava a vivere negli alberghi. Verso i primi anni ’80 venne ad Acquaviva Picena. Qui la mia famiglia ha l’albergo-ristorante Il Grillo. Guerra si era accompagnato con una vedova. Hanno vissuto nel nostro albergo per lungo tempo. Diventarono per tutti noi, compresi i nostri figli, persone di famiglia. Al mattino prendevano l’auto e andavano nei paesi limitrofi, come San Benedetto del Tronto, Grottammare o Porto d’Ascoli. Elio si sistemava sulla piazza, apriva il cavalletto e faceva caricature. Un brutto giorno la signora si ammalò. Tornarono a Roma. Cinque o sei mesi dopo, Elio ci disse che la sua compagna non c’era più. Prese nuovamente in affitto una stanza dell’albergo. Era triste, ma riprese comunque il lavoro di un tempo».

Le raccontava mai della sua vita da ragazzo?
«Era una persona riservata, però con l’aumentare della confidenza che avevamo, cominciò a sciogliersi, ad aprirsi un po’ di più. Come lei sa, era nato a Pennabilli. La famiglia aveva origini contadine. Suo padre era piuttosto rigido, per usare un eufemismo, e dalle descrizioni che ne faceva, molto limitato. Tanto che ben presto gli fece abbandonare gli studi e lo costrinse a lavorare la terra. Una coercizione del genere, proprio a lui, così portato per lo studio e per l’arte, era peggio di una prigione. Il padre non era solo severo, ma anche molto violento. All’ennesima, aggressiva sfuriata del genitore, Elio scappò di casa. Aveva meno di vent’anni. Questo, è quanto mi disse di quel periodo della sua vita».

Ha trascorso una giovinezza non troppo felice. Che ne fu della famiglia?
«Sì, temo che abbia avuto infanzia e giovinezza molto infelici. Troncò di netto i rapporti con tutti i parenti».

Mauro Giannini (sindaco di Pennabilli) che mi ha fornito con grande disponibilità tutte le informazioni che poteva, ha affermato che Guerra è andato via dal paese natale nel 1940. Pertanto c’è un buco temporale. A lei ha detto dov’era stato e come aveva vissuto, in quel lasso di tempo?
«Sicuramente c’è stato di mezzo il conflitto mondiale. Ma non ricordo che ne abbia mai accennato. Le sue conversazioni con me e i racconti non seguivano un filo ben preciso. E spesso, le sue erano notizie frammentarie. Erano perlopiù note slegate, senza un tempo preciso che talvolta si riducevano a piccole storie; anche molto curiose. Volendo, da verificare, ma non uscivano dalla bocca di uno che raccontasse frottole; era una persona molto seria».

A proposito di storie, sul web ho visto in vendita alcune pubblicazioni a firma di Guerra.
«So che ha pubblicato almeno 16 diversi libretti di racconti brevi, comici, e considerazioni semiserie. Vicende curiose che in gran parte gli sono accadute frequentando le piazze e gli alberghi dei paesi. Ma ci sono anche riflessioni sulla Bibbia, in chiave umoristica, senza peraltro rinunciare a una certa riflessività di fondo».

Elio Guerra era dunque dotato di una mente frizzante e ironica.
«Sicuro. Pensi solo alla sintesi, sia visiva che psicologica che doveva fare della persona davanti a sé per realizzare una caricatura in pochi secondi: gli bastavano quattro veloci tratti di matita che era bell’e fatta.
Restando in tema di caricature, un episodio molto curioso lo ha precipitato tra gli spettri del proprio passato».

Quali spettri?
«Un giorno, doveva essere il ’97 o il ’98, Elio va a Grottammare, uno dei paesi che era solito frequentare per le caricature. Ne fa una a un ragazzino. La firma e la porge al padre del giovanetto. Questi nota che il cognome è uguale al proprio. Si parlano brevemente. Scoprono di essere nati entrambi a Pennabilli. La faccio breve: era il nipote di Elio con il proprio bambino. Il figlio di Aldo, il fratello maggiore che Guerra non aveva più visto da molti anni. Vennero insieme in albergo. Si parlarono a lungo. So che però non si incontrarono più. Anche perché pochi anni dopo la salute di Elio, già malandata, peggiorò. Venne a mancare presso la casa di cura San Giuseppe a San Benedetto del Tronto. Era il 2003. Dato che viveva ormai solo della pensione sociale, del funerale se ne occupò il Comune. Lo avrebbero seppellito in terra. Sapendolo così amante dei colori e della luce, per noi Elio era come un parente sicché abbiamo comperato per lui un loculo nel punto più alto possibile».

Quest’ultimo episodio è la riprova che nell’ospitale famiglia marchigiana Guerra ha trovato il calore e la considerazione che in famiglia, sorella e mamma a parte, gli sono mancati. Mi permetto di dirlo perché ho avuto in visione il drammatico testo della bozza di una lettera indirizzata al nipote, trovata nel cassetto della camera che occupava in albergo. I proprietari mi hanno concesso di leggerla perché hanno compreso la mia partecipazione emotiva mentre ascoltavo i loro racconti. Nell’angoscioso scritto, Elio ripercorre con dolore alcuni episodi di violenza gratuita subìti dal padre-padrone che ne hanno segnato il futuro. Non manca di avere parole di riconoscenza verso la famiglia picena che lo ha accolto con molto affetto.


Godetevi, è proprio il caso di dirlo, questi due minuti di video (pubblicato da LA CAMERA STYLO Film Collection) che ritraggono Rimini immersa in un turismo d’altri tempi, compresa la splendida Ferrania.

Se quella riferita da Luigi Torquati è la tormentata storia di colui che ha costruito la Ferrania Condor II di Rimini, un monumento – vettore pubblicitario, uno dei più apprezzati e fotografati simboli turistici riminesi, la vita della Ferrania non è stata meno tribolata, perlomeno, nell’ultimo periodo di quella del suo costruttore. Essa viene costruita in un’officina da gommista circa a metà di via Montefeltro intorno al 1953 da Elio Guerra, un paio di amici e probabilmente il solo fratello Aldo e non due (Elio aveva solo un fratello maschio e una sorella) come riferisce un testimone che, ragazzino, ha aiutato la squadra, ma la cui memoria purtroppo, data l’età è ormai lacunosa. Nello stesso articolo, riferisce infatti che la Kodak riconobbe una somma a Guerra, quando a farlo fu invece (come logico) la Ferrania, in quanto produttrice di pellicole, tanto che prima di uno dei restauri/non restauri, nelle foto compariva la relativa insegna al neon che di sicuro non fu installata a spese del fotografo. Come detto, agli esordi degli anni ’60 Guerra si invaghisce di una signora romana con cui andrà a vivere nella Capitale. Cede quindi la Ferrania Condor II al collega Ario Rastelli che con la moglie Laura gestiranno l’attività dal 1961 al 1985. Senza entrare negli ingranaggi di rovinosi particolari tecnico/burocratici, come da tradizionale lungimiranza, l’amministrazione comunale di allora, con estrema delicatezza trancia di netto le possibilità di gestione del negozio/Ferrania ai coniugi (traduco, colorando con parole mie quanto riferitomi dalla signora Laura). Messi spalle al muro da onerose richieste economiche (come riferito dalla signora Rastelli) e dai “meccanismi” di cui sopra, questi rinunciano. Chiudono bottega. Nessuno si cura più del monumento. Bel risultato! Dopo anni e anni di “tira e molla” (parole esatte della signora Laura) e la scomparsa del marito, obtorto collo e a titolo gratuito, la signora Laura mette nelle mani del Comune la mitica mega Condor II. A memoria del gesto, riceve in cambio una targa ricordo (datata 2004) che tuttora svetta “immacolata” sul corpo macchina. Vedere per credere.

La targa ormai illeggibile che ricorda il “dono al Comune di Rimini di Laura Renzi e Ario Rastelli”.

Il Municipio effettua almeno un paio tentativi di reimpiego del manufatto, l’ultimo dei quali è darlo “in affido” alla Fondazione Fellini. La “Guerrinia”, come caso mai si sarebbe dovuto chiamarla fino ad allora, è ribattezzata “Fellinia”, ma neppure il nuovo evocatore nomignolo la salva dal progressivo allontanamento dalle luccicanti fattezze che aveva in origine. La Ferrania non viene più riportata agli antichi splendori. Si interviene solo con interventi che sembrano funzionali unicamente a evitare che cada da sola. Da troppo tempo la “Guerrinia” è solo la pessima brutta copia di sé stessa. Settant’anni fa i mezzi economici e tecnici che abbiamo a disposizione ora erano nettamente inferiori, la qual cosa accresce ancor più il contrasto tra ieri e oggi, a tutto discapito dell’attualità.

I lettori non sono obbligati a credere quanto da me affermato. Ma li esorto a verificare di persona per rendersi conto del vergognoso stato in cui versa la Ferrania, rivolta verso la rotonda del Grand Hotel a sua volta ridotta a una spelacchiata landa, mentre un tempo faceva da proscenio, fiorito ed elegante, al gioiello dell’Art Nouveau riminese. Questo è il luminoso contesto in cui è finito un formidabile strumento di promozione turistica. Come mai, quando qualcosa è bello o funziona, questa città fa in modo di annientarlo? Il Kursaal, poi la fontana dei 4 cavalli, ora la Ferrania conciata così…
A meno che la zona non sia vittima di un malefico incantesimo, da troppo tempo qualcosa proprio non funziona. E all’orizzonte non c’è traccia di alcun clone di Umberto Bartolani.

Panoramica di Davide Minghini gentilmente concessa dall’Archivio fotografico della Biblioteca Gambalunga. Sulla destra la Ferrania e il razzo “Oronte”.

Il razzo Oronte
La data è incerta. Dai cerchi olimpici potrebbe essere il 1956 o il 1960. Propenderei per il ’60 poiché in quell’anno i giochi si disputarono a Roma. Accanto alla macchina fotografica, alla sinistra di chi guarda, su un cartellone si legge “caricature”. Al centro, molto abbronzato Guerra mentre scatta una foto a un ragazzo. Sulla destra compare il razzo “Oronte”. Anche quello è stato sicuramente realizzato da Elio Guerra per vendere le foto che scattava a turisti o riminesi. Personalmente ne ho due provenienti dall’album di famiglia.

Nella foto pubblicata il razzo è in spiaggia, luogo dove per Guerra era più facile intercettare la clientela. In una immagine, dall’oblò compare il volto di mio fratello, mentre ai piedi della scaletta interna spuntano le gambe di nostro padre. Nell’altra, mio padre, un’amica di famiglia, mio fratello e io. Sull’aletta di sinistra del razzo compare un acronimo che ho interpretato così: S.T.V.I. = Stazione Terrestre Voli Interplanetari. Tra i miei conoscenti non ho trovato ancora nessuno che abbia una foto simile. Se tra i lettori ci fosse qualcuno che avesse immagini simili, si può mettere in contatto con la redazione: redazione@riminiduepuntozero.it

In attesa di un restauro adeguato
Un paio di anni fa, quando mi metto in cerca di notizie su Elio Guerra, tra le tante, mi imbatto in un breve reportage a firma di Antonio Politano in cui si cita anche la Ferrania di Rimini. Al termine dell’articolo compare qualche commento dei lettori. In uno di questi si lamenta quanto segue: «la macchina fotografica è stata creata da un prozio (o era lo zio?; ndr) Elio Guerra, artista e scrittore di qualche libriccino. Perché non lo pubblicizzate, visto il merito che ha avuto e la vita che ha vissuto? Ho appena letto una sua epigrafe lasciatami da mio padre e a lui indirizzata in cui descrive come è stata difficile la vita e l’infanzia a quel tempo! Merita un elogio, da morto! Elena». Guarda caso, nella bozza della lettera scritta da Elio che ho avuto modo di leggere, insieme con quello del fratello, in un passo compare anche il nome di Elena. Se ci legge, con questo articolo vorrei rassicurare la signora Elena che il nostro giornale tributa i giusti riconoscimenti al parente, ma quello più importante dovrebbe venire dalle “istituzioni”. Sarebbe utile che una buona volta venisse fatto un restauro adeguato, almeno proporzionale al ritorno di immagine che l’ingegnosa opera ha portato in questi 70 anni.

Fotografia d’apertura: la Ferrania com’era in origine, per volere dell’ingegnoso fotografo e disegnatore nato a Pennabilli nel 1921. In questo scatto, a destra la signora Laura Renzi Rastelli (che ringraziamo per averci messo a disposizione l’immagine) e Elio Guerra.

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