"Il coronavirus non si trasmette con la sabbia e l'acqua salina è il suo peggiore nemico". Allora perché Bonaccini continua a tenere chiusi gli arenili? Ma ad aggravare la situazione ci sono anche le incertezze che continuano a dettare legge, e un capestro per le aziende: l’Inail ha già ricevuto 28.381 denunce di infortunio connesse al covid-19. E lo studio di Confcommercio sulle micro-imprese è drammatico.
Il coronavirus si trasmette con la sabbia? «No, non è dimostrato né è ipotizzabile». E l’acqua del mare? «Il coronavirus Sars-Cov-2, come i virus della stessa famiglia, ha una membrana sottile e instabile. L’acqua salina lo danneggerebbe immediatamente rendendolo innocuo, incapace di infettare. L’acqua è «un formidabile diluente. Le particelle del virus espulse da una persona infetta si disperderebbero a tal punto da perdere la carica infettiva». E’ un’altra voce autorevole che si aggiunge alle altre (come quella del prof. Tarro). A parlare è Antonio Cassone (oggi sul Corriere della Sera), già direttore del dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di Sanità, professore di microbiologia all’università di Perugia. E allora perché Bonaccini ha chiuso le spiagge e non si sa ancora se dal 18 maggio riapriranno?
Mistero di scelte politiche che, prime facie, per dirla con linguaggio giuridico, appaiono immotivate se non assurde. L’esperto sostiene anche che «il calore è un nemico del virus e questo vale per molti virus che si diffondono meglio con la complicità dell’umidità invernale». E allora perché Bonaccini ha aperto parchi e giardini e non gli arenili? La risposta molto probabilmente va cercata nella volontà di assecondare richieste che di scientifico non hanno nulla, ma che forse vanno cercate nella contrarietà dei bagnini a tollerare le passeggiate in spiaggia, come se la spiaggia fosse roba loro. Lo si deduce dalle dichiarazioni che i rappresentanti della categoria hanno diffuso a sostegno della decisione del governatore della Regione Emilia Romagna.
I problemi veri, per i quali le risposte di governo, regioni e comuni non arrivano, sono altre.
Quando potrà ripartire la stagione balneare? Con quali protocolli di distanziamento? Quando saranno consentiti gli spostamenti fra regioni? Tante le domande che attendono ancora una risposta. Secondo uno studio di Demoskopika ben 40 mila imprese del turismo rischiano il fallimento e nei primi tre mesi dell’anno sarebbero già state mille le mortalità imprenditoriali turistiche in più rispetto allo stesso periodo del 2019.
Il centro studi della Confcommercio nazionale stima 266.807 imprese a rischio chiusura definitiva (“almeno per tutto il 2020 e nella forma giuridica, secondo la proprietà e la location attuale”) nel commercio e nei servizi in Italia, circa il 10% del totale. Ad essere maggiormente falcidiate le micro-imprese, per le quali “la sola riduzione del 10% dei ricavi potrebbe portarle al di sotto della già modesta soglia di sopravvivenza reddituale e a dover cessare l’attività”.
Senza regole chiare e senza una velocizzazione dei tempi, ma anche senza una cornice che chiarisca le eventuali responsabilità in caso di contagio all’interno di una attività ricettiva, bar o ristorante, in tanti potrebbero rinunciare ad aprire i battenti. Non solo. Nel decreto “Cura Italia” è stato previsto che il contagio sul luogo di lavoro debba essere equiparato ad un infortunio sul lavoro, con tutte le conseguenze del caso, anche di tipo penale. Alla data del 21 aprile scorso l’Inail ha già ricevuto 28.381 denunce di infortunio connesse al coronavirus.
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